“l’entusiasmo della dedizione è imparagonabile all’entusiasmo della bellezza”
(Luigi Giussani, citato qui)
“l’entusiasmo della dedizione è imparagonabile all’entusiasmo della bellezza”
(Luigi Giussani, citato qui)
Questa immagine, ottenuta il 15 aprile 2010 dal Medium Resolution Imaging Spectrometer (MERIS) a bordo di Envisat, mostra la vasta nube di polvere emessa dal vulcano islandese. Disponibile su: http://www.esa.int/esaCP/SEMJLY9MT7G_Italy_1.html
In questa immagine ottenuta dallo strumento MERIS del satellite Envisat dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ottenuta il 15 aprile 2010 alle ore 13:25, è ben evidente la gigantesca nube di cenere prodotta dall’eruzione del vulcano islandese situato sotto il ghiacciaio Eyjafjallajokul nel sud ovest del paese.
Questa cenere che viene trasportata dai venti verso i paesi del Regno Unito a più di 1000 chilometri di distanza, può causare seri danni ai reattori degli aerei, e di conseguenza, le autorità competenti di molti aeroporti del Regno Unito, Scandinavia e di altri paesi europei (nelle prossime ore anche del nostro) hanno soppresso tutti i voli. In particolare, sono stati chiusi gli aeroporti di Gran Bretagna, Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Belgio e Olanda. Nella serata del 15 aprile è arrivata la notizia della chiusura dello spazio aereo nel nord della Polonia, degli aeroporti di Parigi, di altri 23 scali francesi e di quelli tedeschi di Berlino e Amburgo. In Italia bloccati tutti i voli di tutte le compagnie aeree in partenza per il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo, l’Irlanda e il Regno Unito.
La cenere, quella lunga scia grigia nell’immagine, si muove da ovest verso est a circa 11 chilometri dalla superficie terrestre.
Il vulcano è entrato in eruzione il 20 marzo 2010 dopo un lungo periodo di “tranquillità” che risaliva fin dal 1821, e mercoledì 14 aprile 2010 è avvenuta la sua seconda eruzione che ha comportato lo scioglimento del ghiacciaio e gravi inondazioni in tutta la regione.
Una spettacolare animazione, ottenuta dal Dipartimento di Ricerca Climatica e Atmosferica dell’Istituto Norvegese per la Ricerca Atmosferica, è visibile nella pagina dell’ESA: http://www.esa.int/esaCP/SEMJLY9MT7G_Italy_1.html#subhead1 ottenuta da un modello di previsione che si basa sulla rilevazione dell’anidride solforosa nella nube di cenere provocata dall’eruzione del vulcano.
Fonte: ESA Portal Italy: http://www.esa.int/esaCP/SEMJLY9MT7G_Italy_0.html .
Sabrina
Non è una stella perché la sua temperatura è bassissima. Ha le dimensioni di Giove, il più grande pianeta del Sistema Solare, e una massa da 5 a 30 volte maggiore. Vaga solitario a meno di 10 anni luce dalla Terra. Secondo il gruppo di ricerca che ha scoperto questo strano oggetto, si tratta della nana bruna più vicina finora nota. A descrivere il corpo celeste, chiamato in sigla UGPS 0722-05, è stato Philip Lucas dell’Università di Hertfordshire, in un articolo su arXiv.org (“Discovery of a very cool brown dwarf amongst the ten nearest stars to the Solar System.“)
Le nane brune, spiegano i ricercatori, hanno una massa troppo piccola per sostenere una fusione nucleare, come accade per le stelle come il nostro Sole. La nana bruna scoperta dal gruppo di Lucas è stata individuata nello spettro infrarosso. Si trova a soli 9,6 anni luce dalla Terra, circa il doppio della distanza fra Proxima Centauri e il Sole, la stella limitrofa al nostro sistema planetario. Dalle prime misure sembra che la nana bruna sia anche la più fredda mai scoperta, con temperature che vanno da 130 a 230 gradi: per eguagliare l’energia del Sole occorrerebbero 3,8 miliardi di stelle come queste. Le nane brune furono scoperte nel 1995, e da allora gli astronomi ne hanno scoperte diverse centinaia. Si stima che le nane brune siano circa un terzo del numero di stelle.
Scopri nuovi pianeti extra solari e finisce che ti crolla l’intera teoria sulla loro formazione e moto di rivoluzione. Fino ad oggi si riteneva che le orbite dei pianeti si formassero sullo stesso piano dell’asse della stella ospitante e che il senso della rivoluzione seguisse il verso di rotazione del loro sole. Che è quanto avviene nel nostro sistema solare. Ma non è sempre così, come dimostra la scoperta di pianeti con rivoluzioni retrograde e forti inclinazioni rispetto all’asse della loro stella. L’inaspettata scoperta, resa nota in un comunicato dell’ESO, è stata presentata al Congresso degli astronomi del Regno Unito e si basa sul confronto dei dati relativi a “vecchi” e “nuovi” esopianeti.
Tutto nasce dalla scoperta di nove nuovi pianeti extrasolari (esopianeti, in totale siamo a 452), compiuta grazie al Wide Angle Search for Planets (WASP) dell’Osservatorio La Silla in Cile . Quando i dati derivanti da questi nuovi pianeti (ottenuti anche grazie allo spettrografo HARPS) sono stati combinati con le più recenti osservazioni degli esopianeti nella fase di transizione davanti alla loro stella, gli astronomi sono rimasti sorpresi nel trovare che sei su 27 orbitavano nella direzione opposta alla rotazione del loro sole – l’esatto contrario, dicevamo, di quanto accade nel nostro Sistema Solare. La nuova scoperta rappresenta un’inaspettata quanto seria sfida all’attuale teoria sulla formazione dei pianeti e suggerisce che i sistemi con pianeti extrasolari denominati Giove bollenti poco probabilmente potrebbero “ospitare” pianeti come la Terra.
Per tener conto dei nuovi esopianeti con moto di rivoluzione retrograda, è stata proposta una teoria alternativa: questa suggerisce che la vicinanza dei Giove caldi ai loro soli non sia dovuta all’interazione con il disco di polvere, ma ad un più lento processo evolutivo che chiama in causa una sorta di tiro alla fune con compagni planetari o stellari molto più distanti della durata di centinaia di milioni di anni. Dopo che questi disturbi gravitazionali hanno portato l’esopianeta gigante in un’orbita inclinata e allungata, questi subirebbe l’effetto delle maree, perdendo energia a ogni giro passando vicino al suo sole. E un drammatico effetto di questo processo è che ogni altro pianeta piccolo come la Terra esistente in questi sistemi verrebbe espulso.
Articolo originale apparso su Media INAF
di Sabrina Masiero
L’Idunn Mons su Venere. Crediti: NASA/JPL-Caltech/ESA.
Per la prima volta si è trovata una chiara evidenza di getti recenti di lava sulla superficie di Venere.
Le osservazioni mostrano che i vulcani venusiani devono aver eruttato in un intervallo di tempo compreso tra alcune centinaia di anni fino a circa 2.5 milioni di anni fa, rivelando un Venere ancora geologicamente attivo e rendendolo uno dei pochi mondi del nostro Sistema Solare ancora vulcanicamente attivo.
Le prove sono emerse dalla missione Venus Express dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che è in orbita intorno al pianeta dall’aprile 2006. La mappatura radar compiuta dalla sonda Magellan della NASA dal 1990 al 1994 ha permesso di coprire circa il 98% della superficie del pianeta e di raccogliere dati gravitometrici ad alta risoluzione che sono stati utilizzati per ottenere l’immagine riportata qui sopra.
Essa mostra l’Idunn Mons, un vulcano di 2.5 km di altezza che copre un’area di 200 km circa. All’immagine radar ottenuta dalla sonda Magellan è stata sovrapposta l’immagine termica ottenuta dal Visibile and Infrared Thermal Imaging Spectrometer (VIRTIS) della Venus Express.
“Nell’immagine radar (e non in quella altimetrica) – afferma il Prof. Giuseppe Galletta dell’Università degli Studi di Padova – le zone chiare sono quelle frastagliate o irregolari, che riflettono il segnale radar inviato dalla sonda durante il sorvolo, mentre quelle scure sono zone piatte e inclinate, che appaiono così perché il segnale viene riflesso altrove e non torna indietro. Di conseguenza, le aree più chiare rappresentano terreni irregolari, quelle più scure invece zone in cui il terreno è piatto. Il raggio radar del satellite è obliquo rispetto al terreno e non perpendicolare al suolo e così viene riflesso indietro solo se il terreno ha delle asperità piccole (rispetto alla lunghezza d’onda radar) con facce rivolte al satellite. La zona appare luminosa nell’eco ricevuto dal satellite. Se il terreno è più liscio (sempre rispetto alle lunghezze d’onda usate) il raggio radar viene riflesso nella direzione opposta e non viene percepito dal satellite. La zona appare scura. Perciò in un’immagine radar del terreno di un pianeta: scuro=piatto come nelle pianure o zone erose, chiaro=frastagliato (come nelle colate laviche con rocce irregolari)”.
In giallo-rosso sono rappresentate le temperature più alte, in verde e violetto quelle più basse.
L’Idunn Mons appare dunque più caldo delle zone limitrofe non perché sta eruttando, quando piuttosto per la sua diversa composizione chimica. Getti di lava relativamente recenti sono stati individuati dal fatto che emettono radiazione infrarossa e rendono il pianeta ancora potenzialmente attivo da un punto di vista vulcanico.
La scoperta è stata pubblicata dalla rivista “Science” l’8 aprile scorso.
“La storia geologica di Venere era da molto tempo un mistero” afferma Sue Smrekar, ricercatore presso il Jet Propulsion Laboratori della Nasa, a Pasadena (California) e primo autore dell’articolo. “Le precedenti missioni ci avevano fornito un indizio sull’attività vulcanica, ma non sapevamo quanto tempo fa questi eventi erano effettivamente avvenuti. Ora abbiamo una forte evidenza di eruzioni recenti proprio sulla superficie”.
Venere ha circa 1.000 crateri: una superficie poco densamente craterizzata dal bombardamento meteoritico rispetto agli altri corpi del Sistema Solare. Si pensa che questo sia il risultato dell’attività vulcanica avvenuta su arco temporale molto lungo, e probabilmente non ancora concluso.
Inoltre Smrekar e il suo gruppo hanno osservato delle evidenze di minerali nei getti lavici più recenti. Sulla Terra, il flusso lavico reagisce rapidamente con l’ossigeno e gli altri elementi presenti nell’atmosfera; su Venere il processo è simile, sebbene molto più intenso e col suo fluire viene a cambiare la superficie stessa.
Fonte: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-121
Il video è disponibile su: http://www.jpl.nasa.gov/video/index.cfm?id=900
Per altre informazioni visitate il sito dell’ESA: http://www.esa.int/esaCP/SEMUKVZNK7G_index_0.html .
Ringrazio il Prof. Giuseppe Galletta dell’Università degli Studi di Padova per la revisione all’articolo. Il Suo contributo nella spiegazione dell’immagine radar è stato determinante per una corretta e migliore spiegazione del fenomeno.
Ringrazio Marco per la pubblicazione di questo articolo, naturalmente, su questo splendido Blog!
Sabrina
Nelle galassie come questa, gas e polveri appaiono concentrate nei bracci di spirale. Le zone più dense di stelle stimolano la formazione di nuove strutture stellari (in questa immagine sono raffigurate in verde e giallo). La parte del nucleo, di colore rosso nell’immagine, è anche una zona di formazione di nuove stelle, che a loro volta riscaldano gas e polveri contenuti in abbondanza in tale zona. Infine, le stelle che appaiono in colore blu, in realtà appartengono alla nostra Via Lattea, e si trovano nella linea di vista tra noi e IC 342.
La galassia è sempre stata di grande interesse per gli astronomi, a motivo della sua vicinanza. Tuttavia, determinarne la distanza dalla Terra non si è mai rivelato un compito facile, proprio a motivo della sua posizione un po’ “nascosta”. Edvin Hubble (più famoso per la omonima legge, che regola la velocità di allontanamento delle galassie per l’espansione cosmica) la ritenne un membro del Gruppo Locale. ma le stime correnti la pongono più lontano, tra i 6,6 e gli 11 milioni di anni luce da noi.
Powered by WordPress & Theme by Anders Norén
Apri un sito e guadagna con Altervista - Disclaimer - Segnala abuso