di Sabrina Masiero, Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – Osservatorio Astronomico di Padova

Grazie ad una survey estremamente dettagliata e approfondita compiuta utilizzando due dei quattro telescopi giganti da 8.2 metri del Very Large Telescope (VLT) dell’European Sourthern Observatory (ESO) con un apposito filtro, è stato possibile determinare che un grande numero di galassie di circa 10 miliardi di anni luce di distanza da noi sono rimaste finora non osservabili. Alcune di queste galassie molto deboli in luminosità si trovano in uno stato iniziale dell’Universo mai osservato prima. E’ noto che in molte osservazioni dell’Universo più distante una grande quantità di luce emessa dai corpi celesti non viene rilevata, ossia che molte galassie distanti vanno perse nelle survey di osservazione.  Effettivamente, la nuova osservazione di VLT dimostra, per la prima volta, che questo è quello che esattamente sta succedendo ed è stato possibile superare questa barriera.

L’impronta digitale della luce emessa dall’idrogeno, e nota come riga Lyman-alfa, è fondamentale per determinare il numero di stelle che si sono formate in un Universo molto lontano. La luce Lyman-alfa corrisponde alla luce emessa all’idrogeno eccitato che si ha quando gli elettroni, che ruotano intorno al nucleo, saltano dal primo livello eccitato a quello più basso, detto anche “livello fondamentale”. Questa luce è emessa nella banda ultravioletta, a 121.6 nm. La riga Lyman-alfa è la prima della serie denominata Lyman, dal nome del suo scopritore, Theodore Lyman.
Quello che si è osservato è che la maggior parte di questa luce Lyman-alfa resta intrappolata dentro la galassia che la emette e il 90% delle galassie non si mostra alle indagini condotte in Lyman-alfa.

Gli astronomi hanno sempre saputo che stavano perdendo qualche frazione delle galassie nelle osservazioni Lyman-alfa” racconta Matthew Hayes, primo autore dell’articolo apparso su “Nature” pochi giorni fa dal titolo“Escape of about five per cent of Lyman-a photons from high-redshift star-forming galaxies”, “ma – continua Hayes – per la prima volta ora noi abbiamo una misurazione. Il numero di galassie perse è sostanziale”.
Il team è composto da Matthew Hayes, Daniel Schaerer, e Stéphane de Barros (Observatoire Astronomique de l’Université de Genève, Switzerland), Göran Östlin e Jens Melinder (Stockholm University, Sweden), J. Miguel Mas-Hesse (CSIC-INTA, Madrid, Spain), Claus Leitherer (Space Telescope Science Institute, Baltimore, USA), Hakim Atek and Daniel Kunth (Institut d’Astrophysique de Paris, France), e Anne Verhamme (Oxford Astrophysics, U.K.).

Hayes e il suo team hanno usato la camera FORS del VLT oltre ad un apposito filtro in banda stretta (filtro ideato per far passare soltanto uno stretto intervallo di frequenze della radiazione, centrato intorno a una specifica lunghezza d’onda) per misurare la luce Lyman-alfa, secondo la metodologia classica delle osservazioni in Lyman-alfa. Successivamente, con la nuova camera HAWK-I, unita ad un altro telescopio del VLT, hanno esaminato la stessa area dello spazio per luce emessa ma a una differente lunghezza d’onda, anche questa emessa dall’idrogeno eccitato, e conosciuta come la riga H-alfa.

Indirizzando lo sguardo alle galassie la cui luce stava viaggiando da 10 miliardi di anni, in una ben conosciuta area del cielo, chiamata campo GOODS-South.

E’ stata la prima volta che abbiamo osservato un pezzo di cielo così approfonditamente nella luce prodotta dall’idrogeno a queste due estremamente specifiche lunghezze d’onda, e questa prova è stata cruciale, “ afferma Göran Östlin, membro del team di ricercatori che ha portato avanti la scoperta.

Grazie a questo studio si può effettivamente concludere che solo una piccola parte della luce totale prodotta si può osservare con le tradizionali osservazioni con la Lyman-alfa, dato che buona parte della radiazione Lyman-alfa va persa nella interazione con le nubi interstellari di gas e polvere.
Questo effetto è drammaticamente più significativo per la frequenza Lyman-alfa che per quella H-alfa. Emerge che circa il 90% delle galassie osservate, vanno perse in queste survey. “Se sono visibili dieci galassie, allora potrebbe essere che ce ne siano cento,” conclude Hayes.

Differenti metodi di osservazione, basati sulla luce emessa a differenti lunghezze d’onda, permetteranno di approfondire la conoscenza del nostro Universo.

Resta il fatto che ora si ha la prova che la Lyman-alfa diventa via via sempre più affidabile nell’esaminare le primissime galassie formatesi nella storia dell’Universo. “Ora che sappiamo quanta luce stavamo perdendo, possiamo cominciare a creare una più accurata rappresentazione del cosmo, comprendendo meglio con che velocità le stelle si siano formate in tempi differenti nella vita dell’Universo,” dice il co-autore Miguel Mas-Hesse.

Questo grande risultato è stato possibile grazie alle caratteristiche uniche dello strumento utilizzato. HAWK-I. “Ci sono soltanto poche altre camere con un più ampio campo di vista di HAWK-I – afferma  Daniel Schaerer, componente del team – ma sono telescopi grandi meno della metà del VLT. Per questo soltanto VLT/HAWK-I è in grado di trovare galassie dalla debole luminosità, per quanto distanti”.

Eso Press Release: http://www.eso.org/public/news/eso1013/ .

Sabrina

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