Blog di Marco Castellani

Mese: Gennaio 2011 Page 1 of 4

Abell 1185 e gli ammassi intergalattici

Un articolo apparso in rete in data odierna, in forma di preprint, esamina in dettaglio la popolazione di ammassi globulari nel cuore del ricco ammasso di galassie chiamato Abell 1185. Immagini profonde ottenute con Hubble confermano la presenza di diverse migliaia di ammassi, in un campo – ecco la cosa interessante! – in cui in pratica non appaiono galassie.

Sappiamo che gli ammassi globulari sono onnipresenti nelle galassie, poiché si trovano praticamente in tutte, fatta eccezione soltanto per le galassie nane più piccole. Proprio per tale motivo questi giocano un ruolo fondamentale nell’aiutare gli astronomi a comprendere l’origine e l’evoluzione delle galassie stesse.

Accanto a questo, però, sono anche cresciute le evidenze del fatto che esista in molti casi una popolazione di ammassi che invece si trova al di fuori delle galassie. Già negli anni ’50 van den Bergh ipotizzava che un terzo di tutti gli ammassi fosse di “tipo intergalattico”. Da allora numerosi studi non hanno fatto altro che portare nuove conferme a questa idea: vi possono essere diversi ammassi non gravitazionalmente legati ad alcuna galassia!

L’ammasso di galassie Abell 1185 (Credits CFHT / Coelum)

Al momento non si sa molto riguardo la possibile natura od origine di questi ammassi intergalattici. Una ipotesi è che siano “normali” ammassi globulari strappati alla galassia di appartenenza da interazione gravitazionali. Rimasti dunque “a zonzo” per lo spazio proprio come detriti dell’evoluzione cosmica. D’altra parte, gli ammassi globulari sono strutture molto dense, e dunque è facile che possano resistere anche alla disgregazione – parziale o addirittura completa – della galassia nella quale si sono originati…

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La nostra Terra dallo spazio

L’orizzonte terrestre.  Foto fatta da uno dei membri dell’equipaggio della missione STS-118 Endeavour, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il 10 agosto 2007. Crediti NASA.

Sabrina

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Il flyby del Mars Express con Phobos

Nella tarda giornata del 21 gennaio 2011 l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha ricevuto le immagini processate dal team di ricercatori che seguono l’High Resolution Stereo Camera (HRSC) a bordo del Mars Express. Queste immagini sono davvero uniche e mostrano il satellite di Marte, Phobos, in 3D e il landing site della missione Phobos-Grunt.
Rappresentazione della posizione in cui si trovavano il Mars Express, Marte e Phobos all’istante in cui sono state scattate le foto.

Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).


Phobos. L’immagine è stata modificata per mettere in evidenza le zone più scure. Risoluzione: 4.1 metri per pixel. Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).


Phobos in 3D. La fotocamera HRSC ha registrato le immagini di Phobos il 9 gennaio scorso alla distanza di circa 100 chilometri con una risoluzione di 8.1 m/pixel. Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).


Le immagini ottenute con il Super Resolution Channel (SRC) mostrano dettagli della superficie di Phobos. Qui, sovrapposta all’immagine nadir HRSC vi sono 7 immagini ottenute con il SRC con una risoluzione di circa 3 m/pixel.  Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).

Sequenza di immagini da sinistra a destra: stereo S1 (4.1 m/pixel), fotometrico P1 (8.1 m/pixel), nadir NR (3.9 m/pixel), fotometrico P2 (8.2 m/pixel) e stereo S2 (4.3 m/pixel). Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).

La zona che è stata scelta come landing per la missione russa Phobos-Grunt. Immagine di Phobos con una risoluzione di circa 8.2 m/pixel.
Le due ellissi evidenziano i due siti del landing della missione russa Phobos-Grunt, in rosso quello preso come buono in un primo momento e poi sostituito da quello indicato in azzurro. Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum).
Fonte ESA: http://www.esa.int/esaCP/SEMIPY6SXIG_index_0.html


Un’animazione di Phobos.  Copyright ESA/DLR/FU Berlin (G. Neukum). Cliccate sull’immagine per osservarla.

Sabrina


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Challenger 28 gennaio 1986

L’equipaggio del STS-51-L. In prima fila da sinistra a destra: il pilota Michael John Smith (primo volo), il comandante della missione Dick Scobee (pilotò la missione STS-41-C del Challenger) e lo specialista di missione Ronald McNair alla sua seconda missione nello spazio. In seconda fila da sinistra a destra: lo specialista di missione Ellison Onizuka (che era stato specialista di missione con la STS-51-C – Shuttle Discovery), il primo civile a volare su uno Shuttle, l’insegnante Christa McAuliffe, lo specialista del carico Gregory Jarvis, e la specialista del carico Judith Resnik che volò per la prima volta con il viaggio inaugurale del Discovery nella missione STS-41-D.

L’equipaggio durante una lezione. Cortesia NASA.

Il pilota Scobee e l’insegnante Mc Auliffe durante una simulazione del lancio.  Cortesia NASA.

Simulazione di assenza di gravità. Cortesia NASA.

Fumo grigio ben visibile durante la partenza ad una guarnizione (O-ring) nel segmento inferiore del razzo a propellente solido (Solid-fuel Rocket Booster, SRB) destro che avrebbe causato l’esplosione a 73 secondi dal lancio. Qui sotto una sequenza dell’esplosione. Cortesia NASA.

Disponibili su: http://images.jsc.nasa.gov/search/search.cgi?searchpage=true&selections=STS51L&browsepage=Go&hitsperpage=5&pageno=5 .

Ben evidente in questo fotogramma la lingua di fuoco che si sarebbe estesa a tutta la struttura nell’arco di pochi secondi. Cortesia NASA.

Un booster laterale dopo l’esplosione che si sta allontanando. Verrà disintegrato poco dopo con un comando da terra. Cortesia NASA.

Questa foto è rimasta nella memoria collettiva: dai monitor lo shuttle è diventato oramai una scia bianca e il volto sconvolto dall’incredulità dell’ingegnere che segue dal centro di controllo di Houston la missione.  Cortesia NASA.

Informazioni sulla missione:

Sito Nasa – la missione STS 51L: http://www.nasa.gov/mission_pages/shuttle/shuttlemissions/archives/sts-51L.html
Sequenza dei momenti fondamentali della partenza: http://science.ksc.nasa.gov/shuttle/missions/51-l/docs/events.txt

Sequenza di immagini (JSC Digital Image Collection): http://images.jsc.nasa.gov/search/search.cgi?selections=STS51L&browsepage=Go&query=STS51L&field=missionid&startat=0&maxresults=5

I video della missione (i membri dell’equipaggio durante la preparazione, la partenza e l’esplosione: http://science.ksc.nasa.gov/shuttle/missions/51-l/movies/movies.html di Michael T. Downs (downs@titan.ksc.nasa.gov)/ NASA

Il discorso del Presidente americano Ronald Reagan alla commemorazione funebre del 31 gennaio 1086: http://www.chron.com/content/interactive/special/challenger/docs/eulogy.html

Il report del 1988 da parte della National Academies of Science’s Aeronautics and Space Engineering Board – http://books.nap.edu/openbook.php?isbn=NI000494 Post-Challenger Evaluation of Space Shuttle Risk Assessment and Management.

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Apollo 1 – 27 gennaio 1967

L’equipaggio dell’Apollo 1. Da sinistra: il comandante pilota Edward White, il comandante Virgil “Gus” Grissom e il pilota Roger Chaffee. Cortesia NASA.

L’equipaggio dell’Apollo 1 fotografato davanti al complesso di lancio 34 dal quale sarebbe stato lanciato l’Apollo 1. Era  il 17 gennaio 1967, 10 giorni prima della tragedia .  Cortesia NASA. Fonte:  http://grin.hq.nasa.gov/ABSTRACTS/GPN-2000-000618.html .

Giugno 1966. Gli astronauti in un’enorme vasca da bagno per il loro training.  Cortesia NASA. Disponibile su: http://spaceflight.nasa.gov/gallery/images/apollo/apollo1/html/s66-51581.html .

Fire, I smell fire” fu così che il camandante Roger B. Chaffee comunicò che la cabina era piena  di fumo. Ma furono anche le sue ultime parole. L’equipaggio durante una simulazione del volo non ebbe alcuna possibilità di salvarsi: il portello con apertura verso l’interno poteva aprirsi solo con la capsula non pressurizzata.  Sarebbero occorsi almeno 90 secondi prima di aprire il portellone e portare gli astronauti in salvo all’esterno, ma gli sfortunati morirono in circa 15 secondi.

Si ritiene che il fuoco abbia avuto origine da una scintilla in qualche parte degli oltre 50 km di cavi ed abbia avuto una combustione molto accelerata per l’atmosfera d’ossigeno pressurizzata presente nella capsula. La Commissione d’esame sul disastro determinò che la causa fu un filo di rame privato del suo isolamento dalla continua apertura e chiusura di un portello che interferiva con esso. Sembra inoltre che questo filo fosse vicino a una giunzione di una linea di raffreddamento che stava espellendo dei vapori altamente infiammabili“.  Fonte Wikipedia.

La capsula dell’Apollo 1 dopo l’incendio. Fonte NASA.

Il fuoco si diffuse rapidamente, passando per la tuta degli astronauti. Le tute di Grissom e di White furono ritrovate fuse. Nonostante questo, è stato confermato che i membri dell’equipaggio morirono per l’inalazione dei fumi piuttosto che per le ustioni. La Commissione d’esame stabilì che Grissom subì ustioni del terzo grado nel 36% del suo corpo (in tutto erano presenti ustioni sul 60%) mentre la sua tuta spaziale era distrutta per il 70%. White subì ustioni del terzo grado sul 40% del suo corpo (48% in totale), e la sua tuta venne distrutta per il 25%. Chaffee ebbe ustioni di terzo grado per 23% del suo corpo (29% in totale) e la sua tuta venne distrutta per il 15%“.
Fonte: Wikipedia

Per maggiori informazioni si visiti il sito della NASA: http://history.nasa.gov/Apollo204/

Galleria fotografica – Fonte NASA:  http://history.nasa.gov/Apollo204/gallery.html

Sabrina

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Aurora boreale

L’aurora boreale (o luci del nord, “Northern Lights”) deriva dal nome della Dea romana dell’alba, Aurora, e dal nome greco dell vento del Nord, Boreale. Le aurore hanno avuto numerosi nomi nel corso del tempo. Molte popolazioni indigene del Nord America immaginano le aurore come “la danza degli Spiriti”. In Europa, durante il Medioevo, le aurore erano comunemente ritenute un segno divino.

In queste due fote l’aurora boreale fotografata da Francis Anderson. Disponibile su TRIGGERPIT.com .

Un’aurora boreale sopra l’isola di Kvaløya, vicino a Tromsø, Norvegia ripresa il 13 dicembre 2009.  Foto ottenuta con una lung esposizione (30 secondi);  si nota lo scintillio delicato delle stelle. Regolando il contrasto, è emersa pure la scia di una meteora, appartenente alla famiglia delle Geminidi (metà dicembre).

Sia le aurore che le meteore si manifestano in alta atmosfera terrestre ad altitudini di circa 100 chilometri. Le aurore sono prodotte da particelle cariche della magnetosfera, mentre le meteore sono scie di polvere cosmica.
Crediti e Copyright: Hansen G. Bjørnar.

Sabrina

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Un tramonto dallo spazio

Note come nubi nottilucenti, l’astronauta Douglas Wheelock è riuscito a catturarle proprio nel periodo di maggior visibilità, al solstizio estivo. Le nubi nottilucenti sono note anche come “nubi polari mesosferiche” (Polar Mesospheric Clouds): non sono altro che le nubi più alte nell’atmosfera terrestre che si trovano nella mesosfera a circa 80 chilometri di quota e che si rendono visibili solo quando vengono illuminate dalla luce solare da sotto l’orizzonte, mentre gli strati più bassi della nostra atmosfera sono oscurati dall’ombra terrestre.

Foto scattata dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il 25 giugno 2010 dall’astronauta Douglas Wheelock, che dal 22 settembre 2010 ha assunto il comando della ISS.

Sabrina

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Gustarsi il tempo…

Non ci può essere vera felicità se ci si gioca su un atteggiamento sleale verso la moglie, la famiglia. Dal coraggio di capire che si è davvero a casa, che non ci può essere situazione migliore, che le fantasie sono solo fantasie (percezioni distorte per fragilità, impazienza dell’attesa di un compimento), viene la letizia e la pace. 
E viene perché non è una cosa fine a se stessa, non è per un inutile buonismo, uno sterile moralismo. Nemmeno può essere per un quieto vivere (che brutto e sottilmente disperato sarebbe un “quieto vivere” senza un’apertura, un respiro, un riverbero di un Altro!). E’ come una umile domanda, una ricerca di un incanto, di un prodigio, “Il prodigio che tutti aspettiamo“. Il compimento del desiderio del cuore.
Altrimenti il tempo vincerebbe, come sempre vince se non c’è (o non si riconosce) una radice che non muore, che non ha scandalo del passare del tempo. “Mia giovinezza non ti ho perduta / Sei rimasta, in fondo all’essere” dice Ada Negri. 

“Luci della sera”
(scatto di oggi per Picplz)



Essere in se stessi, nella propria storia, trovarci il fondamento, stupirsi della sua consistenza… questo dà pace. Questa pace, questa sicurezza, permettono la creatività e l’efficacia del proprio stare nel mondo. Insieme, sono la risposta più solida alle paure e alle nevrosi.
Bisogna avere una radice, per fiorire. Per gustarsi il tempo.

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