Coerentemente con questo ho guardato spesso con diffidenza – se non con avversione – la procedura, da più parti menzionata e suggerita – di lavoro più “freddo”, distaccato e articolato, più “analitico” sul racconto stesso. Ovvero, definire un plot, anche sommario. Rivedere, levare dei pezzi, spostarli. Provare a riscriverli, magari cambiare prospettiva. Tutte cose senza alcun senso (o con un senso molto più limitato) per una poesia.
Per un racconto servono. Il fatto stesso di provarci me lo dice: in fondo, l’oggetto di indagine stesso detta la forma specifica con la quale approcciarlo. Lavorando su qualcosa si assorbe come la “necessità” di alcuni passi, di alcune procedure. Questo l’ho intuito e l’ho fermato subito in parole.
Ora, vediamo se mi convinco …
Marco Castellani
Grazie TT, mi fa piacere che apprezzi le mie poesie 😉
Scrivere racconti è una cosa un pò tormentata, per me: torno e ritorno su due o tre che ho quasi pronti ma non mi sento mai “confidente” o soddisfatto. Però così facendo imparo (e scrivere è sempre rilassante…)
TT
Se i tuoi raccinti saranno belli come le tue poesie…passerò spesso a leggerti. TT