Blog di Marco Castellani

Mese: Gennaio 2010 Page 1 of 2

Continuare a scrivere…

How to Write Every Day

Having a great job does not mean I don’t want to be a writer. It means I worked damned hard to get where I am and I ought to do the same when I’m writing.

Mi è capitato ieri di rileggere (dalla palestra, mentre faticavo e frugavo nei miei items salvati in Read It Later tramite l’iPod) la frase che apre questo post, e di farci intorno qualche riflessione. Mi ha colpito perché contiene qualcosa di vero anche per me. Diverse volte mi è capitato di sentire il lavoro di astrofisico e la propensione alla scrittura su piani quasi collidenti; in realtà mi sembra di capire ora che non lo sono affatto, non manifestano affatto problemi o contraddizioni alla mutua coesistenza.

Anzi. La libertà supplementare che mi viene dallo scrivere è che, non facendolo per “mestiere”, non devo dimostrare il raggiungimento di un certo “standard” o scrivere di certe cose, ma posso farlo per puro piacere. Farlo perché qualcosa dentro mi dice che va fatto.

La cosa finora più impegnativa, in questo campo, è forse quella che mi è “caduta addosso” dopo la chiusura del NanoWrimo: alla fine del mese di “scrittura pazza” avevo un “romanzo” (ci metto le virgolette perché la parola mi fa ancora impressione…) finalmente. Ma un romanzo da rivedere, rileggere, correggere, sistemare con pazienza. Perché ci vuole tempo: perché anche se non sarà un capolavoro deve essere comunque un lavoro “ben fatto”, con ltutta a cura e l’attenzione di cui si è capaci; da ciò dunque le revisioni che avverto come necessarie, per togliere almeno alcune delle ingenuità, cercare una buona scrittura laddove è possibile, spezzare l’artificiosità dei personaggi, lasciarne respirare il carattere…

… Pensavo l’altro ieri che dovrei mettere, tra i propositi di quest’anno, un pò più di determinazione nel perseguire i miei obiettivi, senza preoccuparmi troppo della loro difficoltà. Se penso a quando potrò tenere tra le mani “il mio romanzo” stampato, capisco che questa soddisfazione val bene un pò di lavoro. Val bene anche lottare e sconfiggere la paura paralizzante di “non essere in grado”.


Vale la pena, sì.

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Nessuna parola da Phoenix

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova – INAF, Osservatorio Astronomico di Padova

Un disegno artistico di Odyssey. Crediti: NASA/JPL.

L’orbiter Mars Odyssey della NASA ha completato tutti e trenta i sorvoli, che erano stati programmati tra il 18 e il 21 gennaio 2010, sul sito del landing di Phoenix senza rivelare alcuna voce da parte del lander. Ulteriori “campagne di ascolto” verranno condotte in febbraio e marzo. Il sito del landing di Phoenix riceverà molto più luce solare nei prossimi mesi, ma il lander è poco probabile che sarà in grado di risvegliarsi dopo i duri inverni marziani ai quali non era stato progettato per resistere. Phoenix ha lavorato due mesi in più rispetto ai tre previsti dalla missione, nel marzo 2008.

Altre informazioni sono disponibili sul sito del JPL: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-024&icid=’NewsFeaturesHome’ .

Sabrina Masiero

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Opportunity dà l’opportunità di osservare l’interno di Marte

 

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova, INAF- Osservatorio Astronomico di Padova


L’immagine è stata ottenuta dalla combinazione di tre esposizioni differenti prese dalla camera panoramica (Pancam) in tre diversi filtri durante il 2.117 giorno di vita marziano di Opportunity (sulla Terra era il 6 gennaio 2010). Crediti: NASA/JPL-Caltech/Cornell.

Il rover Opportunity della NASA, che da tempo sta esplorando la superficie marziana, ha permesso agli scienziati di dare un’occhiata un po’ più approfondita del suolo marziano, scavando in una roccia.

Negli ultimi due mesi, una roccia scura non più grande di un pallone è stata l’obiettivo di Opportunity. Chiamata “Isola Marquette”, questa roccia sta migliorando la conoscenza della mineralogia e della chimica dell’interno di Marte. “L’Isola Marquette ha composizione e caratteristiche differenti dalle altre rocce marziane o meteoriti provenienti dal pianeta” ha affermato Steve Squyres, della Cornell University di Ithaca (New York), principal investigator di Opportunity e del suo gemello Spirit. “E’ una delle cose più curiose che Opportunity ha trovato su un periodo di tempo molto lungo“.

Dopo sei anni di attività, Opportunity ha scoperto solo un’altra roccia di dimensioni simili a questa che si ritiene essere stata espulsa da un cratere abbastanza lontano. Il rover ha studiato la prima di queste rocce durante la sua iniziale misssione di tre mesi. Chiamata “Bounce Rock” (letteralmente, roccia rimbalzata) ha una composizione molto vicina a quella di un meteorite proveniente da Marte e ritrovato sulla Terra.
L’Isola Marquette è una roccia di grana grossa con una composizione basaltica. La grossolanità indica un raffreddamento lento dalla roccia fusa, dando ai cristalli il tempo di svilupparsi. Questa composizione porta i geologi a supporre che essa si sia formata originariamente in profondità nella crosta e non in superficie, dove, invece, si sarebbe raffreddata più velocemente presentando, di conseguenza, una grana più fine. “Non abbiamo idea precisa di quanto in profondità si sia formata nè in quale posto” ha concluso Squyres.

La composizione dell’Isola Marquette, tenendo conto anche della sua consistenza, la distinguono dalle altre rocce basaltiche di Marte che i rover hanno esaminato. Inizialmente si era pensato che la roccia potesse far parte di una serie di meteoriti trovati da Opportunity. Tuttavia, il contenuto molto basso di nickel nell’Isola Marquette ha fatto supporre la sua origine marziana. Nell’interno vi è più contenuto di magnesio che nelle tipiche rocce basaltiche marziane studiate da Spirit. I ricercatori stanno ora cercando di capire se essa rappresenti o meno una roccia precursore modificata molto tempo fa dall’acido solforico, diventando quindi la roccia arenaria ricca di solfato che ricopre la regione di Marte, che ora Opportunity sta esplorando.

E’ come avere un frammento di un altro sito” ha affermato Ralf Gellert dell’Università di Guelph, Ontario (Canada). Gellert è lo scienziato a capo del controllo dello spettrometro a raggi X per la rilevazione delle particelle alfa sul braccio robotico di Opportunity. “Con le analisi compiute precedentemente, stiamo cercando di risolvere alcuni degli enigmi“.

Il team che segue il rover ha utilizzato uno strumento di Opportunity che permette di macinare un po’ della superficie corrosa dell’Isola di Marquette e analizzarne l’interno. Si tratta della trentottesima roccia campione studiata dal rover e sicuramente una delle più complesse. Lo strumento è stato realizzato per macinare una roccia marziana e sicuramente non sarà l’ultima.

Opportunity che a metà del 2008 aveva studiato un cratere, ora è a circa sette chilometri di distanza da un secondo cratere, molto più grande, chiamato Endeavour. Il rover ha percorso circa 5,3 chilometri nel 2009, di gran lunga molti chilometri in più rispetto agli anni precedenti. Opportunity ha lasciato l’Isola Marquette il 12 gennaio scorso.

Siamo di nuova in marcia” ha affermato Mike Seibert, uno dei manager della missione del rover al Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, (California). “Se tutto andrà bene, quest’anno è previsto che il rover viaggi molto. Lo spingeremo verso il cratere Endeavour ma osserverà pure altri interessanti target lungo il suo cammino dove lo fermeremo per fargli odorare le rose“.
Da quando è atterrato su Marte nel 2004, Opportunity ha fatto numerose scoperte scientifiche, che comprendono una prova mineralogica dell’esistenza di acqua liquida. Dopo un lavoro 24 volte superiore a quello previsto in origine, Opportunity ha percorso più di 19 chilometri e mandato a Terra più di 133.000 immagini.

Per ulteriori informazioni, si visiti il sito della NASA: http://www.nasa.gov , http://marsrovers.jpl.nasa.gov e http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-023 .

Sabrina Masiero

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Due “code” da raccontare

 

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova, INAF – Osservatorio Astronomico di Padova


Due spettacolari code di emissione in raggi X sono state osservate dietro la galassia conosciuta come ESO 130-001. ESO 137-001 nel pieno merger con l’ammasso galattico sta subendo lo stripping del suo gas freddo da parte del gas molto più caldo dell’ammasso. Fenomeni come questi hanno effetti importanti sull’evoluzione delle galassie.
Crediti: X-ray: NASA/C/UVAa/M. Sun, et al.; H-alpha/Optical: SOAR (UVa/NOAO/UNC/CNPq-Brazil)/M. Sun et al., 2010, ApJ 708, 946.

Grazie a Chandra X ray Observatory, due spettacolari code di emissione in raggi X sono state osservate e “pedinate” dietro a un galassia. Una sovrapposizione di immagini ha permesso di ottenerne una sola dell’ammasso di galassie Abell 3627 mostrando l’emissione in raggi X di colore blu (immagine ottenuta da Chandra), l’emissione nell’ottico di colore giallo e l’emissione dall’idrogeno leggero -nota agli astronomi come “H-alpha”- di colore rosso. Queste ultime due immagini sono state ottenute dai dati ricavati con il Southern Astrophysical Research (SOAR) Telescope del Cile.
Davanti alla coda si trova la galassia ESO 137-001. La più luminosa delle due code è stata osservata in precedenza e si estende per circa 260.000 anni luce. La scoperta della seconda coda, più debole, è stata una grande sorpresa.

Le code di emissione in raggi X sono state formate quando il gas freddo da ESO 137-001 (con una temperatura di circa dieci gradi sopra lo zero assoluto) è stato strappato dal gas caldo (a circa 100 milioni di gradi) mentre si muoveva verso il centro dell’ammasso di galassie Abell 3627. Quello che gli astronomi hanno osservato con Chandra è essenzialmente l’evaporazione del gas freddo, che emette ad una temperatura di circa 1o milioni di gradi.  La presenza di gas con temperature comprese tra i 100 e 1.000 gradi Kelvin, era stata osservata nella coda già in precendenza con lo Spitzer Space Telescope.

Gli ammassi di galassie sono costituiti da centinaia, a volte anche migliaia, di galassie tenute assieme dalla gravità e avvolte nel gas caldo. Le due code in questo sistema devono essersi formate per lo stripping del gas dai due bracci a spirale maggiori nella galassia ESO 137.001. Si ipotizza che lo stripping del gas debba avere un effetto significativo sull’evoluzione della galassia, perchè la perdita del gas freddo in una galassia blocca la formazione di nuove stelle e si modifica, di conseguenza, la struttura che si osserva dei bracci di spirali interni e del bulge proprio per gli effetti del blocco della formazione stellare.

I dati in H-alpha mostrano evidenze di una formazione stellare nelle due code – la prima evidenza osservativa che la formazione stellare può avvenire quando il gas freddo viene strappato e perduto dalle galassie. Inoltre i dati di Chandra mostrano un eccesso di sorgenti luminose in X intorno alle code in emissione X. Alcune di esse sono supposte essere giovani stelle binarie massicce associate a giovani ammassi di stelle vicini, che danno una maggiore evidenza della formazione stellare nelle code. Questo implica che una grande porzione di stelle tra gli ammassi di galassie si possano formare in situ.

I dati in X rivelano infine che vi è una piccola variazione in temperatura del gas caldo nelle code e pure una piccola variazione in larghezza delle code stesse con la distanza da ESO 137-001. Entrambe queste caratteristiche rappresentano delle sfide agli scienziati che lavorano sulle simulazioni delle code della galassia.

Per maggior informazioni, si visiti la pagina di Chandra X ray Observatory  e della NASA:  http://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/main/index.html e http://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/multimedia/photo10-006.html .

Sabrina Masiero

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Viaggio nell’Universo conosciuto

L’astronomia è affascinante – si capisce – perchè è l’Universo stesso ad essere pieno di fascino. A parere di noi di GruppoLocale, più l’Universo viene indagato e più dischiude meraviglie; dunque la ricerca, lungi dal costituire un “pericolo” per la contemplazione affascinata del cosmo (prerogativa dell’uomo praticamente da sempre) invece si associa all’immaginazione e la supporta per spingerla, se possibile, ancora più avanti. D’altra parte, come forse anche gli articoli di questo sito possono aiutare a comprendere, vi sono davvero più cose nel cielo che in tutti i nostri ragionamenti.

L’American Museum of Natural History propone in un video (del quale sono venuto a conoscenza in un bel post di un blog)  una suggestiva traversata attraverso l’universo conosciuto: si parte da scenari consueti ma, come vedrete, si arriva molto lontano. Unitevi a noi nel viaggio, ne vale la pena 😉


The Known Universe by AMNH

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WISE trova il suo primo asteroide…

La sonda Wide-field Infrared Survey Explorer (in breve WISE) ha scoperto il suo primo asteroide, il primo tra i centinaia che ci si aspetta possa trovare durante la sue missione consistente nel mappare l’intero cielo nelle bande infrarosse.

L’oggetto fa parte degli asteroidi che vengono chiamati “near-Earth object”, ovvero gli oggetti più vicini al nostro pianeta. E’ stato designato con il nome  2010 AB78 ed è stato scoperto da WISE il 12 gennaio. Dopo che il sofisticato software di bordo della sonda aveva rilevato un oggetto in movimento in un contesto di oggetti stazionari (stelle), i ricercatori hanno seguito l’oggetto appena individuato con attenzione e hanno potuto confermare la scoperta, con il telescopio da 2.2 metri dell’Università delle Hawai, sulla cima del monte Mauna Kea.

Il puntino rosso nell’immagine ha la sua importanza: è il primo asteroide “near Earth” scoperto da WISE
Crediti: NASA/JPL-Caltech/UCLA

L’asteroide si trova attualmente a 158 milioni di chilometri da Terra. Dalle stime dovrebbe essere circa largo un chilometro, e gira intorno al Sole in un’orbita ellittica, ma su un piano inclinato rispetto al nostro Sistema Solare. L’oggetto passa tanto vicino al Sole quanto la Terra, ma a motivo della sua orbita molto inclinata, non passerà vicino al nostro pianeta. In ogni caso, anche se non c’è pericolo di impatto, gli scienziati continuano a monitorarlo.

WISE ha cominciato la sua scansione del cielo il 14 gennaio, e ci si attende possa trovare qualcosa come centomila asteroidi precedentemente mai visti, nella fascia tra Marte e Giove, oltre che centinaia di oggetti “near Earth”. Oltre a questo, ci si aspetta che possa trovare milioni di “nuove” stelle e galassie.

Decisamente, non male per una missione spaziale…! Voi che ne dite?

NASA/JPL Press Release

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Il più piccolo oggetto della Fascia di Kuiper

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova – Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – Osservatorio Astronomico di Padova

 

Rappresentazione artistica del nuovo oggetto nella Fascia di Kuiper osservato dall’Hubble Space Telescope. Fonte NASA.

L’Hubble Space Telescope ha scoperto il più piccolo oggetto mai visto prima in luce visibile nella cosiddetta Fascia di Kuiper, il vasto anello di asteroidi o frammenti rocciosi ghiacciati che circonda il Sistema Solare, al di là dell’orbita di Nettuno.
Si può definire questo oggetto come “un ago nel pagliaio” in quanto le sue dimensioni sono dell’ordine del chilometro (0,97 per la precisione) e ad una distanza di circa 6,75 miliardi di chilometri dal Sole. Il più piccolo oggetto della Fascia di Kuiper osservato prima in luce riflessa era dell’ordine dei 48 chilometri come dimensione, ossia circa 50 volte più grande.

Le osservazioni compiute dall’Hubble Space Telescope delle stelle vicine mostrano che un certo numero di esse presentano una fascia di asteroidi simile alla Fascia di Kuiper (che porta il nome del primo astronomo che ne ipotizzò l’esistenza intorno agli anni Cinquanta del secolo scorso). Queste dischi non sono altro che il residuo della formazione planetaria, ossia oggetti che probabilmente sono stati espulsi dalle regioni interne della nube proto planetaria dal pianeta Giove, a causa della sua forte azione gravitazionale e, inoltre, oggetti che non si sono aggregati a formare un pianeta al di là di Nettuno a causa della debole azione gravitazionale a tali distanze.

Per informazioni: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_1563.html .

Sabrina Masiero

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Hubble e lo spettacolo del cielo multicolore…

C’è da stupirsi, davvero: ben 12 miliardi di storia del cielo si possono ritrovare in questa immagine panoramica, piena di colori, sicuramente senza precedenti.. Migliaia di galasse vi si affollano, colte in differenti fasi della loro evoluzione.

Le immagini da cui la composizione proviene sono state acquisite – tanto per cambiare! – al Telescopio Spaziale Hubble, tra ottobre e novembre dello scorso anno, tranendo un deciso vantaggio dall’adozione della nuova camera appena istallata, la Wide Field Camera 3 (WFC3), insieme ad altre prese tramite la Advanced Camera for Survey, nell’anno 2004. La vista è centrata su una porzione del cielo del sud, di un largo campo di galassie chiamato brevemente GOODS, ovvero Great Observatories Origins Deep Survey – un progetto di analisi del cielo a grandi profondità portato avanti da diversi osservatorii, per tracciare la formazione e l’evoluzione delle galassie.

Il campo di GOODS visto da Hubble.
…E non è forse pieno di meraviglie, il cielo sopra la nostra testa….?

Crediti: NASA, ESA, R. Windhorst, S. Cohen, M. Mechtley, and M. Rutkowski (Arizona State University, Tempe), R. O’Connell (University of Virginia), P. McCarthy (Carnegie Observatories), N. Hathi (University of California, Riverside), R. Ryan (University of California, Davis), H. Yan (Ohio State University), and A. Koekemoer (Space Telescope Science Institute)

L’immagine composite finale combina una grande varietà di colori, dall’ultravioletto, passando attraverso la luce visibile, fino a coprire le regione del vicino infrarosso. Da sottolinerare che una tale visione dettagliata e  multicolore dell’universo non ha precedenti, in termini di combinazione di colori, profondità ed accuratezza.

Quello a cui siamo davanti è infatti un ricco mosaico di circa 7500 galassie che coprono buona parte della storia dell’universo. Le galassie più vicine che si vedono nella figura hanno infatti emesso la loro luce poco più di un miliardo di anni fa. Di converso, le più lontante, alcune delle quali visibili come puntini di colore rosso, si vedono come apparivano ben 13 miliardi di anni fa, o circa 650 milioni di anni dopo il Big Bang. Il mosaico in se stesso copre una zona di spazio che è circa pari a qualle di un terzo del diametro della luna piena (ed è parimenti piena… di meraviglie!)

HubbleSite Press Release

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