Stamattina siamo andati io e Agnese. Oggi pomeriggio siamo tornati, e c’era anche Simone. Tutti al parco sotto casa, a prendere un pò d’aria fresca, e a esplorare lo spazio dell’allenamento ginnico, con i nuovi attrezzi che – mossa molto oculata, una volta tanto – una qualche amministrazione ha fatto istallare nell’aera del parco stesso.
In due posti diversi del parco ci sono questi attrezzi belli nuovi, una sorta di palestra all’aperto, accessibile a chi voglia fare un pò di allenamento nell’atmosfera rilassata del parco. Bello. Aiuta a rendere il parco stesso un luogo di uso del tempo libero più completo, diversificato. Bello vedere un altro papà che spiega al figlio i vari esercizi possibili, lo introduce e lo guida alla verifica di se stesso, lo controlla, vigile.
Nel pomeriggio ci tratteniamo all’area attrezzata più vicina alla nostra casa. Il parco corre vicino ai palazzi, in questa zona. Sta pian piano arrivando il buio, noi siamo pronti a rientrare verso casa, ma ci fermiamo un pò. I bimbi apprezzano la compagnia del papà, parlano e chiedono intanto che provano a fare la loro ginnastica (graduale, come necessario).
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Dal parco, al tramonto…

Nella tonalità azzurrina sempre più scura, spiccano come contrasto, come ideale complemento, le luci calde che provengono dalle finestre e dai balconi. Il papà adesso muove lo sguardo sull’ampio palazzo. Miriadi di ambienti che lasciano immaginare di sé. Immagina famiglie, segnali di vita, percorsi, traiettorie di esistenze. Come un immenso mosaico che si compone ordinato, ora, decorando la dominante l’azzurro-verde che prevale nel parco, con le sue tonalità calde. Come dire, c’è un riparo. Guarda che c’è un riparo. Puoi andare fuori ad esplorare, puoi vedere il mondo, andare nel parco, correre, e c’è un riparo. Anzi, tu – bambino, adulto – vai a imparare il mondo, perché sai, o senti, che c’è un riparo. 
E se sei nella tempesta, se non senti qual è il tuo riparo, sai che un riparo c’è. Sei autorizzato a credere che c’è un porto. Che devi passare la tempesta, ma poi “sbuchi fuori, e c’è il sole” (Giussani).
Ora mi è più chiaro di un tempo. La capacità del percorso, della lenta costruzione, si deve appoggiare a qualcosa. Anche nella tempesta, c’è la prospettiva, per tutti, di sbucare fuori, infine vedere il sole. 
Allora sì, si può costruire. Finalmente si può.

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