Blog di Marco Castellani

Mese: Giugno 2010 Page 1 of 3

News dalla nostra Galassia


Un’immagine dell’ammasso globulare M80 (NGC 6093) ottenuta con l’Hubble Space Telescope. M80 contiene centinaia di migliaia di stelle ed è uno dei 147 ammassi globulari conosciuti associati alla nostra Galassia. Crediti: The Hubble Heritage Team / AURA / STScI / NASA.

Per la prima volta un gruppo di ricercatori ha osservato le primissime fasi della storia evolutiva della nostra Galassia. Ricercatori dell’ Argelander Institute for Astronomy dell’Università di Bonn e del Max-Planck Institute for Radioastronomy di Bonn, hanno dedotto che la nostra Galassia si sia formata in alcune centinaia di milioni di anni. Il gruppo di ricercatori ha pubblicato i risultati sulla prestigiosa rivista “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society” (MNRAS).

Guidati dal Prof. Pavel Kroupa, il team ha osservato gli ammassi di stelle, di forma pressoché sferica, denominati ammassi globulari che si trovano nell’alone della nostra Galassia, al di fuori dei familiari bracci di spirale, in uno dei quali in posizione periferica si trova anche il nostro Sole. Ciascuno di essi può contenere centinaia di migliaia di stelle; si pensa si siano formati insieme alla proto-galassia che, successivamente, è evoluta in quella attuale.

Gli ammassi globulari, quasi dei fossili delle prime epoche storiche della nostra Galassia, hanno lasciato un piccolo indizio sulla loro fase evolutiva. Le stelle degli ammassi globulari si sono formate dalla condensazione di nubi molecolari di idrogeno relativamente freddo; non tutto è stato utilizzato durante la loro formazione. Il gas rimanente è stato espulso dalla radiazione e dai venti della nuova popolazione stellare.

A causa di questa espulsione di gas, gli ammassi globulari si sono espansi e hanno perduto le stelle della loro periferia. Questo significa che l’attuale forma degli ammassi è stata influenzata in modo diretto da quanto è successo nei primissimi giorni della loro esistenza” ha spiegato Michael Marks, studente di dottorato del Professor Kroupa e primo autore dell’articolo.

Gli ammassi sono stati pure modificati nella loro forma dalla Galassia in formazione e gli scienziati tedeschi hanno calcolato in modo molto preciso come la proto-Galassia abbia influenzato gli ammassi globulari. I risultati mostrano che le forze gravitazionali esercitati sugli ammassi stellari dalla proto-Galassia sembrano aumentare con il contenuto di metalli delle stelle che li compongono (in astronomia con il termine “metalli” si indicano tutti gli elementi che sono più pesanti dell’idrogeno e dell’elio).

La  quantità di ferro in una stella è perciò un indicatore dell’età dell’ammasso. Tanto più giovane è l’ammasso, tanto più alta è la proporzione di elementi pesanti che esso contiene” ha aggiunto Marks. Ma poiché gli ammasso globulari hanno all’incirca la stessa età, le differenze in età non possono essere grandi e significative. Allo scopo di spiegare la variazione delle forze esercitate su diversi ammassi globulari, la struttura della nostra Galassia deve essere cambiata rapidamente in poco tempo.

In particolare, la gigantesca nube di gas da cui si è formata la Via Lattea deve essersi evoluta velocemente in meno di qualche centinaio di milione di anni fino a diventare una struttura compatta tanto da far aumentare le forze gravitazionali in modo significativo. Inizialmente la nube di gas delle dimensioni della proto-galassia deve essere collassata sotto la propria gravità, mentre gli ammassi globulari si sono formati successivamente entro la nube che stava collassando. Il materiale da cui i giovani ammassi globulari sono nati si è arricchito inizialmente degli elementi pesanti grazie alle stelle molto massicce evolutesi rapidamente negli ammassi più vecchi.

Il Prof. Kroupa ha riassunto i risultati: “In questo quadro possiamo combinare in modo elegante i risultati osservativi e teorici e capire perché più tardi si siano formati ammassi più ricchi di metalli che hanno sperimentato campi di forza più grandi. Da questo lavoro, per la prima volta, abbiamo un’analisi dettagliata della primissima storia evolutiva della nostra Galassia“.

La ricerca intitolata “Initial conditions for globular clusters and assembly of the old globular cluster population of the Milky Way“,  di Marks M., Kroupa P. è apparsa sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, che al momento è in stampa. Il preprint di questo articolo è disponibile in formato elettronico su: http://arxiv.org/abs/1004.2255

Fonte : http://www.physorg.com/news196363935.html .

Sabrina

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Tempeste in atto su altri pianeti

di Sabrina Masiero

Pianeta con un’enorme tempesta. Cortesia: ESO.

Per la prima volta un gruppo di astronomi ha registrato un’enorme tempesta nell’atmosfera di un esopianeta, che in sigla è chiamato HD209458b e che in modo più familiare viene definito come”caldo Giove”. L’articolo “The orbital motion, absolute mass, and high-altitude winds of exoplanet HD209458b” è stato pubblicato su “Nature” qualche giorno fa da un team di ricercatori compostao da Ignas A. G. Snellen e Ernst J. W. de Mooij (Osservatorio di Leiden, Olanda), Remco J. de Kok (SRON, Utrecht, Olanda) e Simon Albrecht (Massachusetts Institute of Technology, USA).

Il pianeta, che ha una massa di poco superiore a quella di Giove, si trova a circa 150 anni luce dalla Terra e ruota intorno alla sua stella ad una distanza di circa un ventesimo della distanza Sole-Terra, definita come Unità Astronomica (U.A.). A causa di questa piccola distanza dalla stella e tenendo conto del fatto che mostra sempre la stessa faccia alla stella (in quanto il suo periodo di rotazione coincide con quello di rivoluzione), metà superficie raggiunge temperature elevatissime (circa i 1000 °C) e metà è completamente all’oscuro e quindi fredda.
Le grandi differenze di temperatura comportano la formazione di venti molto forti: Se questo era possibile osservarlo sul nostro pianeta, da oggi è stato osservato anche su HD209458b.

HD209458b è stato il primo pianeta extrasolare ad essere scoperto con il metodo del transito del pianeta davanti alla sua stella: il pianeta, periodicamente ogni 3-5 giorni, transita di fronte alla sua stella facendo diminuire la quantità di luce osservata dalla nostra posizione sulla Terra per circa tre ore. In questo breve lasso di tempo una quantità molto piccola di radiazione emessa dalla stella attraversa pure l’atmosfera del pianeta, lasciando una ben caratteristica “impronta digitale” della composizione chimica del pianeta.
Grazie allo spettrografo CRIRES sistemato sul Very Large Telescope dell’European Southern Observatory (ESO) un gruppo di ricercatori dell’Università di Leida, dell’Istituto Olandese per la ricerca Spaziale (SRON) e del MIT negli Stati Uniti hanno osservato il pianeta per cinque ore studiando la sua debole atmosfera mentre transitava davanti alla stella-
CRIRES è l’unico strumento al mondo che è in grado di analizzare lo spettro con una precisione tale da determinare la posizione delle righe del monossido di carbonio con una risoluzione di 1 su 100.000” ha affermato Remco de Kok, parte del gruppo di ricercatori che hanno compiuto la scoperta. “Quest’alta precisione ci ha permesso di misurare la velocità del monossido di carbonio per la prima volta utilizzando l’effetto Doppler“.

Non solo: l’alta precisione delle osservazioni del monossido di carbonio hanno rivelato che questo gas si sta spostando con una velocità molto alta dalla parte illuminata dalla sua stella a quella buia con una velocità che varia tra i 5.000 e i 10.000 chilometri all’ora. Sempre studiando questo pianeta extrasolare è stato possibile ricavare la sua velocità orbitale e da questa poi fare una determinazione della sua massa.
In generale, la massa di un esopianeta viene determinata dalla misurazione dell’oscillazione della stella e facendo un’ipotesi sulla massa della stella, secondo quanto ci forniscono i modelli teorici. Da qui si è in grado di misurare il moto del pianeta, e successivamente di determinare sia la massa della stella che quella del pianeta” ha concluso io co-autore Ernst de Mooij.

Infine, i ricercatori sono stati in grado di misurare la quantità di carbonio presente nell’atmosfera del pianeta, arrivando ad affermare che HD209458b ha una quantità di carbonio pari a quella dei nostri due pianeti giganti, Giove e Saturno. L’ipotesi avanzata è che probabilmente HD209458b si sia formato nello stesso modo.
Questo tipo di osservazioni potrebbero permettere di studiare l’atmosfera di pianeti simili al nostro e capire se la vita esista o meno anche in altri pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare.

Fonte ESO: http://www.eso.org/public/news/eso1026/.

Sabrina

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Cometa Kamikaze finisce sul Sole

Credit: NASA / STEREO.


Il video è disponibile su Space.com:
http://www.space.com/common/media/video/player.php?videoRef=SP_100524_KamikazeComets

Le due sonde gemelle STEREO (A e B) della NASA hanno catturato l’impatto di una cometa sul Sole. Ricercatori del’UC Berkeley’s Space Sciences Laboratory hanno seguito la cometa per due giorni prima dell’impatto spettacolare sulla superficie solare.

Fonte: Space.com: http://www.space.com/common/media/video/player.php?videoRef=SP_100524_KamikazeComets .

Sabrina

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L’arrivo dell’estate…

Nell’emisfero nord sboccia l’estate, in quello sud arriva l’inverno. Le stagioni sono una forza sorprendente per la nostra vita, influenzano ogni nostra attività: dal cibo che mangiamo al ritmo di sonno-veglia. Pure il nostro umore. Il passaggio di stagione da un punto di vista astronomico si è verificato il 21 giugno alle ore 11:28 del Tempo Universale.

L’abilità nel prevedere le stagioni, osservando il punto in cui il Sole sorge ogni mattina nel cielo, è stata per millenni la chiave di lettura fondamentale per la sopravvivenza. I Babilonesi e molte altre culture contemporanee o di poco successive svilupparono sistemi molto complessi per osservare il lento spostamento del Sole nel cielo. E’ noto che osservando la levata del Sole in cielo ogni mattina, si nota un leggero spostamento nel corso dell’anno. Il 21 marzo il Sole sorge esattamente nel punto cardinale Est e tramonta esattamente ad Ovest. Col passare dei giorni e fino al 21 giugno, il Sole sorgerà sempre più in direzione Nord, descrivendo un arco nel cielo maggiore e rimanendo più a lungo nel cielo, tramontando sempre più in direzione Nord. A partire dal 21 giugno, ogni mattino vedremo il Sole sorgere e tramontare sempre più in direzione Sud, come se il suo cammino in cielo si invertisse, arrivando verso il 22-23 settembre a sorgere esattamente a Est e a tramontare esattamente a Ovest, come il 21 marzo.

Niccolò Copernico (1473-1543) cambiò radicalmente le nostre conoscenze astronomiche quando propose di porre il Sole e non la Terra al centro dei moti, ossia al centro del Sistema Solare. Questo spostamento ha permesso di spiegare la correlazione tra Sole e Terra.

E’ noto che la Terra compie una rivoluzione intorno al Sole in un anno lungo un’orbita di tipo ellittico (anche in prima approssimazione si può pensare circolare). L’asse di rotazione terrestre è quell’asse immaginario che passa per i due poli e che è inclinato rispetto ad un asse perpendicolare al piano orbitale di circa 27,5°. Questo comporta che l’emisfero nord e quello sud terrestri siano esposti ad una diversa quantità di radiazione solare durante l’anno. Il Sole è la nostra sorgente di calore, luce, energia e la variazione di intensità e la concentrazione dei suoi raggi su un centimetro quadrato di superficie terrestre spiegano i cambiamenti stagionali.

Si parla di equinozi e di solstizi per definire il passaggio delle stazioni: equinozio di primavera (23 marzo), equinozio d’autunno (22-23 settembre), solstizio estivo (21 giugno) e solstizio d’inverno (21-22 dicembre).
L’alternarsi delle stagioni dipende dal movimento di rivoluzione della Terra intorno al Sole e dal fatto che l’asse terrestre conserva la propria inclinazione angolare sul piano orbitale, chiamato piano dell’eclittica (66° 33′).

Equinozio di primavera  (20 marzo: inizio dalla primavera)

Il 20 marzo i raggi del sole colpiscono perpendicolarmente l’equatore (il sole è allo zenit sull’Equatore) illuminando tutto il globo allo stesso modo:
è l’equinozio di primavera , cioè il giorno in cui il dì e la notte hanno la stessa durata.

Solstizio d’estate (21 giugno: inizio dell’estate)

Il 21 giugno i raggi solari colpiscono perpendicolarmente il Tropico del Cancro (emisfero boreale – il Sole è allo Zenit sul Tropico del Cancro) e così i raggi ci arrivano perpendicolari determinando l’estate, al nord nell’emisfero boreale, e l’inverno al sud nell’emisfero australe.
È il solstizio d’estate: nell’emisfero boreale è il dì più lungo, con la notte più breve. Tutti i punti a Nord dell’Equatore restano per un tratto più lungo nella parte illuminata e quelli a Sud dell’Equatore rimangono per un tratto più lungo nella parte oscura. Di conseguenza, solo all’Equatore si hanno 12 ore di luce e 12 di buio, mentre nell’emisfero settentrionale la durata del di è maggiore di quella della notte e nell’emisfero meridionale è minore, e la differenza di durata aumenta con l’aumentare della latitudine; i luoghi compresi fra il Circolo polare artico ed il Polo nord, cioè nella calotta artica, restano illuminati durante tutta la rotazione terrestre, mentre quelli della calotta antartica (tra il Circolo polare antartico ed il Polo sud) restano nel frattempo al buio.

 

Equinozio d’autunno (22 settembre: inizio dell’autunno)

Il 22 settembre i raggi del sole colpiscono perpendicolarmente l’equatore illuminando tutto il globo allo stesso modo (il sole è allo zenit sull’Equatore):
è l’equinozio d’autunno, cioè il giorno in cui il dì e la notte hanno la stessa (equi) durata.

Solstizio d’inverno (21 dicembre: inizio inverno)

Il 21 dicembre il sole raggiunge perpendicolarmente il tropico del Capricorno emisfero australe), determinandone l’estate nell’ emisfero sud, e l’inverno, nell’emisfero boreale. E’ l’opposto del 21 giugno: è il solstizio d’inverno (la notte più lunga e il dì più breve -nell’emisfero boreale-). Si hanno condizioni opposte al solstizio d’estate: il dì viene ad essere più lungo della notte nell’emisfero meridionale e più corto in quello settentrionale; completamente illuminata è la calotta antartica, completamente nell’oscurità quella artica.

Ringrazio Ricardo L. Garcia per il contributo a questo post.

E non mi posso dimenticare di Marco, che mi dà sempre la grande opportunità di scrivere per GruppoLocale.

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Un “navigatore italiano”scopre nuovi mondi

Fisica computazionale
Un “navigatore italiano”scopre nuovi mondi

di Giovanni Boaga

«Ma sapete, signor Simplicio, quel che accade? Sí come a voler che i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie ed altre bagaglie, cosí, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici». Così Galileo faceva dire a Salviati nella Giornata seconda del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, illustrando chiaramente uno dei punti essenziali della sua metodologia: la realizzazione di esperimenti che si concentrino sugli aspetti veramente essenziali di un fenomeno, trascurando quelli secondari. Solo in questo modo, per Galileo, è possibile comprendere il mondo reale, « […]intender la lingua e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche».

Non sempre, però, la “prescrizione galileiana” è semplice da attuare e la selezione degli aspetti essenziali di un fenomeno può presentare problemi insormontabili. È anche per questo che in molti settori della fisica oggi si fa uso di esperimenti, per così dire, “addomesticati”. In una sorta di “terra di mezzo” tra la fisica teorica e quella sperimentale, computer equipaggiati con software sofisticati permettono la ricostruzione di un mondo virtuale che porta alle estreme conseguenze la semplificazione galileiana, consentendo lo studio di quello che si ritiene essenziale. È la fisica computazionale, praticata in molti settori come la fisica dei solidi o la meccanica dei fluidi, che consente l’indagine di problemi difficili da trattare in modo matematicamente rigoso. Ma non è molto noto che alla nascita di questo approccio di studio ha contribuito, tra i primi, il più grande fisico italiano del novecento: Enrico Fermi.

La popolarità di Fermi è legata al formidabile gruppo creato all’Istituto di fisica dell’Università di Roma alla fine degli anni venti, i cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”, allo studio delle proprietà dei neutroni lenti, al Progetto Manhattan, ma i suoi contributi alla fisica teorica non sono certamente meno importanti. La teoria di Fermi delle interazioni deboli e la statistica di Fermi-Dirac sono solo gli esempi più alti di un’attività di teorico che si è affiancata a quella di grande sperimentatore e confermano le parole di Edoardo Amaldi, suo collaboratore nel gruppo romano, secondo il quale Fermi aveva la «capacità di cogliere immediatamente la legge generale nascosta dietro una tabella di dati sperimentali bruti». Un teorico di classe, quindi, che non mancò di dare dimostrazione delle sue capacità anche negli ultimi anni della sua vita. Nel dopoguerra si convinse della necessità di effettuare simulazioni numeriche con l’uso di computer, soprattutto applicate allo studio di sistemi non lineari. Non si trattava di utilizzare i calcolatori per effettuare grandi quantità di calcoli altrimenti difficilmente realizzabili, ma di un modo nuovo e originale di usare il computer come strumento di sperimentazione. In collaborazione con il matematico polacco Stanislaw Ulam intraprese un’indagine sistematica dei sistemi non lineari, studio poi portato avanti anche dal fisico John Pasta, che culminò con la pubblicazione dell’articolo Studies of non linear problems dieci anni dopo la morte di Fermi. Fu un lavoro pionieristico ma non valorizzato subito dalla comunità scientifica. A partire dalla fine degli anni sessanta, però, la simulazione numerica ha cominciato ad assumere un ruolo significativo nella fisica e a costituire un importante strumento di verifica di congetture e ipotesi non ancora sistemate in una teoria robusta. Uno strumento per chiarire idee e orientare scelte teoriche e sperimentali e che ha consentito la rinascita di settori come quelli legati allo studio delle turbolenze o dei sistemi dinamici caotici.

Il navigatore italiano è giunto nel nuovo mondo”. Questo era stato il messaggio in codice inviato al Presidente Roosvelt come conferma del successo dell’esperimento del gruppo guidato da Fermi nel Progetto Manhattan. E chiudendo la sua breve quanto intensa vita il navigatore era nuovamente salpato verso nuove terre, percorrendo una rotta libera dagli “impedimenti della materia”.

Giovanni

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Sonde spaziali di legno

Il telescopio spaziale Hubble ancora oggi funzionante, in versione lignea. Cortesia: Peter Hennessey.

Le sonde in viaggio verso i pianeti del nostro Sistema Solare sono destinate ad allontanarsi definitivamente dalla Terra, senza far più ritorno. Non le rivedremo mai più. Un artista australiano, Peter Hennessey, ha creato delle sculture di legno di dimensioni naturali di numerose navette spaziali, dando la possibilità a tutti non solo di ammirarle, ma anche di toccarle. Sono oggetti facilmente riconoscibili che, però, non avremo mai occasione di fare esperienza diretta. Hennessey ha affermato di voler “capovolgere la virtualizzazione delle cose fisiche” creando delle riproduzioni in grandezza naturale delle sonde, come quella del Vohyager, del rover lunare Apollo,  dell’Hubble Space Telescope e di tante altre.

Il mio Hubble è ora in mostra a Sydney in Australia nella “Biennale of Sydney 2010” (http://www.bos17.com/). “L’obiettivo era quella di dare all’osservatore un’esperienza fisica dell’oggetto“. E’ stato realizzato tagliando con il laser del compensato e dell’acciaio e mantenendo al contempo i dettagli e la scala originali. E’ una scultura interattiva: i visitatori sono incoraggiati a giocarvi, modificando e creando il loro mini universo, da terra, che poi viene riflesso dal telescopio verso il cielo.
Quando Hennessey stava creando la sua creatura, studiava sette differenti immagini dell’Hubble e piuttosto che usare un software 3D per modellare le parti singole come uno si aspettava, egli utilizzava Abobe Illustrator. Il telescopio è stato costruito in circa 3 mesi, di cui 6 settimane sono state dedcate completamente al taglio con il laser delle parti singole e la sistemazione nelle sezioni. Nel loro tempo rimanente lo assemblavano.

Sopra: il rover lunare. Più in basso la sonda americana Voyager inviata nel 1977 verso i pianeti esterni del Sistema Solare. Cortesia Peter Hennessey.

Con la sua “My Moon Landing” Hennessey voleva esplorare “la fisicità, la presenza ed il potere simbolico degli oggetti inacessibili“.
Le sculture di Hennessey si possono trovare sul suo sito: http://www.peterhennessey.net .
Fonte:
http://www.peterhennessey.net/main.php

Ringrazio di cuore il mio amico Ricardo L. Garcia per avermi suggerito questo post. Se piacerà il merito sarà anche suo.

Sabrina

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Nuovi studi sull’estinzione dei dinosauri

di Sabrina Masiero

Un team di ricercatori insieme alla Dottoressa Elisabetta Pierazzo, senior scientist al Tucson-based Planetary Science Institute, sono arrivati a concludere che l’impatto di un meteorite gigantesco è la spiegazione migliore della scomparsa dei dinosauri e di molte altre specie circa 65 milioni di anni fa.
I quarantuno scienziati di vari paesi (Europa, Messico, Canada, Giappone e Stati Uniti) hanno pubblicato i loro risultati il 4 marzo scorso arrivando alla conclusione che ipotesi alternative a quella di un impatto meteoritico sono inadeguate a spiegare l’estinzione di massa alla fine del Cretaceo. I ricercatori fanno riferimento ad una evidenza geologica definita come “limite K-T”che in alcuni casi è marcato da un livello, nelle successioni stratigrafiche, dello spessore di un centimetro e che indica il passaggio fra il Cretaceo e il Cenozoico datato circa 65,5 milioni di anni fa. Si ricordi che K è l’abbreviazione usata per il Cretaceo e T per il Terziario. In particolare, i ricercatori attribuiscono a questo limite un cambiamento climatico estremo causato dall’impatto del meteorite Chicxulub (Chick-shuh-loob).

La Dott.ssa Elisabetta Pierazzo, che ha iniziato a creare un modello dell’impatto quando era studentessa di Dottorato, è stata la prima scienziata a sviluppare delle simulazioni 3D in alta risoluzione dell’evento Chicxulub inserendo nel modello un valore nell’angolo di impatto. I risultati di questo lavoro, realizzato in collaborazione con David Crowford, del Sandia National Laboratori, mostrano chiaramente che gli effetti sul clima terrestre devono essere stati molto più drammatici di quanto si era ipotizzato in precedenza. La simulazione mostra che quantità enormi di ossidi di solfuro devono essere stati eiettati nell’alta atmosfera, alterando in modo drammatico il clima terrestre.

Tuttavia, alcuni scienziati hanno discusso le ipotesi dell’impatto Chicxulub, attribuendo il cambiamento climatico e le estinzioni di massa, invece, all’attività vulcanica nella Deccan Traps, un’area nel subcontinente indiano. Essi teorizzano che sono proprio il raffreddamento globale e le conseguenti piogge acide di questa attività vulcanica ad essere state la causa principale delle estinzioni di massa e non l’impatto Chicxulub in Messico.

Grandi quantità di ossidi di solfuro sono stati liberati nell’atmosfera durante il periodo di attività vulcanica del Deccan” ha affermato la Dott.ssa Pierazzo, “ma si trattava di vari eventi ricorrenti e su parecchi centinaia di migliaia di anni sia prima che dopo il “limite K-T”. Inoltre, i più grandi e importanti cambiamenti a livello biologico alla fine dell’era del Cretaceo sembra siano capitati in modo improvviso e proprio al “limite K-T”, quando si è avuto l’impatto del  Chicxulub.

La conclusione dei ricercatori, da quanto si legge nell’articolo, è che gli ecosistemi marino e terrestre hanno mostrato solo cambiamenti minori durante i 500.000 anni che hanno portato al “limite K-T”. Ma una diminuzione drastica e maggiore nella quantità delle specie viventi e nella diversità delle specie è avvenuto proprio in corrispondenza di quel limite.

Questi dati, insieme a quelli più recenti  ricavati dai campioni di perforazione dell’oceano e da siti continentali, oltre ad una ri-analisi di vecchi studi del”limite K-T”, portano i ricercatori a concludere che l’ipotesi dell’impatto Chicxulub sia la più importante fra tutte le ipotesi prese in considerazione finora.
Combinando insieme tutti i dati disponibili da varie discipline scientifiche siamo arrivati a concludere che un grande impatto di asteroide circa 65 milioni di anni fa, nell’attuale Messico, sia stata la causa principale dell’estizione di massa” ha affermato Peter Schulte, Assistente Professore all’Università di Erlangen in Germania e primo autore dell’articolo.

Dall’analisi del cratere Chicxulub nello Yucatan in Messico e da altri dati provenienti da registrazioni geologiche, i ricercatori hanno concluso che il meteorite dovesse avere un diametro compreso tra i 10 e i 15 chilometri e una velocità venti volte maggiore di quella di un proiettile. L’esplosione è stata di almeno un milione di volte maggiore della bomba atomica di Hiroshima e milioni di volte maggiore della più piccola bomba nucleare mai testata prima.

Il mio saluto alla Dott.ssa Elisabetta che ho avuto l’onore di conoscere un paio di anni fa grazie a Flavio Pierazzo. Buon lavoro!

Fonte Planetary Science Institute: http://www.psi.edu/press.

Sabrina

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Il fuoco della poesia

“Mi ubriaca la mente, la accende. Mi fa essere più ragionevole e più matto di libertà. Mi sbatte contro il muro. Mi lancia verso la grande aria del mare. E poi sosta. Lascia appesi col cuore alla luna. Sempre notte, sempre giorno. Non so cosa farci. E’ lei, la poesia.”
E’ contrario ad ogni buon senso scrivere di un libro non dopo averlo letto, ma dopo appena averne lette poche pagine? Penso proprio di sì. Ma tale è il senso di apertura, di liberazione, di gioia per leggere finalmente qualcosa che onestamente parla al cuore, che lo faccio lo stesso.

More about Il fuoco della poesiaPerché è davvero un bene per tutti. Una persona sinceramente appassionata di poesia, attraverso le sue mani, le sue parole, te la riporta viva, reale, ti fa capire che è utile, anzi necessaria (basta pensare a Benigni con la Divina Commedia). Nonostante tutte le operazioni possibili di disinnesco, nonostante tutta la distrazione di “questo tempo duro”.

Ci sono dei libri in cui appena leggo due o tre frasi, ma direi due o tre parole, subito respiro meglio, come più largo. Un senso di libertà, una possibilità di gioia che fa capolino di nuovo. Con Davide Rondoni non è infrequente che mi capiti.
“Il mondo chiede di essere messo a fuoco al di là delle prime apparenze. Ci invita. I poeti fanno questo lavoro con le parole. Altri lo fanno con alambicchi e microscopi. O con l’aratro sul campo  o lo scalpello sul marmo. Per cercarne il segreto. Che non smette di parlare, di sollecitare.”
La poesia così intesa – ovvero (azzardo io) intesa correttamente – smette di sembrare passatempo per studiosi, si leva di dosso ogni polvere del tempo, torna ad essere necessaria per l’uomo: l’uomo che vuole davvero vivere la sua esistenza nel mondo, scandagliandone il significato. Che non accetta l’anestesia indotta dalla distrazione televisiva media. “Non verranno da loro, e dalle loro tribune, le parole per leggeere e dire le urgenze di questo tempo”

La poesia è per l’uomo (ogni uomo). Basterebbe questo: “Per fare esperienza della poesia (…) non occorre essere esperti di letteratura. Occorre essere vivi, disposti al continuo evento del mondo e del suo segreto

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