Blog di Marco Castellani

Giorno: 14 Aprile 2010

A soqquadro la rivoluzione dei pianeti

 

Scopri nuovi pianeti extra solari e finisce che ti crolla l’intera teoria sulla loro formazione e moto di rivoluzione. Fino ad oggi si riteneva che le orbite dei pianeti si formassero sullo stesso piano dell’asse della stella ospitante e che il senso della rivoluzione seguisse il verso di rotazione del loro sole. Che è quanto avviene nel nostro sistema solare. Ma non è sempre così, come dimostra la scoperta di pianeti con rivoluzioni retrograde e forti inclinazioni rispetto all’asse della loro stella. L’inaspettata scoperta, resa nota in un comunicato dell’ESO, è stata presentata al Congresso degli astronomi del Regno Unito e si basa sul confronto dei dati relativi a “vecchi” e “nuovi” esopianeti.

Tutto nasce dalla scoperta di nove nuovi pianeti extrasolari (esopianeti, in totale siamo a 452), compiuta grazie al Wide Angle Search for Planets (WASP) dell’Osservatorio La Silla in Cile . Quando i dati derivanti da questi nuovi pianeti (ottenuti anche grazie allo spettrografo HARPS) sono stati combinati con le più recenti osservazioni degli esopianeti nella fase di transizione davanti alla loro stella, gli astronomi sono rimasti sorpresi nel trovare che sei su 27 orbitavano nella direzione opposta alla rotazione del loro sole – l’esatto contrario, dicevamo, di quanto accade nel nostro Sistema Solare. La nuova scoperta rappresenta un’inaspettata quanto seria sfida all’attuale teoria sulla formazione dei pianeti e suggerisce che i sistemi con pianeti extrasolari denominati Giove bollenti poco probabilmente potrebbero “ospitare” pianeti come la Terra.

 

Per tener conto dei nuovi esopianeti con moto di rivoluzione retrograda, è stata proposta una teoria alternativa: questa suggerisce che la vicinanza dei Giove caldi ai loro soli non sia dovuta all’interazione con il disco di polvere, ma ad un più lento processo evolutivo che chiama in causa una sorta di tiro alla fune con compagni planetari o stellari molto più distanti della durata di centinaia di milioni di anni. Dopo che questi disturbi gravitazionali hanno portato l’esopianeta gigante in un’orbita inclinata e allungata, questi subirebbe l’effetto delle maree, perdendo energia a ogni giro passando vicino al suo sole. E un drammatico effetto di questo processo è che ogni altro pianeta piccolo come la Terra esistente in questi sistemi verrebbe espulso.

Articolo originale apparso su Media INAF

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Quei vulcani attivi su Venere

di Sabrina Masiero


L’Idunn Mons su Venere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ESA.

Per la prima volta si è trovata una chiara evidenza di getti recenti di lava sulla superficie di Venere.
Le osservazioni mostrano che i vulcani venusiani devono aver eruttato in un intervallo di tempo compreso tra alcune centinaia di anni fino a circa 2.5 milioni di anni fa, rivelando un Venere ancora geologicamente attivo e rendendolo uno dei pochi mondi del nostro Sistema Solare ancora vulcanicamente attivo.

Le prove sono emerse dalla missione Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che è in orbita intorno al pianeta dall’aprile 2006. La mappatura radar compiuta dalla sonda Magellan della NASA dal 1990 al 1994 ha permesso di coprire circa il 98% della superficie del pianeta e di raccogliere dati gravitometrici ad alta risoluzione che sono stati utilizzati per ottenere l’immagine riportata qui sopra.

Essa mostra l’Idunn Mons, un vulcano di 2.5 km di altezza che copre un’area di 200 km circa. All’immagine radar ottenuta dalla sonda Magellan è stata sovrapposta l’immagine termica ottenuta dal Visibile and Infrared Thermal Imaging Spectrometer (VIRTIS) della Venus Express.

Nell’immagine radar (e non in quella altimetrica) – afferma il Prof. Giuseppe Galletta dell’Università degli Studi di Padova – le zone chiare sono quelle frastagliate o irregolari, che riflettono il segnale radar inviato dalla sonda durante il sorvolo, mentre quelle scure sono zone piatte e inclinate, che appaiono così perché il segnale viene riflesso altrove e non torna indietro.  Di conseguenza, le aree più chiare rappresentano terreni irregolari, quelle più scure invece zone in cui il terreno è piatto. Il raggio radar del satellite è obliquo rispetto al terreno e non perpendicolare al suolo e così viene riflesso indietro solo se il terreno ha delle asperità piccole (rispetto alla lunghezza d’onda radar) con facce rivolte al satellite. La zona appare luminosa nell’eco ricevuto dal satellite. Se il terreno è più liscio (sempre rispetto alle lunghezze d’onda usate) il raggio radar viene riflesso nella direzione opposta e non viene percepito dal satellite. La zona appare scura. Perciò in un’immagine radar del terreno di un pianeta: scuro=piatto come nelle pianure o zone erose, chiaro=frastagliato (come nelle colate laviche con rocce irregolari)”.

In giallo-rosso sono rappresentate le temperature più alte, in verde e violetto quelle più basse.
L’Idunn Mons appare dunque più caldo delle zone limitrofe non perché sta eruttando, quando piuttosto per la sua diversa composizione chimica. Getti di lava relativamente recenti sono stati individuati dal fatto che emettono radiazione infrarossa e rendono il pianeta ancora potenzialmente attivo da un punto di vista vulcanico.

La scoperta è stata pubblicata dalla rivista “Science” l’8 aprile scorso.
La storia geologica di Venere era da molto tempo un mistero” afferma Sue Smrekar, ricercatore presso il Jet Propulsion Laboratori della Nasa, a Pasadena (California) e primo autore dell’articolo.  “Le precedenti missioni ci avevano fornito un indizio sull’attività vulcanica, ma non sapevamo quanto tempo fa questi eventi erano effettivamente avvenuti. Ora abbiamo una forte evidenza di eruzioni recenti proprio sulla superficie”.

Venere ha circa 1.000 crateri: una superficie poco densamente craterizzata dal bombardamento meteoritico rispetto agli altri corpi del Sistema Solare. Si pensa che questo sia il risultato dell’attività vulcanica avvenuta su arco temporale molto lungo, e probabilmente non ancora concluso.
Inoltre Smrekar e il suo gruppo hanno osservato delle evidenze di minerali nei getti lavici più recenti. Sulla Terra, il flusso lavico reagisce rapidamente con l’ossigeno e gli altri elementi presenti nell’atmosfera; su Venere il processo è simile, sebbene molto più intenso e col suo fluire viene a cambiare la superficie stessa.

Fonte: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-121
Il video è disponibile su: http://www.jpl.nasa.gov/video/index.cfm?id=900
Per altre informazioni visitate il sito dell’ESA: http://www.esa.int/esaCP/SEMUKVZNK7G_index_0.html .

Ringrazio il Prof. Giuseppe Galletta dell’Università degli Studi di Padova per la revisione all’articolo. Il Suo contributo nella spiegazione dell’immagine radar è stato determinante per una corretta e migliore spiegazione del fenomeno.

Ringrazio Marco per la pubblicazione di questo articolo, naturalmente, su questo splendido Blog!

Sabrina

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