Un romanzo… in un mese?

Mi sembrava una pazzia, anzi un pò mi sembra ancora adesso. Però ho deciso di provare: l’ idea del National Novel Writing Month indubitabilmente mi attirava. Per un mese intero, provare a scrivere un “romanzo breve” o “novella” (50.000 parole, da raggiungere entro la fine di novembre). L’idea di questa pazza attività di scrittura è anche quella di ridurre al silenzio il cosiddetto editor interno almeno una volta ogni tanto, scrivendo per il gusto di scrivere senza preoccuparsi troppo della qualità (anzi idealmente, per nulla) ma puntando sfacciatamente sulla quantità.

Il fatto di avere una deadline in effetti aiuta a far si che – una volta tanto – uno si metta a scrivere veramente, invece che a ragionare sull’idea o sull’utilità o sulla sua propensione a farlo. E il dover buttar giù le 50.000 parole, ci si riesca o non ci si riesca, fa sì che uno si lasci andare anche al rischio di scrivere una cosa mediocre o proprio imbarazzante. In ogni caso si sarà imparato qualcosa. E il fatto di lasciare le correzioni per dicembre, e dedicare novembre solo a buttar giù testo, aiuta a comprendere come effettivamente non si può pretendere quasi mai di scrivere da subito una versione ottimale di qualcosa, ma bisogna rischiare di buttar giù il testo e poi passare attraverso le necessarie e inevitabili revisioni.

Dall’altro lato, la dimensione “sociale” che ha assunto tale competizione, con forum, microblogs (provate solo a cercare per “nanowrimo”, su Twitter…!) e altre iniziative meno virtuali, come gli appuntamenti per scrivere, nelle varie città, fornisce un valore aggiunto e soprattutto un incitamento quando, dopo i primi giorni di entusiasmo, sopravviene comunque il senso critico e uno magari inizia a dubitare…

Non so se riuscirò a “vincere” il mio primo NaNoWriMo, se alla fine del mese sarò arrivato al fatidico traguardo, ma già sono contento che in questi primi nove giorni abbia scritto le prime 13.410 parole del mio racconto “Il ritorno”. Comunque vada, è già un bel risultato per me.

Ok, ora dovrei tornare a pensare a qualche sviluppo per la mia trama. Vediamo….

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VERITAS aiuta a comprendere la sorgente dei lampi gamma

Circa cento anni fa, gli scienziati si imbatterono nelle prime evidenze dei “lampi gamma” (gamma ray burst, in inglese), in realtà più che raggi o lampi che dir si voglia, particelle subatomiche (per lo più protoni) che percorrono lo spazio quasi alla velocità della luce.

Fin dalla scoperta, gli astronomi si sono interrogati su quale forza naturale potesse accelerare  le particelle (piccole ma non troppo, per il  mondo subatomico..) a tali poderose velocità. Adesso finalmente, grazie a nuove scoperte del telescopio VERITAS, stiamo comprendendo come i lampi gamma siano probabilmente alimentati dalle stelle in esplosione e dai venti stellari..

L’origine dei lampi gamma è una tematica di grande interesse in astrofisica; per capire la peculiarità di tale fenomeno, basti pensare al fatto che i più energetici (e rari) tra questi lampi, ci parlano di una energia che risulta addirittura 100 miliardi di volte superiore a quella che è possibile produrre dai più potenti acceleratori di particelle sulla Terra! Con il tempo, gli astronomi hanno individuato tecniche piuttosto furbe per quanto riguarda la detezione di lampi gamma che colpiscono l’atmosfera terrestre. Trovare quelli più distanti comunque è tutta un’altra cosa e richiede un impegno sostanzialmente maggiore.

Lo strumento VERITAS (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System), in questo difficile ambito, ha portato decisivi contributi, poichè ha scoperto nuove evidenze di lampi gamma in Messier 82 (la cosiddetta Galassia Sigaro),  che si trova a circa 12 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore.

La scoperta – predetta da oltre venti anni ma mai verificata prima – supporta con decisione lo scenario teorico secondo il quale le supernovae e i venti originati dalle stelle di grande massa sarebbero i maggiori responsabili dell’accelerazione delle piccole e velocissime particelle. Galassie con alto tasso di formazione stellare come M82, note anche come galassie starburst, possiedono al loro interno un grandissimo numero di supernovae e stelle di grande massa, a vita breve. Se dunque la teoria regge, proprio tali galassie dovrebbero contenere più raggi cosmici che ogni altro tipo di galassia. L’analsi dei dati di VERITAS va proprio in questo senso,poichè ci mostra come la densità di raggi cosmici in M82 è circa 500 volte quella di una “normale” galassia.

Una immagine composita della galassia attiva M82
Crediti: NASA,ESA,CXC,JPL-Caltech

La scoperta è decisamente interessante (frutto di due anni di paziente raccolta dati dedicata al progetto) ed è ora considerata come un passo avanti fondamentale nella piena comprensione dell’origine dei lampi gamma, un affascinante interrogativo che ha tenuto occupati gli astronomi e gli astrofisici per decenni: chi scrive ricorda i non pochi seminari a cui ha assistito – prima come studente e poi fino all’approdo a ricercatore – sull’analisi dei raggi gamma e sulle ipotesi riguardo alla loro origine. Ora un importante tassello sembra finalmente essere stato messo al suo posto…

HS Center for Astrophysics Press Release

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Sorvolando Tritone

Tritone

Immagine di Tritone, il satellite più grande di Nettuno, realizzata utilizzando le mappe topografiche ricavate dalle immagini della sonda Voyager 2 nel suo fly by col pianeta (agosto 1989). Cortesia: JPL – NASA. Disponibile su: http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA12187 .

 

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova

Un volo simulato della superficie di Tritone, il satellite più grande di Nettuno, è stato realizzato un paio di mesi fa, utilizzando le mappe topografiche ricavate dalle immagini della sonda Voyager 2 della Nasa, durante il fly by nell’agosto 1989.

Tritone è stato l’ultimo corpo roccioso visitato dalla sonda Voyager nel suo viaggio epico di circa dieci anni tra i pianeti giganti e gassosi del nostro Sistema Solare. Il Voyager in realtà, mappò solamente un emisfero, quello che esso mostra al suo pianeta Nettuno, ma fu in grado di rivelare una superficie giovane, segnata da bolle di ghiaccio e anomalie, da cavità vulcaniche e flutti di lava composti di acqua e altri tipi di ghiacci.
Come si può vedere da questo video, realizzato da Paul Schenk (http://www.lpi.usra.edu/lpi/schenk) al Lunar and Planetary Institute e diffuso dalla Nasa, (http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA12187) , Tritone è composto da rilievi piuttosto bassi, da picchi e colline, tipicamente di poche centinaia di metri d’altezza, senza la presenza di grandi montagne o bacini profondi. La mancanza di caratteristiche topografiche significative è una conseguenza del grande calore interno di Tritone e della bassa compattezza del ghiaccio.

Il video è stato ricavato usando una nuova mappa topografica di Tritone, ottenuta combinando un mosaico di varie immagini originali del Voyager 2, con una risoluzione di circa 1.65 km.

I dati grezzi sono stati recuperati dall’Archivio Dati del Planetary Data System. Il Jet Propulsion LaboratorY (JPL), una divisione del California Institute of Technology di Pasadena (California), gestisce la missione da parte del Science Mission Directorate della Nasa, a Washigton, D.C. La stessa sonda spaziale Voyager e le camere a bordo furono progettate, sviluppate e assemblate sempre al JPL.

Sabrina Masiero

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Uno scrigno di gioie cosmico, pieno di colore…

Alla combinazione di immagini acquisite da tre telescopi eccezionali, cioè il VLT di ESO, il 2.2 m sempre di ESO e il Telescopio Spaziale Hubble, si deve una stupenda immagine dello Scrigno di Gioie, ovvero l’ammasso aperto NGC 4755.

Gli ammassi di stelle sono certamente tra gli oggetti astronomici più affascinanti: uno dei più spettacolari si trova nei cieli dell’emisfero australe , in prossimità della Croce del Sud. L’ammasso è abbastanza brillante da poter essere osservato anche a occhio nudo: il nome evocativo lo deve all’astronomo John Herschel che ebbe modo di osservarlo intorno al 1830, poichè il forte contrasto di colore tra il suo diffuso colore blu e alcune stelle di colore marcatamente arancione, viste attraverso un telescopio, suggerirono a Hershel l’analogia con un meraviglioso scrigno di esotici gioielli.

Una immagine di NGC 4755 acquisita con lo strumento FORS 1 al VLT di ESO. Sul sito  ESO si possono ammirare anche le immagini acquisite con altri diversi strumenti…
Crediti: ESO/Y. Beletsky

Dal punto di vista più… scientifico, va detto che gli ammassi aperti come NGC 4755 contengono tipicamente alcune migliaia di stelle e sono debolmente legate insieme dalla forza di gravità. Poichè tutte le stelle dell’ammasso – in prima approssimazione – si sono formate allo stesso momento dalla medesima nube di gas e polvere, la loro età e composizione chimica risulta assai simile, il che le rende un laboratorio ideale per studiare come evolvono le stelle (discorso che si applica parimenti agli ammassi globulari, composti da un numero di stelle decisamente maggiore, e più legate dalla mutua attrazione gravitazionale)

ESO Press Release

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