Blog di Marco Castellani

Giorno: 11 Marzo 2011

Ci uniamo al dolore del Giappone

Fonte Corriere della Sera: lo tsunami sulle Coste del Giappone. Cortesia: AP Photo/The Yomiuri Shimbun, Yasushi Nagao, JAPAN OUT, CREDIT MANDATORY.

La Redazione di GruppoLocale

è profondamente turbata per le conseguenze del disastroso terremoto

avvenuto questa mattina in Giappone

e si unisce al dolore di tutte le persone

che sono state toccate da questa tragedia.


Fonte: Corriere della Sera. Lo tsunami sulle coste giapponesi.

Sabrina e Marco

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La lampada a incandescenza (II parte)

Humphry Davy nel suo laboratorio.


di Giovanni Boaga


Innanzitutto: cos’è una lampada a incandescenza? È una fonte di luce artificiale che sfrutta l’emissione di fotoni da parte di un filamento metallico surriscaldato per effetto del passaggio di corrente elettrica. Dai primi anni del Novecento il metallo utilizzato è il tungsteno, grazie al lavoro di William David Coolidge che per primo riuscì a mettere a punto un procedimento per la trafilatura di questo materiale che consentì la realizzazione di filamenti duraturi. Ma già un secolo prima il chimico francese Louis Jacques de Thénard e, in particolare, il chimico britannico Humphry Davy, uno dei padri dell’elettrochimica moderna oltre che maestro del celebre Michael Faraday, costatarono la possibilità di sfruttare gli effetti luminosi di una strisciolina di metallo portata all’incandescenza. L’intuizione però non ebbe seguito principalmente per la scarsa efficienza delle sorgenti elettriche a disposizione e per le ricerche in corso sulle lampade ad arco elettrico, ritenute più promettenti.

Se la scelta dei metalli più idonei per lo sfruttamento dell’incandescenza ai fini d’illuminazione cadde rapidamente su platino, già indicato da Davy, e iridio per le loro elevate temperature di fusione (1768,4°C e 2446°C) e la relativa semplicità di ottenere filamenti con questi materiali, un altro ostacolo impediva la costruzione di lampade efficienti. Ci si rese ben presto conto che l’elemento radiante, fosse stato di platino, iridio o qualunque altro materiale, aveva una durata troppo breve per poter  pensare ad un uso commerciale di una lampada realizzata con tale tecnologia. La temperatura elevata che i filamenti raggiungevano e la presenza dell’ossigeno nell’aria, anche in quantità minime come dimostrò nel 1840 Warren De La Rue, portavano in tempi rapidi alla loro rottura. Un problema serio vista la difficoltà di estrarre l’aria dalle ampolle di vetro con le pompe a disposizione, troppo lente per essere compatibili con una produzione industriale.

Occorre aspettare il 1854 perché il tedesco Heinrich Goebel superi, almeno in parte, queste difficoltà e riesca in modo efficiente a produrre lampade a incandescenza. Goebel, che faceva l’orologiaio e girava per le città offrendo a pagamento l’uso del suo telescopio, realizzò le lampade utilizzando delle bottigliette di acqua di colonia parzialmente svuotate d’aria nelle quali inseriva, come elemento radiante, non un filamento metallico ma una strisciolina di bambù carbonizzato.

Heinrich Goebel.

Ma non era Edison l’inventore della lampadina a incandescenza? Evidentemente no, visto che nel momento in cui Goebel realizza le prime lampade il piccolo Thomas aveva solo sette anni! Nonostante questo solamente nel 1893 verrà riconosciuta legalmente la precedenza dell’inventore tedesco su Edison.
Certo le lampade di Goebel e quelle che vennero realizzate negli anni immediatamente successivi, in Francia nel 1856 da de Changy e in Russia nel 1872 da Lodyguine, non possono considerarsi ancora commercialmente interessanti. Perché lo diventino occorre aspettare l’opera di Edison e, prima di lui (ancora una volta), il lavoro di dell’inglese Joseph Wilson Swan.

 


Thomas Alva Edison.

 

Fine II parte.

Pubblicato inizialmente su Storie di Scienza .

Giovanni

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