Blog di Marco Castellani

Mese: Dicembre 2009 Page 1 of 2

Buon Anno 2010

Auguri 2010

Immagine disponibile sulla Home Page dell’Hubble Space Telescope: http://hubblesite.org/gallery/holiday/

 
L’augurio di un Sereno 2010
ricco di pace e di gioia per tutti.
 
Dalla Redazione di GruppoLocale,
Sabrina e Marco.

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Domandina: quanto è vecchio l’Universo?

Quanto è vecchio il nostro Universo? Certo è una di quelle domande la cui portata è così vasta che esula dall’ambito strettamente astronomico per interessare anche le persone più lontane dalla scienza (personalmente, ricordo come – in ben più giovane età – pensavo fosse una domanda alla quale non si potesse fornire risposta scientifica ragionevole….) Sfortunatamente, non abbiamo un indicatore diretto e assoluto per l’età dell’Universo. Vi sono tuttavia dei “sistemi” ai quali ricorrono gli astronomi per arrivare ad una stima piuttosto affidabile.

Il primo è che l’Universo è antico almeno come i più vecchi oggetti che sono contenuti in esso. E’ una assunzione ragionevole e di buon senso, ed un buon punto di partenza per la risposta all’impegnativa domanda. Dunque si arriva allora a chiedersi: quali sono gli oggetti più vecchi dei quali possiamo determinare l’età? Le stelle sono dei candidati promettenti; comunque bisogna tener in conto diversi fattori per arrivare ad una buona stima (massa, composizione chimica, etc…).

Da varie considerazioni, emerge che le stelle più antiche si trovano presumibilmente negli ammassi globulari, hanno piccola massa (e dunque tempi di vita più lunghi) e scarsità di elementi pesanti. In particolare, stelle in fase di nana bianca, che hanno consumato il loro combustibile nucleare e stanno lentamente raffreddandosi, sono tra le più adatte ad essere usate come indicatori di età: osservazioni di tali stelle in ammassi globulari ci portano a concludere che l’età della Via Lattea è approssimativamente di 12 miliardi di anni.

La parte superiore dell’immagine mostra l’intero ammasso globulare galattico M4, che contiene diverse centinaia di migliaia di stelle. Le due fotografie più in basso mostrano invece un ingrandimento di una data regione dell’ammasso. Le stelle marcate con un circoletto blu sono nane bianche, probabilmente alcuni tra gli oggetti più antichi dell’intero Universo…
Crediti:
NASA/H.Richer/NOAO/AURA/NSF.

Un secondo sistema per capire quanto è vecchio l’Universo, è ricorrere alla teoria del Big Bang, estrapolando “all’indietro” le evidenze osservative attuali. Anche questo compito non è facile perchè bisogna tenere conto di un insieme di fattori non tutti ben conosciuti (materia ed energia “oscure” possono influenzare significativamente il tasso di espanzione, per esempio); le migliori stime attuali sono di 13,7 miliardi di anni (dunque la Via Lattea è appena un poco più giovane dell’Universo stesso, secondo tali evidenze).

German Aereospace Center, Astronomy Question of the Week 52

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Nella “Life Zone” di una giovane stella

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova / Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astronomico di Padova

 keck_Life zone

Da una rappresentazione artistica: alcuni pianeti che si stanno formando intorno ad una giovane stella. Con l’interferometro del Keck delle Hawaii, gli astronomi hanno investigato sulla struttura del disco di polvere intorno a MWC 419 fino a distanze molto vicine alla stella.  Crediti: David A. Hardy. Sito web: http://www.astroart.org

 
Le regioni interne dei dischi proto planetari permettono di avere delle informazioni su come si sono formati i pianeti simili alla Terra, ma finora non se n’era osservato alcuno con i telescopi terrestri.

Per la prima volta, un gruppo di astronomi, utilizzando il W. M. Keck Observatory alle Hawaii, ha misurato le proprietà di un sistema solare nascente a distanze molto prossime alla loro stella, che confrontate con le distanze all’interno del nostro Sistema Solare, sono  minori di quelle di Venere dal Sole. A tal riguardo si parla di “Life Zone“.

Per ottenere questo risultato, il gruppo di studiosi ha utilizzato l’interferometro del Keck, combinando la luce infrarossa raccolta dai due telescopi gemelli di 10 metri dell’Osservatorio del Keck distanti 85 metri l’uno dall’altro. Grazie a questo approccio si è ottenuta la risoluzione effettiva di un telescopio singolo di 85 metri, parecchie volte maggiore di quelle che finora si era riusciti ad avere.

Mai nessun strumento era stato in grado di fornire un tipo di misura come quella dell’Interferometro del Keck” ha affermato Wesley Traub del Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, California. “In effetti, per i telescopi del Keck questo interferometro è una lente con uno zoom“.

L’interferometro del Keck è stato sviluppato dal JPL e dal W.M. Keck Observatory. Viene utilizzato dal W.M. Keck Observatory operando con i due telescopi di 10 metri che osservano nell’ottico e nell’infrarosso, sulla sommità del Mauna Kea nell’isola delle Hawaii. Si tratta di una collaborazione del California Institute of Technology di Pasadena, dell’University of California e della NASA. L’Exoplanet Science Institute della NASA, che ha sede a Pasadena, gestisce il tempo di osservazione del telescopio.

Per maggiori informazioni si visiti il sito: http://www.nasa.gov/topics/universe/features/keck-life-zone.html e quello del JPL alla pagina: http://www.jpl.nasa.gov/news/features.cfm?feature=2421&icid=’MostViewSub’.

 
Sabrina Masiero

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Natale 2009

Universe

La Redazione di “GruppoLocale”,

Sabrina Masiero e Marco Castellani,

vi augurano un Sereno Natale!

Sabrina e Marco


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Un luccichio da un mondo lontano

di Sabrina Masiero, Università degli Studi di Padova – Dipartimento di Astronomia / Istituto Nazionale di Astrofisica  – Osservatorio Astronomico di Padova.

 Titano_Cassini_Bagliore
La sonda spaziale Cassini della NASA ha catturato il primo bagliore di luce riflessa da un lago sulla luna di Saturno, Titano, confermando la presenza di liquido in quella parte del satellite punteggiata da numerosi e vasti bacini che hanno le caratteristiche di laghi.
Gli scienziati che seguono la missione stavano cercando il bagliore, conosciuto come “specular reflection” o riflessione speculare, fin da quando la sonda aveva iniziato ad orbitare intorno a Saturno, nel 2004. Ma l’emisfero nord di Titano, che è molto ricco di laghi rispetto a quello sud, è praticamente ricoperto da un velo oscuro durante tutto l’inverno. Il Sole ha iniziato solo da poco a illuminare in modo diretto i larghi nordici con l’approssimarsi dell’equinozio nell’agosto scorso, che ha segnato l’inizio della primavera nell’emisfero nord.

La tenue atmosfera di Titano ha impedito la riflessione della luce del Sole in quasi tutte le lunghezze d’onda. Questa immagine spettacolare è stata ripresa l’8 luglio 2009 con lo spettrometro a bordo di Cassini che permette di fare una mappatura della superficie sia nel visuale che nell’infrarosso.

La nuova immagine infrarossa è disponibile on line su: http://www.nasa.gov/cassini , http://saturn.jpl.nasa.gov  e  http://wwwvims.lpl.arizona.edu .

E’ stata presentata venerdì 18 dicembre 2009 alla chiusura dell’incontro dell’American Geophysical Union a San Francisco.

Questa è una foto che ci dice molto su Titano – atmosfera sottile, superficie riempita di laghi su un emisfero e quasi priva nell’altro” afferma Bob Pappalardo, ricercatore che segue il progetto Cassini, gestito dal Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, California. “Si tratta di una combinazione casuale di stranezze che sono pure comuni sulla Terra. Questa foto rientra tra le varie “icone” riprese dalla Cassini”.

Titano, la luna maggiore di Saturno, ha catturato l’attenzione degli studiosi per le sue molteplici somiglianze con la Terra. Gli scienziati per vent’anni avevano fatto l’ipotesi che la sua fredda superficie nascondesse mari o laghi liquidi di idrocarbonio, rendendolo l’unico corpo planetario, a parte la Terra, in grado di mantenerli allo stato liquido. I dati di Cassini hanno mostrato che non vi sono tuttavia dei grandi mari, ma hanno, però, rivelato la presenza di grandi laghi nel polo nord e in quello sud di Titano.
Nel 2008, gli scienziati che seguivano la missione, utilizzando i dati nell’infrarosso, hanno confermato lo stato liquido del Lago Ontario, il più grande, situato nell’emisfero sud del satellite. Ma stanno ancora cercando il motivo per cui i laghi sono liquidi nell’emisfero nord, dove sono anche i più grandi. Katrin Stephan del German Aerospace Center (DLR) di Berlino e membro associato del gruppo che segue lo spettrometro a bordo di Cassini attualmente è impegnato a processare le prime immagini. E’ stato proprio lui a cogliere per primo il bagliore il 10 luglio scorso.
Mi prese subito una grande emozione – afferma Stephan – perché il luccichio mi fece ricordare un’immagine del nostro pianeta ripresa dalla Cassini mentre stava compiendo un’orbita intorno alla Terra e che mostrava una riflessione della luce del Sole su un oceano. Ma abbiamo ancora molto lavoro da fare per essere sicuri che il bagliore che abbiamo osservato sia effettivamente di luce solare e non un’eruzione di un vulcano“.

Membri del gruppo dell’Università dell’Arizona, a Tucson, hanno processato ulteriormente le immagini e questo ha permesso di fare un confronto della nuova immagine con quelle radar e nel vicino infrarosso riprese dal 2006 al 2008.
Gli scienziati sono stati in grado di fare una correlazione tra la riflessione osservata e quella della riva del lago chiamato Mare Kraken nell’emisfero sud, che ha una dimensione di circa 400.000 chilometri quadrati e ricopre un’area più grande del Mare Caspian, il più grande lago sulla Terra, che si trova a circa 71 gradi di latitudine nord e 337 gradi di longitudine ovest.
Questa scoperta rivela che la riva del Mare Kraken deve essere rimasta stabile in questi ultimi tre anni e che Titano ha un ciclo idrologico in corso che permette il trasporto di liquidi verso la superficie, come ha affermato Ralf Jaumann, membro del gruppo che si interessa dello spettrometro, e che guida gli scienziati al DLR. Naturalmente, in questo caso, il liquido, nel ciclo idrologico, è metano e non acqua, che invece si ritrova sulla Terra.

Questi risultati ci fanno ricordare quando unico sia Titano nel Sistema Solare“, afferma Jaumann. “Inoltre, mostrano che il liquido ha un potere universale di modellare le superfici geologiche allo stesso modo, indipendentemente dal tipo di liquido”.

La missione Cassini-Huygens è un progetto in collaborazione con la NASA, l’ European Space Agency (ESA), e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Il JPL controlla la missione da parte del Science Mission Directorate della NASA, a Washington, D.C.

Per ulteriori informazioni, si visiti il sito del JPL della NASA alla pagina: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2009-199&icid=’MostViewHome’ .

Sabrina Masiero

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Per le feste di Natale, da Hubble un’immagine piena di colori…!

Si direbbe… proprio in tempo per le feste: una stupenda e coloratissima “cartolina” dal Telescopio Spaziale Hubble, che comprende al suo interno centinaia di stelline color blu brillante, circondate da “nuvole” calde e protettrici. L’immagine (che ci piace definire natalizia) è anche la visione più dettagliata mai ottenuta della più grande zona di formazione stellare negli intorni della nostra Galassia.

Il raggruppamento di stelle giovani e di grande massa, chiamato R136, è vecchio “appena” pochi milioni di anni e si trova nella regione della nebulosa 30 Doradus, una zona di turbolenta formazione stellare, a sua volta contenuta nella Grande Nube di Magellano (LMC, da Large Magellanic Cloud), una galassia satellite della nostra Via Lattea.

Bisogna dire che non si trova nella nostra galassia una regione di formazione stellare così estesa e prolifica come 30 Doradus: basti pensare che molti dei “piccoli diamanti blu” nell’immagine risultano essere tra le più grandi stelle conosciute, ed alcune sono pesanti più di cento volte il nostro Sole! Tali stelle così grosse sono destinate però a vita breve, dunque ci si attende che si trasformino – in una sorta di fuochi di artificio cosmici – in supernovae entro pochi milioni di anni.

La regione di formazione stellare in 30 Doradus (clicca qui per ammirarla in formato più grande!)
  Crediti: NASA, ESA, and F. Paresce (INAF-IASF, Bologna, Italy), R. O’Connell (University of Virginia, Charlottesville), and the Wide Field Camera 3 Science Oversight Committee

L’immagine, acquisita in banda ultravioletta, visibile e in rosso dalla nuova Wide Field Camera 3, – uno degli strumenti montati di recente su Hubble dall’ultima missione astronautica, avvenuta quest’anno – copre una estensione di circa 100 anni luce. La nebulosa è abbastanza vicino alla Terra perché Hubble riesca a rilevare stelle singole al suo interno, fornendo agli astronomi importanti informazioni sulla nascita e sull’evoluzione delle stelle nell’Universo. Il colore blu deriva dalla luce delle stelle più calde e massive; il verde dall’inviluppo ricco di ossigeno; il rosso dall’idrogeno interessato da fenomeni di fluorescenza. …

…Insieme compongono un quadro decisamente suggestivo, non vi sembra…? 🙂

HubbleSite Press Release

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Dove lo sguardo non è mai arrivato

 La Wide Field Camera 3 (WFC3) a bordo dell’Hubble Space Telescope ha realizzato l’immagine più profonda dell’Universo ripresa nel vicino infrarosso, la prima nel suo genere. Gli oggetti arrossati e deboli che si osservano sono galassie che si sono formate 600 milioni di anni dopo il Big Bang. Nessuna galassia così remota era mai stata osservata prima. Questo nuovo risultato permetterà di avere un’idea del numero di galassie che si sono formate nelle prime fasi di formazione del nostro Universo.

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L’immagine più profonda dell’Universo nel vicino infrarosso ripresa dalla Wide Field Camera 3 a bordo dell’Hubble Space Telescope. Crediti NASA, ESA, G. Illingworth (UCO/Lick Observatory and the University of California, Santa Cruz), R. Bouwens (UCO/Lick Observatory and Leiden University), e HUDF09 Team.

La regione ripresa è la stessa dell’Hubble Ultra Deep Field (HUDF) ottenuta nel 2004, che la più profonda immagine in luce visibile dell’Universo. La nuova WFC3 ha raccolto la luce nella lunghezza d’onda dell’infrarosso e di conseguenza si è potuto osservare molto più indietro nel tempo, in quanto a causa dell’espansione dell’Universo, le galassie più lontane sono quelle che si allontanano ad una maggiore velocità e quindi la cui radiazione luminosa appare più “stirata” o allungata, col risultato che le lunghezze d’onda risultano spostate verso il rosso e l’infrarosso tanto più distanti sono gli oggetti osservati.

Per ottenere l’immagine con la camera WFC3/IR a bordo dell’Hubble Space Telescope sul finire dell’agosto 2009, sono stati richiesti quattro giorni di tempo per un totale di  173 mila secondi di puntamento. La luce infrarossa non viene percepita dall’occhio umano e quindi si può dire che non ha colori ed è invisibile. I colori nell’immagine sono stati assegnati in fase di elaborazione; si tratta di colori convenzionali in base alle lunghezze d’onda: il blu corrisponde a 1.05 microns, il verde a 1.25 microns e il rosso a 1.6 microns. Gli oggetti più deboli sono circa un miliardo di volte più luminosi di come potrebbero essere visti ad occhio nudo. Trattandosi di una traslazione della normale sequenza di colori, essi si possono ritenere realistici.

Queste osservazioni di Hubble Space Telescope mostrano una nuova strada che dovrà percorrere il suo successore, il James Webb Space Telescope (JWST), che osserverà molto più lontano nell’Universo di quanto ha fatto finora Hubble nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Il JWST sarà pronto per essere mandato in orbita nel 2014.

Il team dell’HUDF09 è composto da: Garth Illingworth (University of California Observatories/Lick Observatory and the University of California, Santa Cruz), Rychard Bouwens (University of California Observatories/Lick Observatory and Leiden University), Pascal Oesch e Marcella Carollo (Swiss Federal Institute of Technology, Zurich (ETH)), Marijn Franx (Leiden University), Ivo Labbe (Carnegie Institute of Washington), Daniel Magee (University of California, Santa Cruz), Massimo Stiavelli (Space Telescope Science Institute), Michele Trenti (University of Colorado, Boulder) e Pieter van Dokkum (Yale University).

L’Hubble Space Telescope è un progetto di collaborazione internazionale tra NASA e l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Lo Space Telescope Science Institute porta avanti le operazioni scientifiche dell’Hubble.

Immagini e informazioni le potete trovare sul sito della NASA alla pagina: http://www.nasa.gov/mission_pages/hubble/science/universe-deepest-view.html.

Altri siti utili:

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La danza magnetica di Titano e Saturno

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova, INAF – Osservatorio Astronomico di Padova

 

Cassini_Magnetic Field Saturn
Un’immagine artistica del fly by di Cassini con Titano, la maggiore delle lune di Saturno, avvenuto lo scorso 11 dicembre 2009. Crediti: NASA/JPL.

 
Durante il suo ultimo fly by con Titano, la più grande luna di Saturno, la sonda Cassini della NASA ha studiato l’interazione tra il campo magnetico del pianeta e quello del satellite. Il fly by si è avuto nella serata dell’11 dicembre, ora californiana, poco dopo la mezzanotte del 12 dicembre di tempo universale.

Man mano che Titano si fa strada nella magnetosfera che circonda Saturno, e che possiamo pensarla come un’enorme “bolla” magnetica, esso crea una scia nelle linee del campo magnetico che fuoriescono dal pianeta.
Il fly by permetterà agli strumenti a bordo della sonda Cassini di studiare il campo e le particelle che si allontanano fino a circa 5.200 chilometri dal satellite, una regione ancora del tutto sconosciuta. Altri strumenti prenderanno in esame le nubi di Titano.
Ad un incontro più ravvicinato, Cassini si verrà a trovare a circa 4.900 chilometri dalla superficie di Titano.
L’ultimo fly by di Cassini con Titano, Cassini si è avuto circa due mesi fa: questo è il sessantaquattresimo dall’inizio della missione.

Titano viene visto come una sorta di “mondo fratello” della Terra, in quanto ha una superficie coperta di materiale organico e un’atmosfera la cui composizione chimica ricorda quella primordiale del nostro pianeta.

Per informazioni, visitate il sito del Jet Propulsion Laboratory alla pagina: http://www.jpl.nasa.gov/news/features.cfm?feature=2401&icid=’NewsFeaturesHome’ .

Sabrina Masiero

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