Blog di Marco Castellani

Mese: Novembre 2009 Page 1 of 3

Terzan 5, un… fossile nel cuore della Via Lattea!

Utilizzando l’Osservatorio del Keck e il Very Large Telescope di ESO, un team di astronomi (tra cui molti sono italiani) è riuscito ad identificare due distinti gruppi di stelle all’interno dell’ammasso globulare Terzan 5 appartenente alla nostra Galassia. Le due popolazioni stellari presentano età differenti, come pure differenti abbondanze di ferro: questa è una caratteristica rara negli ammassi globulari, e suggerisce una prospettiva molto interessante: Terzan 5 potrebbe essere proprio formato dai resti di una presistente galassia.

Orbitando intorno al centro della Via Lattea, Terzan 5 è tra i gli ammassi globulari più luminosi, tanto che potrebbe essere visto agevolmente con un binocolo se non fosse per il velo di polvere che è frapposto tra la Terra e l’ammasso stesso. Si pensava finora che osse  un “comune” ammasso globulare, ovvero fatto da una popolazione compatta di stelle tenute insieme dalla gravità, con  circa la stessa età e composizone chimica (va anche detto che tale scenario “classico” comunque nei tempi più recenti è stato fatto oggetto di una profonda revisione: la cosa forse non è adeguatamente sottolineata nella Press Release del Keck, ma vale la pena tenerne conto, per meglio  comprendere il quadro attuale delle conoscenze).
L’ammasso globulare galattico Terzan 5
Crediti: F. Ferraro (Univ. di Bologna)

Le nuove osservazioni di questo ammasso, appena publicate sulla rivista Nature, dimostrano che Terzan 5 non è davvero un “genuino ed autentico” ammasso globulare, ma è piuttosto il residuo di una proto-galassia che si è fusa con entità analoghe, in tempi antichi, a formare il nucleo stesso della nostra Galassia.

La scoperta apre senz’altro una nuova finestra sui meccanismi di formazione delle galassie, e potrebbe costituire la prima evidenza osservativa che conferma come il nucleo della nostra Galassia si sia formato tramite un assemblamento di sistemi stellari già evoluti, dice Francesco Ferraro (Università di Bologna), uno dei principali autori della ricerca.

Ferraro e collaboratori hanno appunto studiato Terzan 5, che essendo localizzato nella zona centrale della Galassia, risulta difficile da investigare per l’alta concentrazione di polvere interstellare. Nonostante le difficoltà, gli scienziati sono riusciti ad identificare due distinte popolazioni stellari al suo interno – una luminosa le cui stelle appaiono più centralmente concentrate e una seconda, le cui stelle sono più deboli.

La cosa interessante è che i dati spettrali, raccolti con il telescopio Keck II, hanno dimostrato che le stelle più brillanti sono anche circa tre volte più ricche di elementi pesanti, specialmente in ferro, elemento che è formato nelle supernovae.

“Questa nuova popolazione è in effetti tra le più ricche di metalli che conosciamo; è un pò come trovare un tesoro nascosto in questo peculiare ammasso di stelle” dice Livia Origlia, dell’Osservatorio di Bologna, che ha scoperto le stelle ricche di ferro.

Tra gli ammassi che si discostano dal paradigma della “unica popolazione stellare” (Simple Stellar Population, o SSP in inglese), Terzan 5 spicca perchè a differenza di altri, sembra che la sua popolazione più vecchia abbia lo stesso contenuto di metalli delle stelle più ricche del nucleo galattico. Questo suggerisce con forza l’ipotesi che tali stelle siano proprio un residuo dei “mattoni di formazione” del nucleo stesso: in questo quadro, sistemi stellari simili a questo si sarebbero uniti insieme a formare il nucleo galattico, durante l’epoca della formazione stessa della Via Lattea.

Ferraro sostiene anche che le differenti età ed abbondanze di metalli tra le popolazioni in Terzan 5, suggeriscono come l’intero ammasso abbia sperimentato un secondo periodo di intensa formazione stellare, dopo circa sei miliardi di anni dallo “scoppio” iniziale di formazione delle stelle.

Nel complesso, una scoperta di notevole impatto sulla nostra comprensione della formazione della Via Lattea e sulla natura degli ammassi globulari, e un’altra testimonianza del fatto che – come si sta cominciando a comprendere da qualche anno – spesso si dimostrano ben più complessi ed articolati di quanto un tempo si ritenesse. Poi, non dimentichiamolo, un’altra dimostrazione della bravura e della competenza dei ricercatori di casa nostra …!

Keck Observatory Press Release

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Un romanzo… in un mese!

Ebbene sì, finalmente posso riscrivere il titolo del post di inizio novembre sostituendo il punto interrogativo con il punto esclamativo… e non è sostituzione da poco! Questa bizzarra competizione a cui ho aderito quasi per gioco, sono incredibilmente riuscito a portarla a termine, nella giornata di oggi, raggiungendo la famosa quota delle 50.000 parole.

Ora ho un “romanzo breve” chiamato “Il Ritorno”, di circa 50.300 parole; non avevo mai tentato di scrivere nulla di così esteso, grazie al NaNoWriMo finalmente sono riuscito a dribblare il mio implacabile editor interno che tante volte mi aveva fermato, e andare dritto – con un paio di momenti di crisi in cui il progetto effettivamente è stato “a rischio” – fino alla volata finale di oggi pomeriggio.

Ora ci vorrà senz’altro un esteso e paziente editing. Ma la cosa è andata, l’obiettivo è raggiunto. Ho scritto un piccolo romanzo! Non so da quanto l’ho volevo fare!

Devo sinceramente ringraziare mia moglie Paola, che durante questo periodo mi ha più che sopportato: mi ha incitato e incoraggiato e punzecchiato affinché non lasciassi perdere. Ogni giorno mi chiedeva quanto avevo scritto, ogni giorno mi incitava a continuare. Addirittura (e avendo quattro pargoli non è banale) aveva cura che io avessi tempo e tranquillità per scrivere. Mi sono chiesto più volte come mai., nel corso di questo mese. Perché teneva a questo concorso, in maniera particolare? Non credo. Piuttosto, credo che abbia a cuore che io riconosca e segua le mie inclinazioni e le mie attitudini, tra le quali scrivere é senz’altro una delle importanti, come capisco più chiaramente in questo specifico periodo.. Questo a parer mio, senza tanti giri di parole, è un reale segno di amore, per il quale le sono grato.

 Anche i miei figli (e specialmente Simone) si sono a vario titolo interessati, e talvolta mi hanno spronato.
 
Sono contento di essere riuscito ad arrivare fino in fondo e scrivere la mia novella, superando i momenti di dubbio e di indecisione. E’ realmente buffo, ma ho scoperto che a volte puntare a “scrivere e basta” nonostante tutti i dubbi, alla fine paga. Alla fine imbrocchi due o tre frasi in qualche pagina, e sei proprio contento. Quelle due o tre frasi ti fanno sentire in pace, contento di essere riuscito a scriverle finalmente come le volevi. Fosse solo questo, già sarebbe un ottimo motivo per scrivere 50.000 parole, o anche di più.

Poi ancora, il fatto di scrivere mette in moto dinamiche interessanti, ti porta a pensare, a lavorare sui personaggi, a ricercare correlazioni tra i caratteri, le vicende, ad avere fiducia in una storia. Avere fiducia in una storia è bello perché, mi sembra, non possa essere svincolato da avere un atteggiamento positivo verso l’esistenza… Bene, potrei andare a scrivere ancora (evidentemente oggi non mi è bastata la mia quota di parole del NaNoWriMo!), ma non vorrei vincere anche il concorso, se c’è, di post più lungo. 🙂

Scrivere è un’avventura che mi piace (oserei dire anzi che mi appare quasi necessaria). Credo che proseguirò.

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Un’icona cosmica

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova /INAF – Osservatorio Astronomico di Padova

 CrabNebula
L’esplosione che ha prodotto la Nebulosa del Granchio (Crab Nebula) è stata osservata sulla Terra nel 1054. Immediatamente dopo la fase di esplosione, si è venuta a produrre una struttura spettacolare che gli scienziati hanno tentato di interpretare soprattutto in questi ultimi anni.
I dati provenienti da numerosi telescopi sono necessari per dimostrare la vera natura di questo oggetto complesso.
Credit: X-ray: NASA/CXC/SAO/ F. Seward; Optical: NASA/ESA/ASU/ J. Hester & A. Loll; Infrared: NASA/JPL-Calthech/Univ. Minn./ R. Gehrz.

 

La fine dell’evoluzione di una stella è un evento sicuramente spettacolare che si è reso visibile nel 1054 sulla Terra. Si tratta dell’esplosione di una supernova nella costellazione del Toro. Oggi, a distanza di quasi un migliaio di anni, una stella estremamente densa, chiamata stella a neutroni, e nascosta dietro al gas espulso, si osserva emettere grandi quantità di particelle ad alta energia proprio nella regione del gas che si sta espandendo e allontanando da essa, quella che viene definita Nebulosa. In questo caso si parla di Nebulosa del Granchio per la sua forma particolare.

I dati in X del satellite Chandra forniscono degli indizi significativi sui meccanismi di questo potente “generatore” cosmico che produce energia ad un tasso di circa 100.000 stelle simili al nostro Sole.
Questa immagine è stata ricavata dalla sovrapposizione di dati ed immagini ottenuti da tre grandi Osservatori della NASA: l’immagine ottenuta dal Chandra X-ray è mostrata in blu (immagini in X), quella dell’Hubble Space Telescope è in rosso e giallo (immagine nell’ottico) e quella dello Spitzer Space Telescope è in porpora (immagine nell’infrarosso).
L’immagine in X è più piccola rispetto alle altre, in quanto gli elettroni fortemente energetici che emettono raggi X irradiano più velocemente la loro energia rispetto agli elettroni di bassa energia emessi nell’ottico e nell’infrarosso.

Insieme ad altri telescopi, Chandra ha ripetutamente osservato ad intervalli quasi regolari la Nebulosa del Granchio, tanto che si può giustamente dire, essere uno degli oggetti più osservati del cielo, diventando una vera e propria icona cosmica.

Sabrina Masiero

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Grande disgelo? La missione Grace svela la perdita di massa in Antartide

grace_2009

Una stima di Grace sulla perdita di massa in Antartide. Lo studio conferma la precedente stima di perdita di massa nella zona ovest e rivela, inoltre, una perdita di massa nella zona est che si manifesta in primo luogo nelle regioni costiere (rappresentate in colore blu). Credit: University of Texas presso il Center for Space Research di Austin.

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova, INAF – Osservatorio Astronomico di Padova

Da dati di misura gravitazionale della NASA e della missione Gravity Recovery and Climate Experiment (Grace) del German Aerospace Center, un gruppo di scienziati dell’Università del Texas, ad Austin, hanno osservato che il lastrone di ghiaccio, che costituisce circa il 90% dell’acqua allo stato solido e fino ad oggi considerato stabile, sta iniziando a perdere del ghiaccio.

Il gruppo di ricercatori ha usato i dati di Grace per fare una stima della massa di ghiaccio della zona antartica dal 2002 al 2009. I risultati, pubblicati il 22 novembre scorso sulla rivista «Nature Geoscience», hanno mostrato che la lastra di ghiaccio della zona antartica est sta perdendo massa, per lo più nelle regioni costiere, ad un tasso stimato intorno ai 57 miliardi di tonnellate cubiche all’anno.

La perdita di ghiaccio probabilmente deve essere iniziata già intorno al 2006. Lo studio conferma pure i risultati ottenuti in precedenza che mostravano una perdita di massa nella parte ovest della zona Antartica di circa 132 miliardi di tonnellate cubiche di ghiaccio all’anno.

Se davvero questa zona est dell’Antartide sta perdendo massa, come in effetti i nostri dati indicano – ha affermato Jianli Chen dell’University of Texas Center for Space Research –  lo stato dell’Antartide si starebbe modificando. Poiché si tratta del più grande lastrone di ghiaccio sulla Terra, la perdita di ghiaccio potrebbe avere un vasto impatto sull’innalzamento del livello globale delle acque nel prossimo futuro”.

Grace è stato lanciato nel 2002. In realtà, si tratta di una coppia di satelliti progettati dal Jet Propulsion Laboratory della Nasa di Pasadena, California. La missione Grace è sotto la totale responsabilità dell’University of Texas Center for Space Research di Austin.

Per ulteriori informazioni sulla missione Grace della Nasa, visitate il sito: http://www.csr.utexas.edu/grace/ oppure:  http://grace.jpl.nasa.gov .

Sabrina Masiero

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Descrivi un animale che conosci…

Riporto il tema di cui al titolo del post, svolto da mia figlia Agnese (sette anni, seconda elementare) … come vedrete, contiene dei punto davvero divertenti… !

Un giorno comprai una cavia peruviana e mia sorella la chiamò Plunkie.

Era una cavia belllssima!

Era una cavia pelosa, il pelo era color bianco e marroncino chiaro, la frangetta gli arrivava fino agli occhi, le zampe quando la prendi in braccio senti un pò di solletico perché le sue zampette hanno le unghie affilate e rosa, ha un muso carinissimo e dolce quasi sembra un topo, ha anche delle orecchie abbastanza grandi e rosa.

E’ grande quasi come un telecomando.

Plunka sta quasi tutto il tempo a mangiare e infatti quando sente il rumore di una busta comincia a fare dei versi tipo “squit”. Quando fa squit che muoviamo una busta lo fa perché pensa che è una busta d’insalata o di fieno.

Quando fa le feste si alza in piedi e si appoggia sulla sbarretta di ferro.

Gli voglio tanto bene ed è anche un animale da compagnia!

E’ il più bell’animale che ho avuto, solo che è di mia sorella Claudia, ma la prendiamo tutti e la accarezziamo ed è come se fosse di tutti.

Agnese C.

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Il nostro sistema solare, visto da Cassini.

Quasi nulla sta fermo, nel nostro universo. La sonda Cassini della NASA, oltre a fornirci interessantissimi dati e immagini su Saturno e i suoi satelliti, ci sta anche aiutando a riformulare la nostra comprensione della forma del nostro sistema solare, mentre prosegue nel suo viagio attraverso la parte locale della Via Lattea. I modelli esistenti fino ad ora ci avevano abituato ad un sistema solare – mentre si muove nello spazio più vasto – con una forma simile a quella di una cometa. I nuovi risultati puntano piuttosto ad un sistema solare più che altro a forma di “bolla”.Gli scienziati di Cassini hanno creato una immagine di questa esotica regione dello spazio tramite il rilevamento di particelle note come atomi neutri energetici.

I nuovi risultati arrivano a complemento dei dati ottenuti tramite la missione Interstellar Boundary Explorer (IBEX) sempre della NASA.Quando la sonda Cassini ha cominciato ad orbitare attorno a Saturno circa cinque anni fa, una dozzina di strumenti scientifici sofisticati e accuratamente calibrati per l’occasione, si sono messi al lavoro sorvegliando, “annusando” analizzando e scrutando attentamente il sistema di Saturno.

In questa illustrazione, la bolla multicolore rappresenta le nuove misure dell’emissione di particelle note come atomi neutri energetici. Le aree in colore rosso  indicano le zone esterne più calde, a pressione maggiore. La pallina gialla al centro rappresenta il nostro Sole. Sono anche mostrate le due missioni Voyager (che hanno fornito dati importanti per queste zone), che stanno attualmente nella zona “di confine” dove il vento solare si smorza e si scalda quando interagisce con il mezzo interestellare (eliopausa)…
Crediti:
NASA/JPL/JHUAPL

Nel complesso, i dati ottenuti da Cassini, resi pubblici solo di recente, mostrano che l’immagine vecchia di decenni, secondo la quale il Sistema Solare si muove nel mezzo interstellare ritagliandosi uno spazio circa a forma di cometa è errata. Dobbiamo piuttosto pensare ad una “bolla”, oppure, se volete, ad un topo inghiottito da un boa constrictor: difatti il campo magnetico locale interstellare si espande e si contrae al passaggio del nostro sistema solare, un pò come farebbero i muscoli del tratto digerente del serpente al passaggio del topo. Una animazione è disponibile all’indirizzo http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA12310

NASA Press Release

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Un grande incontro tra Encelado e Cassini

 

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia, Università degli Studi di Padova / INAF- Osservatorio Astronomico di Padova

 Cassini_Encelado 1

Queste due immagini, non ancora elaborate, sono state ottenute durante il fly by della sonda Cassini con la luna di Saturno, Encelado, ieri 21 novembre 2009.
La prima mostra la regione polare sud del satellite, dove i getti di vapore d’acqua e di altre particelle vengono sparati fuori dalle fessure sulla sua superficie.

 

Cassini_Encelado 2

Questa seconda immagine rivela una struttura molto ricca di picchi e fratture sulla superficie ghiacciata del satellite.
Credit: NASA / JPL / Space Science Institute.

 

 Dopo il suo fly by con la luna di Saturno Encelado, avvenuto ieri 21 novembre 2009, la sonda spaziale Cassini ha iniziato a inviare a Terra una miriade di dati e immagini del terreno ondulato del satellite. Dati ed immagini verranno processati e analizzati a partire dalle prossime settimane e aiuteranno gli scienziati a creare il più dettagliato mosaico dell’emisfero sud di Encelado (quello che viene sempre mostrato al pianeta durante la sua rivoluzione) e a realizzare una mappa termica di una di quelle intriganti caratteristiche della sua superficie dette “tiger stripe” (striscia di tigre) ad una risoluzione molto elevata.

Le “tiger stripe” sono delle fessure nella regione polare sud della luna, che emettono getti di vapor d’acqua e altre particelle a centinaia di chilometri dalla sua superficie.
Il fly by di Cassini con Encelado è stato l’ultima occasione per gli scienziati di sbirciare le “tiger stripe” prima che il polo sud ripiombasse nuovamente nell’oscurità dell’inverno (che durerà parecchi anni).

Queste immagini grezze sono spettacolari e dipingono un Encelado più che mai affascinante” ha affermato Bob Pappalardo, scienziato del Progetto Cassini al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, California e permetteranno di comprendere questa luna alquanto bizzarra e attiva.

Ieri, 21 novembre 2009, si è avuto l’ottavo incontro ravvicinato con Encelado (incontro definito in modo tecnico con la sigla “E8”) che ha portato la sonda Cassini ad una distanza di 1.600 chilometri dalla superficie del satellite e a circa 82 gradi di latitudine sud.
Cassini ora si sta muovendo in direzione di Rhea, un altro satellite di Saturno, per nuove immagini che si riveleranno fondamentali per una mappatura della superficie di questo secondo satellite.

Le altre immagini le potete trovare alla pagina della NASA: http://www.nasa.gov/mission_pages/cassini/multimedia/index.html .

Sabrina Masiero

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Sbuffi dagli anelli

Situazione davvero spettacolare quella che si verifica in occasione dell’equinozio di Saturno. Con il Sole a perpendicolo sull’equatore del pianeta e dunque perfettamente allineato al piano degli anelli, questi – complice il loro ridotto spessore – magicamente quasi scompaiono. In compenso, però, risultano molto più evidenti le strutture che si innalzano anche di poco al di sopra o al di sotto degli anelli.

Per Saturno l’esatto momento dell’equinozio si è verificato lo scorso 11 agosto, ma anche un mese e mezzo più tardi è stato possibile approfittare di quelle particolari condizioni di luce per poter ammirare uno spettacolo davvero unico. Il 22 settembre, infatti, la sonda Cassini ha catturato una serie di sei splendide immagini che mostrano gli spettacolari spokes. Con questo nome vengono indicate nubi di particelle ghiacciate grandi anche 10 mila chilometri che, caricate elettricamente, levitano al di sopra del piano degli anelli. In condizioni di penombra – e il momento dell’equinozio è tra questi – le particelle di ghiaccio acquistano una carica maggiore e la luce solare radente agli anelli rende questi sbuffi ancora più evidenti e spettacolari.

Una parte del sistema degli anelli di Saturno
Crediti: NASA

Nelle immagini, raccolte quando la sonda Cassini transitava a 1,3 milioni di chilometri di distanza da Saturno, appare evidente come gli spokes si innalzino al di sopra dell’anello B, ma per il momento non è ancora stato possibile determinare con precisione quale altezza possano aver raggiunto rispetto al piano degli anelli.

Davvero interessante la storia di queste particolari caratteristiche degli anelli di Saturno. Individuate la prima volta sul finire degli anni ’80 dalla sonda Voyager, dal 1998 sparirono completamente per fare nuovamente la loro comparsa sette anni più tardi. Un curioso gioco a nascondino che, molto probabilmente, trova la sua spiegazione fisica nel cambiamento delle condizioni di illuminazione degli anelli.

A dare un tocco finale di spettacolarità alle stupende immagini della Cassini, poi, ci pensa il satellite Janus, che appare come un puntino brillante nei pressi dell’anello.

Links – Collegamenti:
http://www.nasa.gov/mission_pages/cassini/whycassini/cassini20091113.html
 
L’articolo originale è di Claudio Elidoro, pubblicato da Coelum Astronomia, che ringraziamo per l’autorizzazione alla riproduzione su GruppoLocale.

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