Blog di Marco Castellani

Mese: Maggio 2010 Page 1 of 3

Swift indaga sui processi di fusione tra galassie

Dati da una survey in corso da parte del satellite SWIFT della NASA hanno contribuito a risolvere un mistero durato diversi anni, riguardante il motivo per il quale sembra che sia solo una esigua minoranza di buchi neri ad emettere una grande quantità di energia.

Dai dati che avevamo finora,  sapevamo come solo circa l’uno per cento dei buchi neri di grande massa seguisse tale comportamento “alto energetico”. Le nuove scoperte sono importanti perché  confermano che i buchi neri in effetti si “illuminano” durante le collisioni galattiche; di più, i dati possono fornire interessanti “anticipazioni” sul comportamento del buco nero che si trova al centro della Via Lattea. I risultati di questo studio appariranno il mese prossimo sulla prestigiosa Astrophysical Journal Letter.

Le controparti ottiche di alcuni AGN individuati da Swift, mostrano chiaramente processi di fusione galattica in corso... NASA/Swift/NOAO/Michael Koss and Richard Mushotzky (Univ. of Maryland)

La radiazione molto intensa emessa dalla zona centrale della galassia (nucleo), si concentra intorno al buchi neri supermassivo che spesso risiede al centro della galassia stessa. I processi implicati forniscono anche una energia pari a circa dieci miliardi di volte quella del Sole: questi “nuclei galattici attivi” risultano dunque tra gli oggetti in assoluto più luminosi dell’intero Universo.

La survey di Swift ha chiarito questo quadro, mostrando come in diversi casi soltanto le indagini in banda “X dura” possono aiutare ad individuare tali fenomeni. Per quanto siano altamente energetici, infatti, si è capito come la presenza di gas e polveri intorno ai buchi neri stessi, possa in molti casi bloccare gran parte della radiazione interessata. Sfuggirebbe in realtà la parte più infrarossa, ma questa poi viene spesso confusa dagli strumenti come un segno di emissione da galassie con fresca formazione stellare – tutto un altro ambito, potremmo dire!

NASA Swift Press Release

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A rischio l’Istituto Nazionale di Astrofisica

Ripubblichiamo volentieri dal sito INAF la notizia della lettera al Presidente della Repubblica, che fa seguito alla decisione della recente finanziaria di sciogliere l’Istituto Nazionale di Astrofisica accorpandone le risorse umane e materiali al CNR.

La notizia è arrivata improvvisa senza alcuna concertazione con i diretti interessati, incluso lo stesso direttore dell’ente, Tommaso Maccacaro. Non infondate a nostro avviso le preoccupazioni per la sorte della ricerca scientifica ed astronomica nel nostro paese, nonché per il destino lavorativo delle molte persone impiegate a tempo determinato, espresse da più parti in questi giorni (MC).

Il Consiglio Scientifico dell’INAF si è rivolto con una lettera al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Nella lettera, recapitata questa mattina, si legge tra l’altro: “Ci appelliamo a Lei Signor Presidente, che da sempre considera la ricerca e la formazione come passaggi indispensabili per la crescita economica, perché esorti il Governo ad un esame più attento dell’attività del nostro Istituto e delle conseguenze negative che una tale scelta avrebbe sulla comunità astrofisica italiana, una delle più competitive a livello mondiale”.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il Consiglio Scientifico evidenzia come l’accorpamento con il CNR metterebbe a rischio gli accordi internazionali in essere e aggiunge: “Senza produrre alcuna apprezzabile economia di scala, lo smembramento dell’INAF all’interno del CNR provocherebbe una irreversibile, pesante caduta della ricerca astrofisica italiana. A pochi mesi dalla chiusura a Padova delle celebrazioni internazionali promosse dall’UNESCO per l’Anno Internazionale, questa decisione suona come una beffa, oltre che un tragico errore.

La lettera è per conoscenza al Ministro Gelmini alla quale invece si è rivolto direttamente il Comitato dei Direttori dell’INAF: “Nonostante le difficoltà di questi anni il nostro Paese, grazie ai ricercatori dell’INAF ha migliorato e consolidato la sua posizione internazionale nel campo della ricerca astronomica, disciplina che, oltre ad una notevole valenza scientifica e culturale, ha notevoli ricadute sull’industria nazionale che così ha potuto competere per la realizzazione di strumentazione scientifica di avanguardia. Risultati ottenuti grazie alla partecipazione attiva e qualificata di giovani ricercatori non strutturati che si dimostrano sempre estremamente competitivi nel panorama europeo e mondiale. Oggi, le ragioni che portarono alla costituzione dell’INAF appaiono intatte. Una struttura indipendente ha infatti, oltre ad una migliore capacità di promuovere la ricerca di punta, anche quella di rappresentare autorevolmente l’Italia nei grandi progetti internazionali. Questa è una sfida che la comunità astrofisica italiana si sente in grado di affrontare in modo autonomo anche considerando che, sotto l’impulso del MIUR, si è avviata una fase di riordino di tutti gli Enti di Ricerca”.

Segnaliamo inoltre la trasmissione radiofonica “Caccia al fotone” con Tocci, Cattaneo e Maccacaro

Lettera del Consiglio Scientifico al Presidente Napolitano

Lettera del Comitato dei Direttori al Ministro Gelmini

(Dal sito INAF Media)

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Seconda sepoltura per Copernico 500 anni dopo

di Sabrina Masiero

 

Fonte Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Jan_Matejko-Astronomer_Copernicus-Conversation_with_God.jpg . Jan Matejko (1838-1893), L’astronomo Copernico con Dio (1872).

 
Copernico visse tra il 1473 e il 1543. Morì come un astronomo poco conosciuto mentre stava lavorando in una remota zona della Polonia del nord, lontano dal centro di cultura europea dell’epoca. Aveva dedicato molti anni di lavoro per sviluppare la sua teoria dell’eliocentrismo, che fu alla fine condannata come eretica dalla Chiesa perchè spostava la Terra e l’umanità dalla sua posizione centrale nell’Universo.

Il suo modello rivoluzionario si basava su complessi calcoli matematici e osservazioni del cielo ad occhio nudo, dato che il cannocchiale non era ancora stato costruito e puntato verso il cielo. Per quest’ultimo punto, si sarebbe dovuto aspettare l’ingegno di Galileo Galilei nel 1609, anche se, solo qualche mese prima, Thomas Harriot aveva osservato la Luna con un cannocchiale, ma senza raggiungere i livelli di intuito di Galileo.

Dopo la sua morte, i resti di Copernico rimasero in una tomba anonima sotto il pavimento della Cattedrale di Frombork, sulla costa baltica della Polonia, in una posizione non precisata. Nel 2005 su richiesta del vescovo locale, degli archeologi polacchi iniziarono a compiere delle ricerche, rinvenendo alla fine le ossa e il cranio di un uomo deceduto all’età di circa 70 anni. Era la stessa che Copernico aveva il giorno della sua morte, quando prima di spirare gli fu consegnata una copia del “De Revolutionibus Orbium Coelestium” il suo trattato sulla rivoluzione delle sfere celesti, che era stato appena pubblicato.

Jerzy Gassowski, professore di archeologia che ha seguito le ricerche, ha realizzato una ricostruzione facciale dal cranio ritrovato nella Cattedrale, molto simile ai ritratti ufficiali di Copernico che sono giunti fino a noi, mostrandolo com’era all’età di 70 anni.

Fonte La Repubblica.it: http://www.repubblica.it/scienze/2010/05/22/foto/sepolto_niccol_copernico-4264625/1/ .

Da queste ossa e dallo studio dei denti in particolare, è stato ricavato il DNA. Le ossa non erano in buone condizioni tanto che il corpo non era stato rinvenuto completo. Grazie a tecniche di medicina legale, il DNA prelevato dai resti umani è stato comparato con quello rinvenuto in qualche capello di Copernico trovato dentro i suoi libri nella Biblioteca dell’Università svedese di Uppsala. Il codice genetico è risultato lo stesso. Di qui la conclusione nel 2008 del Prof. Gassowski e della Dr.ssa Marie Allen, esperta di DNA, di aver rinvenuto il corpo mortale dell’astronomo.

Le spoglie dello scienziato sono finalmente uscite dall’oblio della storia: 467 anni dopo la sua morte, i resti di Niccolò Copernico sono stati nuovamente inumati nella Cattedrale di Frombork il 22 maggio 2010, con una tomba nuova di granito nero e con incisa la rappresentazione di un modello di sistema solare.

Fonte della sepoltura di Copernico (22 maggio 2010) su La Repubblica.it: http://www.repubblica.it/scienze/2010/05/22/foto/sepolto_niccol_copernico-4264625/1/ .

Una bara di legno contenente i resti dell’astronomo aveva viaggiato per alcune settimane attraverso la Polonia, venendo esposta a Olsztyn e nelle città principali dove Copernico aveva avuto un particolare legame. Wokciech Ziemba, Arcivescovo della Regione di Frombork, durante l’omelia funebre ha affermato che “la Chiesa Cattolica è fiera che Copernico abbia lasciato alla regione l’eredità del suo duro lavoro, della sua devozione e, soprattutto, del suo genio scientifico”.

Fonte Space.Com: http://www.space.com/news/ap_051103_copernicus.html;

Fonte La Repubblica.it: http://www.repubblica.it/scienze/2010/05/22/news/chiesa_e_scienza_unite_per_dare_una_degna_sepoltura_a_copernico-4261931/ ;
Fonte The New York Times:
http://www.nytimes.com/aponline/2010/05/22/world/AP-EU-Poland-Copernicus-Reburied.html?_r=1;
Fonte Croncache Laiche:
http://www.cronachelaiche.it/2010/05/seconda-sepoltura-per-copernico-a-500-anni-dalla-morte/ .

Sabrina

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Sistemato il computer di Voyager 2

Il team di ingegneri è risusciti nel compito – piuttosto straordinario – di resettare un computer a bordo della sonda Voyager 2 che stava causando un problema nell’invio a Terra dei dati. Il 23 maggio la navetta ha ricominciato ad inviare a Terra i dati scientifici nel formato corretto, decretando il pieno successo della difficile operazione.

Il team di ingegneri preoposto al controllo della Voyager aveva messo la sonda in “engineering mode” già dal giorno 6 del mese di maggio. Dopo accurate verifiche, è stato possibile circoscrivere il problema alla permutazione di un singolo bit nel computer che “impacchetta” i dati affinché vengano inviati a Terra.

Nonostante il problema sia stato risolto, i tecnici continueranno a monitorare accuratamente i dati, in stretta collaborazione con il team di scienziati, in modo da essere più che sicuri che gli strumenti a bordo ora stiano correttamente processando i dati.

Una immagine artistica della sonda Voyager 2 al limite del Sistema Solare (Crediti: NASA/JPL-Caltech)

La sonda Voyager 2 è stata lanciata nell’agosto dell’anno 1988, circa due settimane prima della sua compagna, la  Voyager 1. Le due sonde sono gli oggetti più distanti mai prodotti dall’uomo nell’intero Universo, trovandosi ora al bordo del Sistema Solare, nella zona detta “eliosfera”. I manager della missione si attendono che la sonda Voyager 1 lasci il Sistema Solare ed entri nello spazio interestellare nell’arco dei prossimi cinque anni, e il Voyager 2 a stretto seguito (Anche il Voyager 1 gode al momento di buona salute).

Così Voyager 2, dopo 33 anni, invia ancora correttamente dati scientifici a Terra. Non male per una sonda il cui obiettivo iniziale era di compiere “appena” un giro di quattro anni intorno a Saturno…!

NASA/JPL Press Release

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Giove perde la sua banda equatoriale sud

di Sabrina Masiero

Giove e le sue bande. Crediti: MailOnline.

E’ un fenomeno inspiegabile, ma ancora una volta Giove ha perso una delle sue bande equatoriali, più precisamente quella lungo la quale appare la Grande Macchia Rossa. Emerso da poco dai bagliori del Sole, mentre era in congiunzione con esso, dopo tre mesi di non visibilità Giove ha rivelato una spettacolare novità.

Di solito il pianeta mostra due bande oscure nella sua atmosfera, una nell’emisfero settentrionale e una in quello meridionale (South Equatorial Belt, SEB). Ed è proprio quest’ultima ad essere scomparsa.

Il giornalista e astrofilo Bob King, soprannominato “Astro Bob”, uno dei primi ad osservare il fenomeno, ha affermato che “Giove con una sola banda equatoriale assomiglia molto a Saturno quando i suoi anelli sono di taglio e dunque invisibili per un certo tempo: non sembra nemmeno lui“.
E in effetti, ad osservare le immagini, Giove è cambiato. Non è la prima volta che succede: periodicamente, ogni 10 o 15 anni Giove perde una delle sue bande e ancora oggi si sta cercando di capire il motivo. In realtà, la fascia equatoriale è una delle regioni più sensibili ai cambiamenti climatici. Si parla di South Equatorial Belt Disturbance e la sua evoluzione è osservabile quasi in tempo reale formandosi e scomparendo nell’arco di poche settimane. Quindi, ci si aspetta che fra qualche settimana, una nuova fascia equatoriale potrà ricomparire formando prima un ovale biancastro e poi, via via, si estenderà su tutto il pianeta a causa del riversamento di materiale più scuro proveniente da altri strati atmosferici più profondi e con i forti venti equatoriali che stirano il materiale formando le varie strisce.

Giove senza la barra equatoriale sud. Cortesia: Anthony Wesley su http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1277734/Jupiter-loses-stripes-scientists-idea-why.html .

Giove mostra nella sua atmosfera una varietà di dettagli mutevoli che, per comodità di studio, vengono distinti in “bande” e “zone”: le bande sono le fasce scure dell’atmosfera, le zone quelle più chiare. Le tonalità vanno dal giallo chiaro al marrone scuro. La formazione delle fasce è associata alla rapida rotazione del pianeta, che avviene in senso diretto e che dura meno di 10 ore: la più breve fra tutti i pianeti. All’equatore questa si traduce in una velocità di rotazione di 40.000 km/h. La continuità delle fasce è interrotta da nubi irregolari e da macchie ora brillanti ora scure. Alcune hanno breve durata e variano notevolmente da giorno a giorno, suggerendo una considerevole turbolenza sotto il livello esterno. Altre macchie persistono per molto tempo.  Degna di nota è sicuramente la Grande Macchia Rossa, scoperta dall’astronomo italiano Gian Domenico Cassini nel XVII secolo, una formazione anticiclonica osservata molto bene fin dalle missioni Voyager.
L’origine della colorazione delle fasce rimane un mistero, sebbene la causa sia individuabile nella presenza della chimica complessa che costituisce l’atmosfera. La tonalità è correlata con l’altitudine: le formazioni tendenti all’azzurro sono le più profonde, seguite dalle marroni, da quelle bianche e, infine rossicce, le più elevate.

Fonte MailOnline: http://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-1277734/Jupiter-loses-stripes-scientists-idea-why.html .

Sabrina

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WISE cattura nuovi asteroidi

di  Sabrina Masiero

Dall’animazione che mostra gli asteroidi e le comete osservate da WISE. Cortesia JPL/NASA. http://www.jpl.nasa.gov/videos/wise/wise20100524/wiseanim20100524-640.mov .

La Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE) della NASA è impegnata in questo momento a compiere una survey del cielo infrarosso che permetterà di redigere un catalogo di vari oggetti cosmici, dalle galassie lontane alle stelle che non hanno mai iniziato le reazioni di fusione nucleare, le cosiddette “brown dwarfs” o nane brune.

WISE inoltre, entro il Sistema Solare, è impegnata a raccogliere informazioni utili su asteroidi e comete, alcuni già noti altri mai visti prima. La maggior parte di questi oggetti fa parte della Fascia principale degli Asteroidi, tra Marte e Giove, ma un piccolo numero rientra nella categoria dei cosidetti Near-Earth Object (NEO) o oggetti che transitano molto vicini alla Terra fino a circa 48 milioni di chilometri dall’orbita terrestre.

Stiamo facendo un censimento su un piccolo campione di Near-Earth Object per avere un’idea migliore della loro diversità” afferma Amy Mainzer, Responsabile di NEOWISE, il programma che permetterà di catalogare gli asteroidi individuati con WISE.

Finora, la missione ha osservato più di 60.000 asteroidi, sia della Fascia principale che di tipo NEO. La maggior parte di essi erano già noti pirma, ma oltre 11.000 di essi sono nuovi. “Ne scopriamo circa un centinaio al giorno, soprattutto nella Fascia principale” ha affermato Ned Wright dell’UCLA, Responsabile di WISE. E’ sicuramente uno dei momenti più favorevoli per lo studio della popolazione degli asteroidi: quanti di questi sono scuri o chiari? Quanti di questi sono grandi e quanti piccoli? Alcuni di essi sono visibilmente scuri, ma è ancora presto per avere un’idea del loro numero. E’ necessario del tempo per poter analizzare e fare una calibrazione dei dati.

WISE sta studiando pure gli asteroidi Troiani, che si muovono insieme a Giove nella sua orbita intorno al Sole in due ben particolari punti (detti Lagrangiani). Se ne sono visti più di 800, e si stima che entro la fine della missione se ne potranno osservare almeno la metà dei 4.500 noti.

L’osservazione nell’infrarosso permette di avere una stima migliore delle dimensioni dell’asteroide. Se si immagina di osservare in luce visibile un asteroide chiaro e uno scuro alla stessa distanza dalla Terra, entrambi hanno, all’incirca, le stesse dimensioni, perchè riflettono più o meno la stessa quantità di luce visibile. Ma se si punta su di essi una camera infrarossa, si osserva che quello più scuro appare più grande, in quanto la luce infrarossa è correlata pure con quella che viene irradiata dall’interno della roccia stessa. Un secondo beneficio dall’osservazione infrarossa è la possibilità di vedere gli asteroidi “più scuri del carbone” e che riflettono una piccolissima quantità di luce visibile.

Per informazioni sulla missione WISE e per le immagini raccolte: http://wise.astro.ucla.edu .

Fonte JPL: http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-176

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Abell 315 in un oceano di galassie

di Sabrina Masiero


L’ammasso di galassie Abell 315 ottenuta con lo strumento Wide Field Imager montato sul telescopio MPG/ESO di 2.2 metri nell’Osservatorio ESO di La Silla in Cile. E’ stata ottenuta con parecchie esposizioni usando tre filtri a banda larga, per un totale di quasi un’ora col filtro B, e circa un’ora e mezza nei filtri V e R. Il campo di vista è di 34×33 minuti d’arco. Crediti: ESO.

Un’immagine a grande campo ottenuta dall’European Southern Observatory (ESO) mostra molte centinaia di galassie lontane e, in particolare, un grande gruppo che appartiene all’ammasso massiccio di galassie noto come Abell 315, composto per la maggior parte di materia oscura. La sua enorme massa deflette la luce delle galassie più lontane, modificandone leggermente la loro forma.
Ad occhio nudo è possibile osservare le stelle della nostra Galassia e pochissime galassie più vicine, come la Galassia di Andromeda e le due galassie satelliti della nostra, la Piccola e la Grande Nube di Magellano. Le galassie lontane, infatti, sono deboli da non poter essere visibili ai nostri occhi, ma se fosse possibile osservarle, esse riempirebbero completamente tutta la sfera celeste.
Questa immagine dell’ESO non solo presenta un grande campo di vista, ma anche un tempo di esposizione molto lungo permettendo di individuare migliaia di galassie in una regione di cielo che ha le dimensioni apparenti della Luna piena.
Naturalmente, misurata dalla Terra (e quindi dal nostro punto di vista), la distanza di queste galassie è notevolmente diversa da galassia a galassia Alcune di esse sono relativamente vicine e per questo motivo possiamo distinguere i bracci di spirale e gli aloni di forma ellittica, specialmente nella parte superiore dell’immagine. Le galassie più lontane, invece, sono deboli puntini luminosi che devono distare oltre 8 miliardi di anni luce da noi.

Dal centro dell’immagine, spostandoci verso il basso a destra, si osserva un insieme di circa un centinaio di galassie di colore giallastro: è l’ammasso denominato Abell 315, perchè appartenente al catalogo di galassie compilato dall’astronomo americano George Abell nel 1958. Il catalogo comprendeva ben 2712 ammassi di galassie, ed è stato integrato con 1361 nuovi ammassi nel 1989. Abell è stato in grado di raccogliere questo enrome numero di ammassi osservando ad occhio nudo le lastre fotografiche del cielo, cercando in particolare quelle regioni che presentavano più galassie rispetto alla media, tutte alla stessa distanza da noi. Abell 315 è a circa 2 miliardi di anni luce da noi e appartiene alla costellazione della Balena.

Gli ammassi di galassie sono enormi strutture presenti nel nostro Universo e tenute assieme dalla forza gravitazionale. Oltre alla materia luminosa (che dovrebbe essere pari a circa il 10% della materia totale) queste galassie devono essere composte anche da una materia oscura e ancora sconosciuta definita “materia oscura” e che permea lo spazio tra le galassie per circa l’80% della massa totale. Circa un 10% della massa dell’ammasso è formato da un insieme di elettroni e protoni ad altissima temperatura (dell’ordine dei dieci milioni di gradi) visibili utilizzando i telescopi a raggi X.

La presenza della materia oscura è rilevata dalla sua azione gravitazionale: la grande massa di un ammasso di galassie agisce come una lente di ingrandimento cosmica per le galassie situate dietro l’ammasso, incurvando le traiettorie della loro luce e modificandone pure la loro forma, dando vita alle “lenti gravitazionali deboli” (weak gravitational lensing), che si contrappongono alle “lenti gravitazionali forti” (strong gravitational lensing), con effetti più spettacolari come archi, anelli e immagini multiple.

Dallo studio delle immagini deformate di queste galassie sullo sfondo, si può determinare la massa totale dell’ammasso che produce le distorsioni stesse, anche se moltissima di essa è invisibile. Questo effetto è poco rilevabile e di conseguenza bisogno misurarlo su un numero molto elevato di galassie per poter ricavare risultati di un certo livello: nel caso dell’ammasso Abell 315 si è studiata la forma di quasi 10.000 galassie deboli tutte in questa immagine per poter stimare la massa totale dell’ammasso che supera il 100.000 miliardi di volte quella del Sole. Uno studio delle lenti gravitazionali deboli dell’ammasso Abell 315 è apparso sulla rivista “Astronomy & Astrophysics” nel 2009 (“Weak lensing Observations of Potential X-ray Underluminous Galaxy Clusters“, di J. Dietrich et al.).

Ma in questa foto si possono distinguere pure oggetti molto più piccoli delle galassie e degli ammassi e che sono pure molto vicini al nostro pianeta: sono gli asteroidi, riconoscibili come scie blu, verdi o rosse che indicano il filtro in cui sono stati rilevati. Ogni scia è composta da diverse scie più corte, che riflettono la sequenza delle numerose esposizioni prese in ciascun filtro.

Dalla lunghezza di queste scie è possibile ottenere la distanza dell’asteroide. Tali oggetti fanno parte della fascia degli asteroidi compresa tra Marte e Giove e che hanno dimensioni che variano tra qualche decina di chilometri (i più brillanti) e qualche chilometro (i più deboli).

Fonte ESO: http://www.eso.org/public/news/eso1019/ .

Sabrina

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Il primo “cannibalismo stella-pianeta”

 
di Sabrina Masiero

Una rappresentazione artistica dell’esopianeta WASP-12b. Crediti: NASA/ESA/G. Bacon.

Il pianeta più caldo individuato nella nostra Galassia è, molto probabilmente, anche quello che vivrà meno di tutti. Questo pianeta sfortunato sta per essere “inghiottito” dalla sua stella, secondo quando è emerso dalle osservazioni compiute dal nuovo strumento a bordo dell’Hubble Space Telescope della NASA, il Cosmic Origins Spectrograph (COS). Si stima che il pianeta abbia ancora altri 10 milioni di anni di vita prima di finire sulla sua stella.

Chiamato WASP-12b, il pianeta è così vicino al suo sole (molto simile al nostro), che raggiunge temperature altissime di circa 1540 °C e viene allo stesso tempo “allungato” dalle enormi forze mareali in gioco, assumendo una forma simile a quella di una palla da football. L’atmosfera, espandendosi, raggiunge dimensioni pari a circa tre volte il raggio di Giove, mentre il materiale spiraleggia sulla stella. Questo effetto di trasferimento di materia da un corpo ad un altro si osserva frequentemente tra due stelle che formano un sistema binario stretto. Per la prima volta è stato osservato chiaramente per una stella e il suo pianeta che è circa 40% più massiccio di Giove.

E’ stata osservata pure un’enorme nube di materiale attorno al pianeta che si sta allontanando e che verrà catturato dalla stella. Abbiamo identificato elementi chimici mai osservati prima su un pianeta al di fuori del nostro Sistema Solare” afferma il capo gruppo Carole Haswell dell’Open University della Gran Bretagna. I risultati di Haswell e del tuo team sono stati pubblicati su “The Astrophysical Journal Letters” nel mese di maggio 2010.

In un lavoro teorico, pubblicato sulla rivista “Nature” lo scorso febbraio da Shu-lin Li del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Peking, Beijing, veniva fatta la previsione che la superficie di un pianeta avrebbe potuto venire distorta dalla gravità della stella e che le forze mareali gravitazionali avrebbero reso l’interno del pianeta così caldo da comportare un’enorme espansione dell’atmosfera del pianeta stesso. Hubble ora conferma questa previsione. WASP-12 è stella nana gialla situata in prima approssimazione a circa 600 anni luce da noi nella costellazione dell’Auriga; il caldo pianeta è così vicino alla sua stella che gli ruota intorno con un periodo di 1.1 giorni.

La grande sensibilità dello strumento COS nella regione dell’ultravioletto (UV) ha permesso di effettuare delle misurazioni sulla diminuzione della luminosità delle stella mentre il pianeta transita davanti ad essa. Queste osservazioni spettrali nell’UV mostrano che le righe di assorbimento dell’alluminio, manganese e di vari altri elementi diventano sempre più intense quando vi è il transito, indicando che questi elementi esistono sia nell’atmosfera del pianeta che in quella della stella.

Infine, dalla curva di luce si è potuto ricavare il raggio del pianeta, che risulta molto più esteso di quello di un pianeta normale di massa 1.4 volte quella di Giove. Non solo: è talmente esteso che il raggio del pianeta supera il “raggio di Roche”, che rappresenta il limite gravitazionale oltre il quale il materiale viene perduto definitivamente dall’atmosfera del pianeta.

Fonte NASA – 20 Years of Hubble: http://www.nasa.gov/mission_pages/hubble/science/planet-eater.html.

Sabrina

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