Blog di Marco Castellani

Mese: Agosto 2010

Certe notti, con il naso al cielo…

E’ il 10 agosto, la notte di San Lorenzo e delle sue lacrime,  la pioggia di stelle cadenti delle Perseidi, come celebrate  nella poesia X agosto da Pascoli.

Il nome dello sciame, Perseidi, deriva dalla costellazione del Perseo, luogo dal quale paiono irradiarsi le meteore. E fu proprio grazie alle osservazioni di questo sciame  che nel 1866 Giovanni Virginio Schiaparelli – di cui ricorre il centesimo anno dalla scomparsa – divenne famoso in ambito internazionale.

Da molti anni, infatti, gli astronomi europei e americani stavano discutendo su quale fosse l’origine delle piogge periodiche di meteore, e un po’ alla volta vari ricercatori erano arrivati a proporre un possibile legame con le comete.

Tutti con il naso in su in queste notti... 😉

Schiaparelli dimostrò in modo definitivo l’origine cometaria delle stelle meteoriche, mettendo in evidenza come le orbite descritte nello spazio dagli sciami di stelle cadenti coincidano, per tipo, forma e dimensioni, con quelle di alcune comete identificate in passato.

Ma Schiaparelli non si limitò a questo: riuscì a fornire anche una interpretazione fisica al fenomeno della pioggia di meteore, che ancora oggi risulta la spiegazione più convincente. L’astronomo di Brera sottolineò che avvicinandosi al Sole una cometa è destinata a disgregarsi progressivamente, lasciando parti di sé lungo la propria orbita. È proprio la nuvola di frammenti di cometa che, incrociando la Terra, dà luogo alle stelle cadenti, infiammandosi, una volta intercettati dall’atmosfera, per l’attrito.

È questo il caso delle Perseidi, generate dalle briciole della cometa 109P/Swift-Tuttle, scoperta nel 1862 e riosservata, in tempi recenti, nel 1992.

Il picco del fenomeno, che tende con il passare degli anni ad affievolirsi, vi sarà il 12 agosto, come è possibile verificare nell’Orbit Diagram, che indica come la Terra intercetti la nuvola dei frammenti della 109P/Swift-Tuttle cliccando qui.

Ma per saperne di più è sufficiente ascoltare  Marco Galliani intervistato, ai microfoni di radio 2, o andare sui siti dedicati alle Perseidi.

Marco Galliani (l’articolo originale è apparso sul sito INAF Media)

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Antenne, le due galassie in collisione

La NASA ha appena rilasciato una suggestiva immagine di due galassie in collisione: si tratta del sistema delle galassie Antenne, a circa 62 milioni di anni dalla Terra. L’immagine è una composizione di dati provenienti dai “giganti” dell’esplorazione dei cieli effettuata dallo spazio, ovvero la sonda Chandra (per quanto riguarda la banda X), il Telescopio Spaziale Hubble (per quanto concerne l’ottico) ed infine il Telescopio Spaziale Spitzer (per i dati infrarossi). Tutti protagonisti ben conosciuti dai lettori di GruppoLocale!

Le immagini originali in realtà sono state acquisite negli anni passati, in varie riprese, dal 1999 al 2005.

L’immagine composita delle galassie Antenne (Crediti: NASA, ESA, SAO, CXC, JPL-Caltech, and STScI)

Riguardo l’evento di “collisione”, va detto che esso è iniziato più di cento milioni di anni fa, ed è tuttora in corso. Un effetto evidente è che ha stimolato la formazione di milioni di stelle nelle regioni di gas e polvere delle due galassie. Le più grandi in massa, a vita più breve, hanno già percorso tutta la loro evoluzione fino allo scoppio come supernovae.

L’approccio combinato dei tre strumenti permette di rilevare un ampio spettro di caratteristiche: ad esempio, i dati di Chandra rivelano enormi nubi di gas interstellare molto caldo (e dunque molto energetico), arricchiti di materiale proveniente dalle esplosioni di supernovae. Il gas arricchito, che include elementi quali l’ossigeno, il ferro, il magnesio e il silicio, è destinato ad essere incorporato nelle successive generazioni di stelle e di pianeti.

I dati di Spitzer mostrano invece le regioni di gas riscaldate dalle stelle appena formatesi, con le nubi più calde che si trovano proprio a mezza strada tra le due galassie. Infine i dati nell’ottico acquisiti da Hubble ci servono ad individuare le zone ove sono presenti stelle più vecchie, insieme ad alcune regioni di formazione stellare, che si scorgono come filamenti in color oro e bianco. Molti dei puntini più piccoli dell’immagine ottica in realtà sono ammassi costituiti anche da migliaia di stelle…

Insomma, davvero uno spettacolo che potremmo ben definire “galattico”, a pieno titolo!

HubbleSite Press Release

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Cinque giorni a Cambridge…

Così, eccomi per la seconda volta a parlare di un soggiorno a Cambridge, sempre per il progetto Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Stavolta c’era da fare parecchio, risistemare le procedure di riduzione dati in vista di una maggiore efficienza. Il giorno si stava all’Istituto di Astronomia, il pomeriggio e la sera si gironzolava per Cambridge, magari con una sosta in qualche pub.


A spasso per Cambridge… 🙂

Arrivare a Cambridge non è cosa da lasciare indifferente il mio cuore. E’ come un anticipo di autunno, ma dell’autunno che piace a me, dove i colori risaltano e si è come attratti da una prospettiva di intimità con il proprio cuore, dalla possibilità che risuoni con la natura, con i parchi verdi, l’aria tersa, che si allarghi nello spazio intorno…

Poi certo, c’è il lavoro, la sua sfida. Le conquiste e le tensioni. La soddisfazione di un attimo, il timore dell’attimo successivo. Discese ardite e risalite. E’ giusto il codice? Va cambiato? Il lavoro fatto finora è adeguato? Lo sto facendo sufficientemente bene? Tante volte mi sono risuonate in testa queste domande (e la risposta dipendeva dall’umore del momento….)

Poi le sere a parlare con i colleghi di Roma, compagni di questa buffa avventura. Capire che ogni persona è un universo, un insieme di giudizi e valutazioni e un punto unico sulla vita e sul mondo. Viene fuori meglio la sera parlando, quando magari si è a stretto contatto per una settimana, che nella routine lavorativa ordinaria. In orario di ufficio si è tutti più trattenuti.

Il contatto discreto con la moglie, come una cornice a tutto quel che succedeva. Due parole al telefono, la sera. I messaggini, più affettuosi del solito, segnali di riferimento per non perdere il tragitto. Seguire il sentiero. Parlavano, anche sotto le parole. Quel che per pudore non veniva scritto a lettere, era comunque chiaro. Dicevano io sono con te, stai tranquillo. 

La sera in stanza leggevo qualche pezzetto di Tracce e di una rivista di computer (il primo per farmi “sentire” sul cammino, il secondo per sgombrare la mente stanca dal giorno passato alle riunioni). Avevo anche La storia infinita ma sono andato avanti poco.
 

Alti e bassi. Ma la cosa di cui sono davvero grato, è che in ogni momento, in ogni giornata, c’erano sempre due o tre cose che capitavano, a volte anche piccole piccole, ma che sembravano arrivare con un significato specifico. Spesso usando la posta elettronica (ma il mezzo è quanto mai ininfluente). Una cara amica che si faceva sentire, un apprezzamento inatteso di un lavoro di qualche tempo fa… Come dire, ecco dove puoi guardare oggi, per sentirti confortato. E’ ragionevole ma non viene imposto. A te la scelta….  

Senza forzare la  libertà, ma come suggerendo delicatamente…

Su tutto, la sensazione che malgrado tutte le debolezze, i limiti, esista una strada, che si può percorrere…

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Appuntamento con la pioggia di meteoriti

Quest’anno la pioggia di Perseidi, prevista tra il 10 e il 14 agosto 2010 (il massimo si ha intorno al 12 agosto) dovrebbe essere molto intensa, più degli anni scorsi. A dire il vero, ogni anno leggo sempre “Spettacolare pioggia di stelle cadenti” quasi fosse una forma di pubblicità per far alzare gli occhi al cielo di coloro che di solito sono presi dalla vita di tutti i giorni e si dimenticano di una bella metà del nostro mondo.

Questo video di MeteorWatch realizzato da Adrian West è sicuramente spettacolare e ve lo consiglio.
Il sito di MeteorWatch è alla pagina: http://meteorwatch.org.

Fonte Universe Today “Get Ready for the Perseids” su: http://www.universetoday.com/70064/get-ready-for-the-perseids-join-the-world-in-watching.

Ringrazio il mio amico Ricardo L. Garcia per il suggerimento.

Sabrina

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Il carbonio nero responsabile del riscaldamento globale

Fonte: http://globalwarming1.net/Effects_of_Global_Warming.jpg .

L’aumento del rapporto tra il carbonio nero e i solfati nell’atmosfera comporterebbe un aumento del riscaldamento globale. E’ il risultato emerso dal lavoro portato avanti da un team di ricercatori dell’Università dell’Iowa e pubblicato il 25 luglio scorso nella rivista Nature Geoscience.

Il carbonio nero – che viene emesso dai motori diesel e da alcuni forni di cottura – è considerato uno dei fattori del riscaldamento globale e una componente importante dell’inquinamento dell’aria in tutto il mondo secondo Greg Carmichael, Professore di chimica e ingegneria biochimica presso l’UI College of Engineering e co-direttore del Center for Global and Regional Environmental Research dell’UI.
I solfati vengono riversati nell’atmosfera in grandi quantità in conseguenza di vari processi industriali.

Il team di ricerca è composto da Ramanathan e Y. Feng del Scripps Institution of Oceanography, La Jolla, California; da S-C. Yoon e S-W. Kim del Seoul National University, Sud Corea, e da  J. J. Schauer dell’University of Wisconsin, Madison.

Allo scopo di portare a termine i loro studi, i ricercatori hanno compiuto degli studi al suolo analizzando dei campioni di aria nell’isola Cheju in Sud Corea e, successivamente, sono passati al campionamento dell’aria ad altitudini comprese tra i 100 e i 15.000 piedi utilizzando delle sonde senza pilota (UAV).

E’ emerso che la quantità di radiazione solare assorbita aumenta con l’aumento del rapporto del carbonio nero/solfati. Inoltre, le emissioni di carbonio nero derivanti dai combustibili fossili causerebbero il 100% in più di riscaldamento rispetto ai derivati della combustione delle biomasse.

Questi risultati erano stati indicati dalle teorie ma mai verificati dalle osservazioni prima d’ora” ha affermato Carmichael. “C’è attualmente un grande interesse nello sviluppo di strategie per ridurre il carbonio nero, poiché che esso offre l’opportunità di diminuire al tempo stesso l’inquinamento dell’aria e il riscaldamento globale“.

Gli autori suggeriscono che le politiche di mitigazione sul clima potrebbero permettere di ridurre il rapporto carbonio nero/solfati nelle emissioni, oltre alla quantità di carbonio nero liberato nell’atmosfera.

In un articolo pubblicato nel maggio 2008 su Nature Geoscience, Carmichael e Ramanathan hanno trovato che l’emissione del carbonio nero dal motore diesel e la fuliggine dai forni domestici, usati soprattutto in Asia, possono giocare un ruolo fondamentale sul riscaldamento globale, più importante di quanto ritenuto finora.I ricercatori nello stesso articolo hanno sottolineato il fatto che i forni a carbone in Cina e in India producono circa un terzo del carbonio nero; i rimanenti due terzi sono dovuti soprattutto alle emissioni dei motori diesel in Europa e in tutti i paesi in cui se ne fa uso.

Infine, la fuliggine e le altre forme di carbonio nero potrebbero uguagliare fino a circa un 60% l’attuale effetto di riscaldamento globale dovuta all’anidride carbonica, principale gas responsabile dell’effetto serra.

Fonte Physorg.com: http://www.physorg.com/news199632687.html

L’articolo è stato pubblicato inizialmente su The Climate Summit Italia: http://theclimatesummitit.blogspot.com/2010/08/il-carbonio-nero-responsabile-del.html .

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La meteorite del 1860

La meteorite del 1860 di Frederic Church. Cortesia: Judith Filenbaum Hernstadt (ritratto fotografato da Gerald L. Carr). Fonte: Astronomy Picture of the Day.

Il pittore paesaggista americano dell’Hudson River School, Frederic Church (1826-1900) aveva l’abitudine di dipinge tutto quello che vedeva. Il 20 luglio 1860 osservò una spettacolare fila di meteoriti solcare il cielo, un rarissimo caso di “meteor procession” come vengono definite, ossia di meteoriti una di seguito all’altra, che formano una lunghissima scia luminosa. Dalla sua casa di New York il poeta Walt Whitman (1819-1892) scrisse nella sua poesia “Year of Meteors” (1859-1860):

“… strange huge meteor procession, dazzling and clear, shooting over our heads”

(“… una strana ed immensa fila di meteoriti, abbagliante e ben visibile, sfrecciante sopra le nostre teste”).

Ma l’ispirazione di Whitman è andata perduta nel tempo. Il suo riferimento astronomico è diventato un mistero e argomento di dibattito nelle scuole, finché i due fisici Donald Olson e Russell Doescher del Texas State University, insieme al Professor Marilynn Olson, di origine inglese, e Ava Pope, studente Honors Program, hanno fornito data e ora del fenomeno. Il lavoro è stato descritto e pubblicato sulla rivista “Sky & Telescope“. Sappiamo che doveva essere la sera del 20 luglio 1860.

La fila di meteoriti (“meteor procession”) è così rara che la maggior parte delle persone non ne ha mai sentito parlare” ha affermato il Professor Donald Olson che ha lavorato in questa ricerca. “Ce n’è stata una nel 1783 e una seconda nel cielo canadese nel 1913. Queste sono tutte quelle che conosciamo“.

Per anni, la descrizione di Whitman era stata alternativamente attribuita a vari eventi, tra cui la pioggia di meteoriti del 1833, la pioggia delle Leonidi del 1858 e la famosa palla di fuoco del 1859. Ma il periodo in cui è stato scritto il poema, “Year of Meteors” che risale al 1859-1860 e il riferimento della Grande Cometa del 1860, sono in conflitto con un altro avvistamento  di Whtman risalente al 1833.

Il dipinto di Church, intitolato “The Meteor of 1860” che mostra una fila di meteoriti che solcano il cielo notturno, è stato fondamentale nel risolvere questo enigma. Questo dipinto è stato analizzato da Olson e dal suo team. Olson, in particolare, aveva  notato il dipinto sul retro copertina di un catalogo di una mostra d’arte. Dopo aver visitato la casa di Church nel New England e alla fine di una ricerca in una libreria che raccoglieva vecchi diari di un amico, il team  è arrivato a concludere che Church doveva vivere a Catskill, New York, nel luglio 1860 mentre stava lavorando al dipinto.

La prima pagina del Harper’s Weekly dove viene descritta la spettacolare meteorite frammentata in più meteoriti minori che ha solcato i cieli americani il 20 luglio 1860. Cortesia: Space.com.

Questa data ha permesso ai ricercatori di focalizzare la loro attenzione ai giornali e quotidiani dell’epoca, che hanno permesso di confermare le loro ipotesi sull’avvistamento della sorprendente meteorite nella notte del 20 luglio 1860.

Penetrando nell’atmosfera, la meteorite si deve essere frammentata in una serie di piccole meteoriti formando una sorta di coda, rendendosi visibile in una vasta regione,  dai Grandi Laghi fino allo stato di New York.

Dalle osservazioni nelle varie città e sulla Hudson River Valley, è possibile determinare l’apparizione della meteora con grande precisione, e conoscere l’ora e il minuto in cui è stata visbile” ha affermato Olson. “Church l’ha osservata alle ore 21:49 quando la cometa è passata sopra la sua testa e Walt Whitman deve averla vista nello stesso momento, a distanza di circa un minuto“.

C’è una parte davvero fantastica nel quotidiano di Catskill dove viene la meteorite viene descritta come divisa in due parti con delle scintillazioni, esattamente com’è rappresentata nel dipinto” ha affermato Ava Pope che ha contribuito al progetto.

Nonostante la sua rarità come fenomeno astronomico e la consistente documentazione nei quotidiani e nelle riviste, l’evento è stato letteralmente dimenticato nella metà del ventesimo secolo.

Oggi a questo evento si è dato una data e un’ora.

Fonte: Astronomy Picture of the Day: http://antwrp.gsfc.nasa.gov/apod/ap100722.html e http://www.space.com/scienceastronomy/walt-whitman-meteor-mystery-solved-100602.html.

Ringrazio Ricardo L. Garcia per il supporto e l’aiuto in alcuni fondamentali dettagli nel testo inglese.


Sabrina

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Nemesis, quella stella compagna del Sole…

L’oggetto più piccolo in queste due immagini rappresenta una nana bruna che ruota attorno alla stella Gliese 229. Alcuni ricercatori pensano che il nostro Sole possa avere una simile stella come compagna chiamata Nemesis. Crediti: Palomar Observatory (sinistra); Hubble Space Telescope (destra).

Da molti anni si porta avanti l’ipotesi secondo la quale il Sole non sia nato da solo, ma insieme ad altre stelle. La stella ipotetica compagna della nostra è stata battezzata in modo fantasioso col nome di Nemesis.

Nemesis è stata proposta per la prima volta nel 1984 per tentare di spiegare la periodicità delle estinzioni di massa sulla Terra. Pare essere alta sul nostro pianeta la probabilità di un’estinzione di massa circa ogni 27 milioni di anni, simile a quella che deve aver ucciso i dinosauri e la maggior parte della vita sulla Terra 65.5 milioni di anni fa.

La scala temporale di questo ciclo dell’ordine delle decine di milioni di anni suggerisce che alcuni fenomeni celesti lo possano in qualche modo influenzare.
Quando si osserva un fenomeno avvenire con una certa regolarità ogni 10 o 100 milioni di anni, si tende a pensare a influenze di natura astronomica” ha affermato l’astrofisico Adrian Melott dell’Università del Kansas (Lawrence, Kansas).

Alcuni ricercatori hanno suggerito l’esistenza di una stella di piccola massa, Nemesis, che potrebbe orbitare intorno al nostro Sole a grande distanza (a circa 1 anno luce), oltre l’orbita dei pianeti del nostro sistema solare. Un tale oggetto dovrebbe avere un’orbita con un ciclo di circa 27 milioni di anni.

Di tanto in tanto l’orbita di questa stella potrebbe intersecare la cosiddetta Nube di Oort, una nube presumibilment esferica e ricca di nuclei cometari che circonda il sistema solare interno (formato dai pianeti) e la nube di asteroidi, oltre l’orbita di Nettuno chiamata Nube di Kuiper. Penetrandovi all’interno, questa stella potrebbe disturbare l’orbita di numerose comete, proiettandole all’interno del sistema solare e, nel caso più sfortunato, facendole finire sulla Terra.

Potrebbe esserci un grande numero di comete la cui orbita viene di tanto in tanto perturbata tanto da comportare un’estinzione.

Su Space on msnbc.com alla pagina: http://www.msnbc.msn.com/id/38368075/ns/technology_and_science-space/ si afferma che un gruppo di astronomi ha categoricamente ecluso l’esistenza di Nemesis. Non sono citate le fonti secondo le quali questa teoria sia effettivamente più valida di altre.
Non è possibile ricostruire l’orbita di una stella ipotetica, compagna della nostra, dalla posizione attuale occupata dal Sole nella Galassia, perchè le perturbazioni subite sono molteplici e tornare indietro nel tempo non è possibile.

Del resto, Nemesis avrebbe potuto essere stata allontanata all’atto della sua formazione insieme col nostro Sole e proiettata in un punto lontano della nostra Galassia. Inoltre, ogni stella perturbatrice di un nucleo cometario nella nube di Oort potrebbe essere considerata la stella compagna della nostra.

Ringrazio il mio amico Ricardo L. Garcia per avermi suggerito l’idea di questo post.

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Ufo, “getti volanti” identificati

 

Immagine ottica e radio della galassia Centaurus A e del getto proveniente dall’AGN centrale

di Marco Malaspina, Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Roma

 

Gli Ufo? A osservarli, questa volta, non è stato un patito di fantascienza dall’immaginazione galoppante, bensì un astrofisico di quelli seri, Francesco Tombesi, un giovane ricercatore italiano che lavora alla Nasa. Il quale, in ben due articoli scientifici su riviste altrettanto serie e prestigiose (uno è appena stato pubblicato su ApJ, l’altro lo sarà fra poco su A&A), conferma in modo inequivocabile l’esistenza di un fenomeno che ha visto per anni la comunità scientifica piuttosto perplessa. Il fenomeno in questione, sia chiaro, non è quello degli «oggetti volanti non identificati». Certo, gli Ufo scoperti da Tombesi «volano» (quasi alla velocità della luce) e fino a oggi erano stati solo parzialmente «identificati», ma non sono «oggetti», bensì «getti». Gli Ultra Fast Outflows, ecco spiegato l’acronimo Ufo, sono infatti getti ultrarapidi di materia altamente ionizzata, espulsi a decine di migliaia di chilometri al secondo dai buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie con nucleo attivo.

«È da qualche anno che se ne osservavano alcune evidenze», dice Tombesi, «ma molti astrofisici erano ancora scettici. Ora, grazie alla nostra analisi sistematica, per la prima volta siamo riusciti a mettere un punto fermo. E a dimostrare l’esistenza del fenomeno». Per arrivare a questo risultato, Tombesi e i suoi colleghi hanno compiuto un’analisi spettrale dei dati provenienti da campioni molto ampi di AGN, galassie dal nucleo attivo distanti centinaia di milioni di anni luce dalla Terra. Dati provenienti dai cosiddetti «radio-quiet AGN» raccolti dal satellite XMM-Newton dell’Esa (descritti nell’articolo in corso di pubblicazione su Astronomy & Astrophysics), e dati provenienti dai «radio-loud AGN», osservati invece dal satellite giapponese Suzaku (http://heasarc.gsfc.nasa.gov/docs/suzaku). I risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero di Astrophysical Journal: http://iopscience.iop.org/0004-637X/719/1/700/ .

Entrambe le analisi confermano che gli Ultra Fast Outflows sono venti di materia a velocità molto elevate (viaggiano tipicamente a 30mila chilometri al secondo, ma possono arrivare fino a un terzo della velocità della luce), di massa enorme (l’equivalente di una massa solare all’anno), provenienti dai dischi di accrescimento che stanno attorno ai buchi neri supermassicci, quelli che si trovano appunto al centro degli AGN. La materia che li compone è anch’essa particolare: si tratta di getti di plasma estremamente ionizzato, identificabile osservando le righe di assorbimento del ferro. Atomi di ferro, dunque, ai quali sono stati strappati quasi tutti gli elettroni, fino a lasciarne uno o due appena, come fossero atomi d’idrogeno o di elio. Da qui il nome delle due classi di questi particolari ioni di ferro, hydrogen-like o helium-like. Non solo: la spaventosa velocità di espulsione fa sì che, quando questi venti sono spinti dall’emissione X dei buchi neri in direzione della Terra, la lunghezza d’onda dell’emissione appaia contratta. Generando così uno «spostamento verso il blu», il blueshift, rispetto al più comune redshift osservabile nelle sorgenti che si allontanano da noi.

Un fenomeno peculiare, dunque, ma anche di estremo interesse scientifico, spiega Tombesi: «L’esistenza degli Ufo ci permette di spiegare il cosiddetto feedback, cioè l’interazione fra il buco nero supermassiccio e la galassia ospite. La grande massa di materia e la loro altissima velocità, infatti, fanno sì che gli Ufo riescano a interagire con l’intera galassia ospite, e perfino a uscirne fuori».

Il lavoro di ricerca di Tombesi sugli Ufo, culminato in questi due articoli, è iniziato durante il suo dottorato, svolto in Italia presso l’INAF-IASF Bologna e il Dipartimento d’ astronomia dell’Università di Bologna sotto la supervisione, rispettivamente, di Massimo Cappi e Giorgio Palumbo, e terminato lo scorso aprile. Poi, il trasferimento a Greenbelt (Maryland, Usa), presso il Goddard Space Flight Center della Nasa, dove Tombesi ha una borsa postdoc.

I due articoli scientifici sul web:

•“Discovery of ultra-fast outflows in a sample of Broad Line Radio Galaxies observed with Suzaku”; Tombesi, F., Sambruna, R.M., Reeves, J.N., Braito, V., Ballo, L., Gofford, J., Cappi, M., & Mushotzky, R.F. 2010, arXiv:1006.3536: http://arxiv.org/abs/1006.3536.
•“Evidence for ultra-fast outflows in radio-quiet AGNs: I – detection and statistical incidence of Fe K-shell absorption lines”; Tombesi, F., Cappi, M., Reeves, J.N., Palumbo, G.G.C., Yaqoob, T., Braito, V. & Dadina, M. 2010, arXiv:1006.2858: http://arxiv.org/abs/1006.2858.

La notizia è apparsa originariamente su INAF-Media alla pagina: http://www.media.inaf.it/2010/07/26/ultrafast-outflows/ .
Marco Malaspina ha raggiunto telefonicamente Francesco Tombesi alla NASA. L’intervista è disponibile online sempre su:
http://www.media.inaf.it/2010/07/26/ultrafast-outflows/ .

Marco Malaspina

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