Geocities chiude i battenti: la fine del web 1.0 ?

Leggo ora che il servizio Geocities chiuderà i battenti a giorni: il 26 ottobre i siti che ancora si appoggiano a tale antico servizio saranno dismessi. Il nome Geocities forse potrà dir poco o nulla (certo molto meno di Facebook o Youtube) ai più giovani navigatori del web, ma ai più attempatelli (tra i quali il sottoscritto) c’è il caso che evochi molte memorie… Al proposito (valga come disclaimer) vi anticipo che nel seguito sarete annoiati con un selezionato campione delle mie 😉
 
Cominciamo? Bene, allora torniamo indietro ai primi anni ’90, la preistoria per il web. Pochi avevano Internet a casa, nessuno ne parlava e i media lo ignoravano completamente. In alcuni luoghi, come gli istituti scientifici, però vi era già e veniva usato. Durante il mio dottorato in astromia, all’Osservatorio di Roma a Monteporzio (dove attualmente ancora lavoro), ebbi dunque la mia prima esposizione ad Internet. Certo il web era veramente più esiguo che oggi, pochi siti composti da pagine sobrie e statiche, in pieno stile 1.0: popo più che documenti accessibili dal broeser, con grafica minimale… oggi sembrerebbero davvero “strane”.

 
Non era ancora diffusa l’idea del blog (lasciamo stare poi Facebook o i microblog tipo Twitter…); il paradigma che cominciava invece ad affermarsi tra chi disponeva di spazio web (e non era così immediato),  di chi masticava un poco di HTML (ancor meno immediato) era quello della pagina personale: la propria Home Page veniva così intesa come una sorta di “presentazione” del proprio profilo e delle proprie attività lavorative, insieme ad un paio di foto e una presentazione dei propri interessi. C’è bisogno di dire che tale struttura era assolutamente statica e aggiornata normalmente solo di tanto in tanto?
 
Nonostante tutto, poter possedere una pagina propria mi sembrava una cosa affascinante. Come fare però? A quel tempo nemmeno l’istituto dove operavo metteva a disposizione spazio web, o comunque non ad un dottorando. Dunque dovevo aspettare. Ma il web mi sembrava già una cosa incredibile, di grandissima portata; forse la più grande invenzione nella trasmissione di informazione dopo la stampa: pubblicare un documento a Roma e renderlo immediatamente visibile in Germania, negli USA, dappertutto. Chi l’avrebbe pensato possibile, fino a poco tempo prima?
Non ricordo esattamente come (forse segnalatomi da uno dei system manager di allora) ad un certo punto mi imbattei in Geocities. Non ci potevo credere, ero realmente eccitato. Poter scrivere sul web, pubblicare una pagina, un sito… tutto mio. Sono cose che al momento attuale non sorprendono nessuno. A me  allora pareva incredibile: ricordo ancor adesso assai bene la mia trepidazione, l’entusiasmo e l’esaltazione di quando aprii il mio account e salvai la mia prima paginetta. Ricordo anche che nella fretta, quel giorno, ci scrissi qualcosa (in inglese, lingua allora quasi obbligata del web) tipo “benvenuti forse nella peggiore pagina di Internet. Nessun link, nessuna foto, nessun testo… Tornate tra un pò, dovreste trovare altre cose!“. Misi un paio di leggeri elementi grafici, uno sfondino verde, e salvai. Tutto qui: ma l’emozione era tanta. Una pagina tutta mia, che si poteva vedere ovunque! (Lo so che state sorridendo, eh!)
 
Pian piano – nei mesi successivi – aggiunsi contenuti, sottopagine, definii gli sfondi, i link etc. Esplorai anche il circondario: il bello del primo Geocities – in cui ci si sentiva davvero comunità – era che i siti venivano rappresentati, scorrendo la lista degli utenti, in una pagina grafica,  come delle piccole casette collegate tra loro da un sentiero. Così ti veniva la curiosità di andare a vedere chi abitava vicino a te, curiosare di cosa scriveva, magari scrivergli un mail. Poi c’erano i quartieri, le città. A seconda dell’argomento della tua pagina (arte, scienza, istruzione…) prendevi casa in CapeCanaveral, in Paris (io presi la prima casa a CapeCanaveral, per la scienza, ma poi traslocai in Paris/Bistro perchè aumentai la sezione della scrittura creativa – vi era proprio una procedura apposita di trasferimento, ricordo). La URL della pagina era composta dal nome del quartiere e da un numero, appunto il tuo numero di casa. Se uno la lasciava, un’altro poteva venire a prenderla, trovandola libera. Indubbiamente il paradigma delle case e quartieri era affascinante….
 
Tante altre cose potrei raccontare, ma temo che i pochi arrivati fin qui, si tedierebbero in maniera eccessiva… Il web era appena cominciato, e da lì cominciava la sua avventura da strumento di pochi a mezzo di comunicazione di massa, com’è al momento attuale. Gli strumenti tecnici, i linguaggi del web, si perfezionavano e si ampliavano pian piano, parallelamente alla sua diffusione.
 
Rimane il fatto che la chiusura di Geocities, se pur non sorprende, sancisce nettamente il fatto della mutazione di Internet, verso tipi di interazione più sociale, verso siti più dinamici e multimediali, o aggiornati molto più di frequente… ciao Geocities, mi lasci comunque tanti bei ricordi… 🙂

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NGC 6240, o la danza dei due buchi neri…

L’immagine che presentiamo si riferisce al sistema NGC 6240, ed è stata ottenuta combinando nuovi dati della sonda Chandra con immagini in banda ottica acquisite dal Telescopio Spaziale Hubble nello scorso anno. Già nel 2002, venne annunciata la scoperta in questo sistema di due buchi neri in fase di fusione, proprio basandosi su dati Chandra. I due buchi neri sono ad appena 3000 anni luce di distanza (un’inezia, per i parametri cosmici) e si possono vedere nella forma dei due puntini luminosi al centro dell’immagine.

Il sistema NGC 6240 come visto componendo dati da Chandra e da Hubble
Crediti: X-ray (NASA/CXC/MIT/C.Canizares, M.Nowak); Optical (NASA/STScI)

Gli scienziati ritengono che questi buchi neri siano tra loro così vicini perchè sono “colti” nell’atto di spiraleggiare uno intorno all’altro, in un processo che dovrebbe essere cominciato circa 30 milioni di anni fa. Si ritiene che alla fine i due oggetti compatti si fonderanno in un unico grande buco nero, anche se questo avverrà presumibilmente non prima di alcune decine o centinaia di  milioni di anni. Il fenomeno è certamente interessante e meritevole di ulteriori studi; basti pensare che il processo di fusione di buchi supermassivi ci si aspetta sia una delle più potenti sorgenti di onde gravitazionali che si possa trovare nell’intero Universo…

Chandra Press Release

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Scoperto un enorme anello intorno a Saturno!

Il telescopio spaziale Spitzer della NASA ha appena scoperto un enorme “nuovo” anello intorno a Saturno – di gran lunga il più esteso anello tra i molti del pianeta gigante!

L’anello appena scoperto risulta inclinato di circa 27 gradi rispetto al piano principale degli anelli di Saturno. La  gran parte del materiale di cui è costituito “inizia” a circa sei milioni di chilometri di distanza dal pianeta, e si estende per circa altri dodici milioni di chilometri. Molto interessante il fatto che una delle più distanti lune di Saturno, Febe, si trova a muoversi proprio all’interno dell’anello appena scoperto, tanto che si ritiene sia la sorgente del suo materiale.

E’ anche bello spesso, questo nuovo anello: la sua altezza è circa pari a venti volte il diametro del pianeta. Consideriamo che ci vorrebbero circa un miliardo di pianeti del tipo della Terra affastellati insieme, per poter riempirlo tutto!

L’enorme anello intorno a Saturno: guardate un pò come è esteso, in rapporto agli anelli “tradizionali” già conosciuti del pianeta…
Crediti: NASA

Il materiale dell’anello comunque non è particolarmente denso, essendo costituito di particelle di ghiaccio e polvere. Gli acuti occhi di Spitzer, che osservano nell’infrarosso, sono stati in grado di rilevarlo tramite l’alone proveniente dalle zone di polvere fredda (ad una temperatura di appena 80 gradi Kelvin sopra lo zero assoluto, decisamente freddino per i nostri gusti…).

La scoperta è importante, anche perchè potrebbe aiutare a risolvere un vecchio problema riguardo le lune di Saturno: Giapeto ha infatti una apparenza che è sempre stata ritenuta peculiare,  con una parte più scura ed una chiara. Nel contesto della nuova scoperta, i dati parrebbero potersi interpretare bene se consideriamo l’interazione di Iapeto con il nuovo anello, insieme con la considerazione che esso si muove in senso opposto al movimento del materiale nell’anello stesso (metre Phoebe si sposta invece nella stessa direzione): ana prima analisi dei dati sembra infatti fornire una convincente spiegazione dell’aspetto della luna.

Spitzer Press Release

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“Le vite di Galileo”, parte seconda

Seconda ed ultima parte di un articolo di Sabrina Masiero 
Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova

 

 … Successivamente, si passa a Londra e Greenwich nel 1664, dove facciamo conoscenza con due grandi astronomi dell’epoca: Edmund Halley ed Isaac Newton. In una accesa discussione con Robert Hooke (famoso per la legge fisica sulle molle), emerge che quest’ultimo affermava di aver ricavato la legge di gravitazione universale molti anni prima di Newton. Newton, con il contributo economico di Halley, pubblicherà i suoi risultati sulla gravitazione nel grande libro “Philosophiae Naturalis Principia Matematica”, affermando che l’attrazione che Sole e Luna esercitano reciprocamente, non è una proprietà di questi due corpi, ma è universale e vale tanto per i corpi vicini quanto per quelli lontani. Da qui, il termine di “universale”.

Leggi il resto…

Halley si appassionò, fin dall’età di otto anni alle comete. Portatrici di cattivi presagi, dimostrò che esse erano in realtà degli oggetti che descrivevano orbite ellittiche o paraboliche sotto l’azione gravitazionale dei pianeti che tendono a curvare il loro moto (altrimenti, rettilineo) e, di conseguenza, sono oggetti che ritornano nei nostri cieli. Le comete osservate nel 1531, nel 1602 e nel 1682 non erano, in realtà, tre comete distinte, ma la stessa che si ripresentava periodicamente. E fece la previsione di un suo nuovo ritorno per il 1758. La cometa ritornò, consacrando alla storia Halley e la sua cometa.
Nell’ultimo episodio, nel 2009, una maestra mostra ai suoi allievi le recenti scoperte e affronta insieme a loro i temi ancora aperti quattrocento anni dopo il primo puntamento del cannocchiale verso il cielo….

…Storia ancora tutta da scrivere!

Per informazioni e contatti su “Le vite di Galileo” visitate il sito web dell’autore, Fiami: http://www.fiami.ch e quello della Casa editrice CLEUP (Padova): http://www.cleup.it.

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Si apre l’occhio di Herschel sulla Via Lattea

Una nuova immagine dall’Osservatorio Herschel ben mette in evidenza il naturale “talento” della sonda verso le osservazioni a lunghezze d’onda multiple. L’osservatorio opera nell’infrarosso, ed è una missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) con una quota importante di partecipazione anche dell’ente spaziale statunitense (NASA). Notevole il fatto che Herschel possa utilizzare due strumenti scientifici in maniera simultanea, per osservare in ben cinque diversi colori nell’infrarosso, una lunghezza d’onda com’è noto invisibile all’occhio umano, ma decisamente importante per una estesa serie di osservazioni spaziali (prima tra tutte lo studio della formazione stellare, come più volte abbiamo evidenziato in questo sito).

Alcune regioni tra le più fredde e ricche di polvere nello spazio, risultano ugualmente brillanti se osservate in luce infrarossa, come può fare Herschel…
Crediti: ESA/NASA/JPL-Caltech

La nuova immagine composita, appena rilasciata, è decisamente interessante e mostra una regione scura e fredda della nostra Via Lattea, dove il materiale interstellare viene compattato insieme, incamminandosi verso la sua prospettiva di formare nuove stelle. Va detto che gran parte della regione apparirebbe davvero scura nella luce visibile, tuttavia Herschel riesce a scorgere il rivestimento molto sottile di polvere, solo leggermente più calda della temperatura minima teoricamente ottenibile nella zona.

La visione della sonda rivela anche che la regione di formazione stellare è addirittura più ricca di materiale freddo e turbolento di quanto ritenuto fino ad oggi: dunque sta già fornendo dei dati importanti per  gli scienziati.  Herschel è in verità ancora in quella che viene detta performance verification phase, nella quale gli strumenti sono attivi ma prevalentemente per essere registrati e messi a punto, prima dell’inizio delle osservazioni scientifiche “programmate”.

Pur dunque nelle fasi iniziali del suo ciclo operativo, dunque, la sonda sembra già fornire ottimi risultati… Dunque un’altra missione spaziale, tra le tante ormai, dalla quale possiamo aspettarci con fiducia un non trascurabile contributo alla sempre migliore conoscenza del nostro Universo…!

NASA JPL Press Release

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“Le vite di Galileo”, parte prima

Prima parte di un articolo di Sabrina Masiero 
Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova
 
“Le vite di Galileo” è il fumetto ufficiale dell’Anno dell’Astronomia 2009 (IYA2009) che lo svizzero Fiami ha realizzato in due anni di lavoro, contattando astronomi, storici della scienza e filosofi. In questi giorni il fumetto esce nella sua versione italiana grazie all’imprimatur della casa editrice CLEUP, Cooperativa Libraria Editrice Università di Padova. Un regalo che la città di Padova (dove Galileo visse “li diciotto anni migliori della mia età” come scriverà due anni prima di morire) e l’Università patavina (dove Galileo fu professore di matematica) fanno al grande scienziato italiano, quattrocento anni dopo le sue più grandi scoperte col cannocchiale, tra il 1609 e il 1610.

Si parla di “vite” di Galileo e non di “vita” di Galileo, in quanto Fiami racconta la storia dell’astronomia in sei grandi tappe: si parte da Babilonia (nel 568 a.C.), dove un bambino di nome Galilosor impara a scrivere nell’argilla umida con un piccolo giunco e a leggere nel cielo. “Il cielo appartiene agli Dei, non toccarlo figliolo!” dice il padre quando si rende conto che suo figlio osserva il cielo e vuole studiare dal tramonto all’alba, non dall’alba al tramonto come fanno tutti gli altri, perché la sua più grande passione sono le stelle che si osservano, appunto, di notte.

Si passa poi ad Alessandria d’Egitto (nel 197 a.C.) dove due discepoli di Archimede, Galilosor e Simpliocios, vanno a trovare il grande Eratostene, allora Direttore della Biblioteca di Alessandria, che mostra loro come riuscì a calcolare la circonferenza terreste. Naturalmente, in poche vignette si intuisce il genio di Eratostene che determinò con un errore di soli 74 chilometri la dimensione della circonferenza terrestre (circa 40.000 anziché 40.074 chilometri, quest’ultimo un valore ricavato con misure più precise e moderne).

La terza tappa è a Kusumapura, in India, nel 499 dove Galilala si intrattiene a parlare di cielo con un grande astronomo dell’epoca Aryabhata, che all’età di 23 anni aveva già pubblicato il primo trattato di astronomia giunto fino a noi. Undici secoli prima di Galileo, Aryabhata parlava già di relatività, quella che sarebbe stata definita più tardi “relatività galileiana”, affermando cioè che se fossimo su una nave e osservassimo una montagna, essa ci apparirebbe muoversi in senso opposto alla direzione di moto della nave.
La quarta tappa è ambientata nella Venezia del 1609. Nell’estate di quell’anno, Galileo viene a conoscenza da alcuni amici che un ottico in Olanda aveva costruito un giocattolo: un tubo con alle estremità due lenti, una concava da una parte, una convessa dall’altra. Abile e veloce, Galileo in pochi giorni se lo costruisce e lo punta verso il cielo. E’ il cannocchiale, col quale avrebbe fatto le sue più grandi scoperte. Il primo oggetto che osserva è, naturalmente, quello più luminoso e grande del nostro cielo notturno: la Luna. Galileo la osserva diversa da come si diceva doveva essere. Non è affatto liscia, ma scabra e ricoperta di montagne: schiere di filosofi e scienziati fino a quel momento avevano affermato il contrario.
All’inizio del gennaio del 1610, Galileo punta il suo cannocchiale verso Giove e, giorno dopo giorno, scopre la presenza di quattro ”stelle” attorno a Giove, che intuisce essere in realtà quattro satelliti del pianeta, come lo è la Luna per la Terra. Questo sistema solare in miniatura fa crollare venti secoli di certezze e apre la strada alla vera indagine scientifica del cosmo….

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Da Chandra, una finestra sul centro galattico

Una visione radicalmente nuova del centro della nostra Via Lattea: è quella che ci fornisce il Chandra X-ray Observatory, una visione che ci permette di ammirare nuovi livelli di complessità e inauditi “intrecci” nell’affollato ed esuberante centro Galattico.

Se la nostra Galassia fosse una città, com’è noto, noi dovremmo accettare il fatto di abitare in una estrema e tranquilla periferia, mentre il centro cittadino ferve di vita e di movimento. Magari un pò  troppo, come stiamo scoprendo grazie anche alla sonda Chandra…

Il mosaico di ben 88 puntamenti diversi della sonda Chandra, ben si può ritenere una istantanea di un gigantesco spettacolo di evoluzione stellare – quasi come una immagine che congelasse un momento particolare di un ambiente quanto più possibile variegato – con una compresenza di  oggetti stellari che spaziano da quelli brillanti e giovani, di grande massa, e si conclude con i buchi neri. Il tutto immerso in un ambiente decisamente affollato, e potremmo dire “ostile”, dominato da un buco nero supermassivo, che si trova nella regione centrale della Galassia.

Chandra ci apre una interessante “finestra” sull’inquieto centro galattico…
Crediti: NASA/CXC/UMass/D. Wang et al.

La regione è permeata da un alone diffuso di radiazione in banda X, originato da gas che è stato riscaldato fino a milioni di gradi per i forti venti originati dalle enormi stelle più giovani – che sembrano formarsi qui molto più frequentemente che in tanti altri posti della Via Lattea. E non è tutto: l’ambiente è rallegrato (per così dire) anche da esplosioni di stelle nelle fasi evolutive più avanzate, nonchè dall’attività del buco nero centrale (Sagittarius A). In particolare, i dati di Chandra e degli altri telescopi in banda X suggeriscono che tale enorme oggetto se ne stia tutt’altro che quieto (e buon per noi che ne siamo molto lontani!): enormi sbuffi di raggi X sembra siano stati emessi dal buco nero in varie circostanze., ad intervalli di qualche centinaia di anni.

Per finire, la zona contiene anche diversi filamenti di radiazione in  banda X di origine ancora piuttosto misteriosa (forse da porre in relazione con la presenza di stelle di neutroni). Insomma, se nonostante la stagione, state pianificando una vacanza, il consiglio è uno solo: evitate il centro galattico… ! 😉

Chandra Press Release

 

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