Ha ormai fatto il giro di Internet (e ritorno), suscitando commenti di ogni tipo, la nota del ministro Mariastella Gelmini (che stranamente al momento in cui scrivo, non è ancora stata “rivista”) riguardo il recente esperimento in cui si sarebbero trovati (il condizionale, vista la portata della cosa, è più che mai d’obbligo) neutrini più veloci della luce. Nella nota si plaude ad un fantomatico “tunnel” tra Svizzera ed Italia (“tra il CERN e i laboratori del Gran Sasso”, sic), di ben 700 km e passa, attraverso cui si farebbero correre i neutrini.

Ora, questo fa capire che un ministro – specialmente un ministro dell’istruzione – prima di parlare dovrebbe documentarsi un attimino. Dunque tutti i frizzi e i lazzi a commento dell’improvvida nota hanno la loro ragion d’essere.

Una antica foto di un vero tunnel, in costruzione. Quello della metropolitana di Parigi.

Però a mio modesto avviso fa capire anche come la fisica, perfino nelle sue acquisizione fondamentali, sia lungi dall’essere patrimonio culturale comune. Uno magari pensa, beh per far viaggiare sottoterra qualcosa, bisogna fargli spazio, ci vuole un tunnel. E magari, improvvidamente, scrive un comunicato.

Ma la realtà è sempre più fantasiosa.

Se per i neutrini ci volesse un tunnel, vuol dire che la materia li bloccherebbe, o almeno li disturberebbe. Dunque vuol dire che l’interazione del neutrino con la materia sarebbe non trascurabile. Invece la materia è quasi completamente trasparente, per un neutrino.  E meno male, a pensarci bene. Visto che ogni secondo, ogni centimetro della nostra pelle, a motivo dell’attività del Sole, è attraversato da circa cento miliardi di neutrini. Staremmo freschi se ci fosse una interazione anche vagamente significativa. Con questa pioggia addosso, staremmo proprio freschi.

Ma quanti lo sanno?

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