Blog di Marco Castellani

Giorno: 17 Marzo 2010

Obiettivo sull’infanzia dell’Universo

Hubble si prepara a riprendere l’Universo come era solo poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, per ottenere così una immagine complessiva delle galassie primordiali con un dettaglio mai raggiunto prima. Per mettere in pratica l’ambizioso programma i sofisticati sensori del telescopio spaziale, recentemente aggiornati dagli astronauti dello Shuttle, verranno utilizzati in maniera intensiva nell’arco dei prossimi tre anni: ben tre mesi e mezzo di riprese complessive delle galassie più distanti. Mai prima d’ora era stato assegnato tanto tempo osservativo per un singolo progetto scientifico di Hubble.

Nel team internazionale di ricercatori partecipano anche gli astronomi dell’INAF Adriano Fontana e Andrea Grazian, dell’Osservatorio Astronomico di Roma, e Alvio Renzini dell’Osservatorio Astronomico di Padova. “Sarà come osservare il ‘giardino d’infanzia’ delle galassie” commenta con soddisfazione Adriano Fontana. “L’Universo oggi ha 13,7 miliardi di anni: noi osserveremo le galassie che lo popolavano da quando aveva solo 500 milioni di anni fino a quando ne aveva circa 5 miliardi. Le prime galassie erano estremamente diverse da quelle di oggi: erano ‘blob’ informi, centinaia di volte più piccoli delle galassie odierne, ben diverse dalle eleganti galassie a spirale o ellittiche che vediamo intorno alla Via Lattea, ma erano attivissime nel formare stelle. Prevediamo di osservare oltre 250.000 galassie, e di ricostruire così la storia dell’Universo nei suoi primi 5 miliardi di anni. Lo scopo finale è quello di comprendere meglio i fenomeni fisici che hanno plasmato l’evoluzione delle galassie fino a far loro assumere la forma che osserviamo oggi”.

Galassie distanti fino a 12 miliardi di anni luce da noi riprese dal telescopio spaziale Hubble.

Credit: NASA, ESA

“L’altro obiettivo principale di queste osservazioni è identificare le Supernovae che esplodono in queste galassie remote” ribadisce Alvio Renzini. “Le Supernovae sono prodotte da stelle che esplodono alla fine del loro ciclo evolutivo, e sono utilizzate come ‘candele standard’, cioè come indicatori della distanza delle galassie in cui risiedono. Proprio studiando le Supernovae gli astronomi hanno trovato i primi indizi dell’esistenza dell’Energia Oscura, che pervade l’Universo e ne provoca l’espansione accelerata che osserviamo oggi. Identificando per la prima volta Supernovae così lontane potremo raffinare queste misure e capire se le stelle che esplodono nell’Universo primordiale, e quindi molto distanti da noi, sono simili a quelle dell’Universo vicino, giustificando il loro uso come candele standard”.

“Il nostro ruolo sarà quello di collaborare all’analisi dell’enorme quantità di dati che questo progetto produrrà” conclude Andrea Grazian “e, soprattutto, quello di coordinare ed eseguire le osservazioni complementari con i grandi telescopi da Terra, come il Very Large Telescope in Cile o il Large Binocular Telescope in Arizona. Per avere la migliore visione possibile dell’Universo primordiale, oltre le fondamentali riprese di Hubble, è infatti necessario collezionare e integrare i dati raccolti da tutti i principali osservatori del mondo”.


Articolo originale:
INAF media (con una Intervista audio ad Adriano Fontana: “Che ne sarà dei dati di Hubble man mano che verranno raccolti?”)

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Nuove particelle dal centro della Terra

di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova-Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)-Osservatorio Astronomico di Padova

 
Uno schema semplificato dell’interno della Terra.

Per la prima volta nella storia della scienza particelle provenienti dall’interno della Terra sono state rilevate dai laboratori sotterranei del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Una scoperta compiuta dai ricercatori di Borexino provenienti da vari istituti italiani, americani, tedeschi, russi e polacchi e coordinati dal Professor Giampaolo Bellini dell’INFN di Milano. In particolare, sono stati osservati i “geoneutrini”, le più piccole ed elusive particelle di antimateria provenienti dall’interno del nostro pianeta, una sorta di antineutrini di origine terrestre.
Queste particelle sono il risultato del decadimento degli elementi radioattivi che si trovano a migliaia di chilometri sotto la crosta terrestre. Il decadimento produce enormi quantità di calore che fa poi spostare i continenti, scioglie le rocce e le trasforma in magma e lavi per i vulcani.

L’esistenza dei geoneutrini e della radioattività che ne consegue permettono di spiegare le enormi energie che provengono dalle parti centrali della Terra, una delle principali fonti di energia del pianeta, anche se non l’unica. Anzi, con questa scoperta, viene smentita la teoria secondo la quale al centro del nostro pianeta vi sarebbe un enorme reattore nucleare che da solo lo riscalda tutto.

Già in passato, ricercatori giapponesi erano sulla strada giusta per la rilevazione dei geoneutrini, ma i loro rivelatori non erano stati in grado di segnalarli per via della presenza di centrali nucleari troppo vicine alla zona dell’esperimento che con i loro antineutrini andavano continuamente a disturbarne la rilevazione. I laboratori del Gran Sasso dell’INFN, lontani almeno 500 chilometri dalla più vicina centrale nucleare, hanno rilevato un segnale non contaminato della radioattività naturale del nostro pianeta, grazie soprattutto alla radiopurezza di Borexino, unica al mondo. Con questo esperimento, si potrà avere un’idea della quantità dell’Uranio, elemento radioattivo, presente sulla Terra e cercare di identificare preziosi giacimenti di combustibili nucleari.

Per il Professor Giampaolo Bellini “questa scoperta apre una nuova era nello studio dei meccanismi che governano l’interno della Terra. Uno studio esteso dei geoneutrini in vari punti della Terra darà la possibilità di avere informazioni più precise sul calore prodotto nel mantello terrestre, e quindi sui moti convettivi che sono alla base dei fenomeni vulcanici e dei movimenti tettonici“.

E’ un grande regalo per i ricercatori di Borexino che da anni si applicano sullo studio dei geoneutrini. Lucia Votano, Direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso afferma che “l’esperimento stava già dando importanti informazioni sul funzionamento interno del Sole e adesso ha prodotto la prima misura mondiale dei geoneutrini provenienti dalle profondità del nostro pianeta. Ancora una volta i Laboratori del Gran Sasso dimostrano di essere un centro di ricerca di eccellenza nel campo della fisica astro particellare“.

Con i geoneutrini possiamo guardare direttamente all’interno della Terra fino a migliaia di chilometri di profondità. Ancora una volta, il nostro pianeta è un enorme laboratorio ricco di sorprese.

Fonte: Istituto Nazionale di Astrofisica, Comunicazione – Comunicati stampa 02-03-2010- Primo sguardo al centro della Terra dalle viscere del Gran Sasso: http://www.infn.it/indexit.php .

Sabrina

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