Gli astronomi conoscono ormai un buon numero dei cosiddetti resti di supernova, quegli spettacolari oggetti celesti costituiti dalla materia che rimane in seguito all’esplosione a supernova di una struttura stellare. Tra questi è decisamente peculiare quello definito dalla sigla G299.2-2.9: le evidenze in nostro possesso portano a ritenere che siano i resti di una supernova di “tipo Ia”, dove una stella nana bianca è cresciuta sufficientemente (a spese di una compagna) per arrivare infine all’esplione termonucleare.

Essendo ben più vecchia della maggior parte dei resti di supernova causati da queste esplosioni, ad una età stimata di circa 4500 anni, G299.2-2.9 si presenta come una ottima occasione per gli astronomi, per studiare l’evoluzione nel tempo di questi oggetti.

L'immagine composita del resto di supernova G299.2-2.9. L'ampiezza della struttura è di circa 114 anni luce (Crediti: X-ray: NASA/CXC/U.Texas/S.Park et al, ROSAT; Infrared: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF)

L’immagine composita qui presentata mostra il resto di supernova in banda X (dati da Chandra), insieme con dati forniti dalla sonda ROSAT (in colore arancione), riportati sopra una immagine in infrarosso ottenuta dalla Two Micron Sky Survey (2MASS).

La debole emissione in banda X proveniente dalle regioni interne rivela la presenza piuttosto abbondante di ferro e silicio, come da attendersi per questo tipo di supernovae. Gli strati più esterni invece risultano abbastanza complessi, con segni della presenza di una struttura ad (almeno) due strati. Tipicamente, questo è associato con l’esplosione di una stella in una zona dove gas e polveri non sono uniformemente distribuiti.

E qui sta il bello: siccome le teorie più diffuse assumono che la supernova scoppi in un ambiente uniforme, lo studio dettagliato di  G299.2-2.9 dovrebbe aiutare non poco gli astronomi a capire la natura degli ambienti dove le supernove esplodono realmente. 

A sua volta, la caratterizzazione sempre migliore delle supernovae di tipo 1a è fondamentale per lo studio del cosmo: queste sono infatti tra le più diffuse “candele campione” – oggetti dalla cui luminosità si confida di ricavare affidabili stime di distanza. Attraverso di loro si studia – tra l’altro – la materia oscura e il grado di accelerazione cosmica. Sì, proprio quella accelerazione che ha portato il recente Nobel per la fisica a Saul Perlmutter, Brian Schimdt e Adam Reiss.

Chandra Press Release

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