Graditissimo regalo, quello della mamma. Due biglietti per andare a sentire la Quinta sinfonia di Gustav Mahler, al Parco della Musica, diretta da Valery Gergiev. No, dico: la quinta di Mahler! E poi la prima volta che vado all’auditorum, sono curioso… 
Arriviamo ampiamente per tempo: la “nonna Giuliana” non solo ci ha comprato due costosi biglietti di platea, ma ha completato il meraviglioso regalo con l’offerta di un pomeriggio a casa nostra a guardare la prole, mentre siamo via… Impagabile. Io e Paola gironzoliamo dentro il negozio di libri e dischi (per me non c’è quasi niente di più appagante…), mi prendo l’ultimo libro di Andrea De Carlo (ma non sarà mai bello come “Durante”, temo) poi ci permettiamo pure un piccolo aperitivo al bar davanti all’auditorium.

Ma guarda, si sta avvicinando l’ora di entrare, manca poco alle sei.

Le sedie sono di un bel rosso vivo, spiccano nell’ambiente grande ma accogliente, tutto in legno. Sembra in legno anche il soffitto. E’ grande ma non ti senti sperso; il legno dà calore. E bravo Renzo Piano. Seduti aspettiamo l’inizio. Sono molto curioso. La quinta di Mahler, insomma! 
Si abbassano le luci. Entra l’orchestra, poi finalmente il direttore. Parlo a Paola dell’inserto meraviglioso che ci attende prima della metà del primo tempo, lo descrivo come una cosa modernissima quasi da Pink Floyd, tutti i motivi che si intersecano e si sovrappongono, sfasati: in pratica, un frammento di un paio di minuti di meravigliosa complessità (ascoltando mi viene un paralelleo tra la Quinta e Atom Heart Mother dei Pink.. sì, secondo me si potrebbe sviluppare l’idea…).
Grazie anche a te caro Gustav, per questo bel pomeriggio… 
Arrivano le note. Belle, precise, rotonde. Una valanga di sentimenti tra l’antico e il nuovo, tra la nostalgia per una tradizione grandissima e le irrequietezze sperimentali di nuove forme. Il secolo ventesimo appena cominciato, un linguaggio nuovo. Ogni motivo tematico viene enunciato e immediatamente straniato, stirato, contrapposto ad un altro, in un tappeto di suoni geniale e modernamente inquieto. Ma a differenza di tanta “modernità” altrove ostentata, qui la bellezza c’è. C’è una bellezza e un desiderio di infinito, che cerca e sperimenta forme nuove. La senti, questa bellezza che si veste di abiti nuovi, ti rimane addosso quando anche le note – dopo un’ora e un quarto – finiscono, dopo gli applausi al bravissimo direttore, agli orchestrali (alcuni dei quali – buffo pensarlo ora – abbiamo visto arrivare con i loro strumenti, vestiti “casual”, in moto, in autobus…).
Paola che non è “mahleriana” doc (ovvero, malata persa come me, nda), regge bene il concerto. Facciamo dei commenti su dei passaggi “curiosi”, la percussione delle bacchette, il pizzicato dei violini, il primo tempo che ci piace di più a tutti e due. Altro che l’ultrafamoso adagetto…
Un bel pomeriggio. Prima di tornare ci permettiamo un’altre breve sosta al bar. Andiamo via piano, guardando i locali.  Tornando parliamo della gente che abbiamo visto al concerto; dai più giovani ai più “maturi”, tanta gente diversa unita dalla passione per la bellezza. 
E la sete di bellezza è tale, mi accorgo, che il cuore sempre gioisce, quando poco poco si prova a soddisfarla… 

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