Blog di Marco Castellani

Mese: Novembre 2011 Page 1 of 4

Come lente gravitazionale

Questa immagine mostra un quasar che è stato reso doppio per il fenomeno di lente gravitazionale da parte di una galassia posta tra la Terra e il quasar e che può essere vista come la macchia confusa di forma sferica comprese tra i due oggetti brillanti del quasar. Le osservazioni di una di queste immagini mostra una variazione in colore nel corso del tempo. Questa viene prodotta dalle stelle all’interno della galassia che funge da lente che passano attraverso il cammino di luce che proviene dal quasar, e che rende più intensa la luce che proviene da diversi parti del disco di accrescimento del quasar a causa del loro movimento. Questo ha permesso ad un gruppo di ricercatori di ricostruire il profilo dei colori e la temperatura del disco di accrescimento con elevata precisione. Il livello di dettaglio raggiungo è equivalente a quello di singoli grani di sabbia sulla superficie della Luna per osservatori da Terra. Image credit: NASA, ESA, J.A. Muñoz (University of Valencia)

Un team di ricercatori utilizzando l’Hubble Space Telescope della NASA/ESA ha osservato un disco di accrescimento di un quasar, un disco luminoso incandescente di materia che si sta lentamente risucchiando nel buco nero centrale della sua galassia. Il loro studio si avvale di una tecnica innovativa che sfrutta la lente gravitazionale per dare una spinta enorme alla potenza del telescopio. L’incredibile precisione del metodo ha permesso agli astronomi di misurare in modo diretto le dimensioni del disco di accrescimento ed avere una mappa di temperatura nelle diverse parti di esso.

Un team internazionale di astronomi ha usato una nuova tecnica per studiare il disco luminoso di materia che circonda da lontano il buco nero. Utilizzando l’Hubble Space Telescope della NASA/ESA, in combinazione con l’effetto di lente gravitazionale delle stelle in una galassia distante interposta tra il quasar e noi, il team ha misurato le dimensioni del disco di accrescimento e studiato i colori (e di qui la temperatura) di differenti parti di disco. Le osservazioni mostrano un livello di precisione equivalente alle macchie di singoli granelli di sabbia sulla superficie della Luna.

Mentre i buchi neri appaiono invisibili e la loro presenza si può rilevare grazie alle interazioni gravitazionali del gas che li circonda e dalle curve di luce della galassia, le forze che essi scatenano producono alcuni dei fenomeni più luminosi nell’universo. Un quasar è una galassia lontanissima con un nucleo galattico attivo molto piccolo e potente, appena visibile a causa dell’enorme distanza dalla Terra. Il motore centrale di un quasar è molto probabilmente un buco nero supermassiccio situato nel nucleo della galassia. Attorno ad esso vi è un disco di accresciemnto di gas e di stelle in rapida rotazione attorno ad un asse centrale; dal disco, la materia cade continuamente sul buco nero supermassiccio producendo della radiazione con una potenza enorme. Basterebbe che il buco nero accrescesse ogni anno una massa di poco superiore a quella del Sole per spiegare la luminosità che osserviamo.

Questo meccanismo di caduta sul buco nero spiega anche perchè i quasi fossero più comuni nell’Universo primitivo, perchè non vi sia più produzione di energia quando il buco nero supermassiccio ha consumato tutto il gas, le polveri e le stelle attorno ad esso. Quindi, è possibile che la maggior parte delle galassie, compresa la nostra, siano passate attraverso una fase di quasar e che siano ora quiescenti per mancanza di rifornimenti di materia del buco nero.

Dato che i quasar sono a distanze enormi, intorno a 13 miliardi di anni luce, la radiazione che noi vediamo provenire da essi è stata emessa miliardi di anni fa e quindi questi oggetti sono interessanti perchè permettono di capire com’erano le galassie nei primi miliardi di vita dell’Universo. Per questo motivo spesso si dice che i quasar possono rappresentare “l’infanzia delle galassie”. Al momento non è ancora chiaro se tutte le galassie hanno attraversato, nel corso della loro vita, una fase di questo tipo o se, invece, si tratta di oggetti davvero peculiari (Fonte: pd.astro.it).

“Un disco di accrescimento di un quasar ha una dimensione di circa un paio di giorni-luce, ovvero circa 100 miliardi di chilometri, ma i quasar si trovano a miliardi di anni luce di distanza. Questo significa che la loro dimensione apparente, quando vengono osservati da Terra, è così piccola che noi avremo mai un telescopio così potente da osservare in modo diretto la loro struttura” ha affermato Josè Muñoz, il primo autore della pubblicazione.

Finora, la dimensione apparente dei quasar era tale che la maggior parte delle nostre conoscenze sulla loro struttura interna era basata su estrapolazioni teoriche, non su osservazioni dirette.

Un diagramma che dimostra il Principio della lente gravitazionale. Nel diagramma superiore vi è un oggetto distante (a sinistra, il puntino in giallo), la galassia che funge da lente gravitazionale (Lens Galaxy) e la Terra. I tre oggetti sono perfettamente allineati.  Inquesto caso, la lente galattica forma un anello come immagine della stella lontana, anello conosciuto come l’anello di Einstein. Nel diagramma sottostante, l’oggetto distante, la lente gravitazionale galattica e la Terra non sono perfettamente allineati. In questo caso la galassia che funge da lente forma immagini multiple dell’oggetto distante.  Disponibile su: http://www.racine.ra.it/planet/testi/Dis/98-14b.htm

Nella Relatività Generale la presenza di materia (densità di energia) può curvare lo spazio-tempo, e il risultato è che il cammino di un raggio di luce viene deflesso. Questo processo è chiamato gravitational lensing, o lensing gravitazionale, e in molti casi può essere descritto in modo analogo alla deflessione di un raggio di luce in ottica da parte delle lenti

Nel 1937 Albert Einstein, studiando le conseguenze dell’incurvamento dei raggi di luce prodotto dalla gravità, arrivò ad ipotizzare che se la luce di una stella lontana, durante il suo viaggio di avvicinamento alla Terra, si fosse trovata a passare nelle vicinanze di una stella massiccia molto più vicina a noi, la luce di questa stella lontana avrebbe potuto subire una deviazione causata dalla curvatura dello spazio provocata dalla stella vicina, analogamente a quello che succede alla luce delle stelle che si trovano in prossimità del bordo del disco solare.

In condizioni particolari di allineamento, la luce della stella lontana avrebbe potuto subire una scissione in più parti, dando origine a immagini multiple, o triple o quadruple.

Il 29 marzo 1980 si è osservato il primo fenomeno di lente gravitazionale: due quasar oltre che ad essere molto vicini (separati solo da sei secondi d’arco), erano anche identici con la stessa luminosità e gli stessi spettri con righe identiche di emissione e di assorbimento caratterizzate dallo stesso spostamento verso il rosso. In realtà, il quasar era solo uno e la sua immagine era sdoppiata dalla curvatura dello spazio indotta da un oggetto, la lente, che si trovava lungo la retta che congiunge quasar e Terra. La candidata al ruolo di lente era una galassia ellittica molto debole.

Successivamente, vennero scoperto il primo quasar triplo, i primi quasar quadrupli (chiamati croci di Einstein) e nel 1986 fu osservato il primo Anello di Einstein, dove la luce proveniente da un quasar lontano, oltre ad essere sdoppiata subisce una particolare deflessione che la porta ad assumere una configurazione sferica ad anello.

Il team di ricercatori ha quindi utilizzato un metodo innovativo per studiare il quasar utilizzando le stelle di una galassia intermedia che entra come fosse un microscopio a scansionare le caratteristiche del disco di accrescimento che sarebbero di gran lunga troppo piccole per poter essere osservate. Dato che le stelle della galassia intermedia si muovono attraverso la luce che proviene dal quasar che si trova dietro di esse, gli effetti gravitazionali di queste stelle amplificano la luce che proviene da diverse parti del quasar, dando informazioni dettagliate sul colore e quindi sulla temperatura e sulla sua posizione.

Il team ha osservato un gruppo di quasar lontani che hanno subito il fenomeno della lente gravitazionale a causa dell’allineamento con altre galassie che si trovavano frapposte fra i quasar e la Terra, producendo vari immagini dei quasar.

I ricercatori hanno messo in evidenza differenze di colore tra le immagini e cambiamenti di colore nel corso del tempo. In parte queste differenze di colore sono causate dalle proprietà della polvere nella galassia che si frappone fra l’osservatore e il quasar, e la luce che proviene da ciascuna di queste immagini di lente gravitazionale seguono un differente cammino attraverso la galassia, tanto che i vari colori racchiudono informazioni sul materiale all’interno della galassia stessa. Misurare l’enstensione della polvere e il modo in cui questa polvere entro la galassia blocca la luce (nota come la legge di estinzione, o Extintion Law) a distanze così grandi è di per sé un risultato importante.

Questo diagramma mostra come Hubble sia in grado di osservare un quasar, un disco di accrescimento di materia attorno ad un buco nero molto lontano, anche se il buco nero si trova ad una enorme distanza da poter essere osservato.
Il diagramma mostra tre differenti regioni: sulla sinistra, il disco di accrescimento del quasar, che è più blu nel centro e più arrossato nel bordo; nella regione centrale una macchia nella galassia intermedia che è la luce del quasar che passa attraverso la galassia stessa e nella regione di destra, invece, Hubble in orbita intorno alla Terra (le dimensioni non sono rispettate). La gravità da una stelle nella galassia intermedia tra la Terra e il quasar, mentre transita attraverso il raggio di luce che proviene dal quasar lontano, viene a deflettere uno ad uno questi raggi di colore differente verso l’Hubble Space Telescope. I colori osservati da Hubble di conseguenza cambiano nel tempo mentre la stella fa una sorta di scansione della luce del disco di accrescimento del quasar. Questo permette ai ricercatori di osservare direttamente il colore, la temperatura e le dimensioni del disco con una precisione senza precedenti.
La precisione di queste osservazioni è equivalente ad osservare i singoli granelli di sabbia sulla superficie della Luna. Credit NASA ed ESA. Disponibile su: http://www.spacetelescope.org/static/archives/images/screen/heic1116b.jpg

Per uno dei quasar studiati, però, vi sono chiari segni che le stelle nella galassia intermedia stavano transitando attraverso il cammino di luce del quasar. Così come l’effetto gravitazionale dovuto all’intervento della galassia può curvare e amplificare la luce del quasar, così le stelle all’interno della galassia che passano attraverso il percorso di luce del quasar possono curvare e amplificare la luce proveniente da diverse parti del disco di accrescimento.

Registrando le variazioni di colore, il team di ricercatori è stato in grado di ricostruire il profilo di colore sul disco di accrescimento. Questo è un risultato importante perchè la temperatura di un disco di accrescimento aumenta tanto più esso è vicino al buco nero e i colori emessi dalla materia caldissima tendono tanto più al blu tanto più aumenta la temperatura. Questo ha permesso al gruppo di ricercatori di misurare il diametro del disco di materia calda e creare una sorta di plot o mappa di come varia il calore al variare dalla distanza dal centro.

I ricercatori hanno scoperto, infine, che il disco è tra i quattro e gli undici giorni luce (ossia 1-300 chilometri) di grandezza. Mentre questa misurazione mostra grandi incertezze, essa è comunque ancora una misura molto accurata per un piccolo oggetto a così grandi distanze, e in sè il metodo ha un grande potenziale per misure di maggiore precisione nel futuro.

“Questo risultato è molto rilevante perchè ora siamo in grado di ottenere dati osservativi sulla struttura di questi sistemi, anzichè basarci sulla sola teoria” ha affermato Muñoz. “Le proprietà fisiche dei quasar non sono ancora ben comprese. Questa nuova capacità di ottenere misure osservative e quindi di aprire a una nuova finestra permetterà di capire la natura di questi oggetti”.

Hubble Space Telescope in orbita. Credit ESA. Disponibile su: http://www.spacetelescope.org/static/archives/images/screen/hubble_in_orbit1.jpg

L’Hubble Space Telescope è un progetto internazionale di cooperazione tra l’ESA e la NASA. Lo studio intitolato: “A study of gravitational lens chromaticity with the Hubble Space Telescope”, sarà pubblicato nel numero del primo dicembre sull’ Astrophysical Journal. Il team internazionale è composto da: J. A. Muñoz (University of Valencia, Spagna), E. Mediavilla (Instituto de Astrofísica de Canarias, Spagna), C. S. Kochanek (Ohio State University, USA), E. E. Falco (Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, USA) e A. M. Mosquera (University of Valencia and Ohio State University).

Fonte Hubble-SpaceTelescope: http://www.spacetelescope.org/news/heic1116/
Quasar – Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova: http://www.pd.astro.it/MOSTRA/NEW/A5021QSO.HTM
Hubble Site-ESA Science and Technology: http://sci.esa.int/science-e/www/area/index.cfm?fareaid=31

Il video del disco disco di accrescimento di un quasar con l’utilizzo di una lente gravitazionale: http://www.spacetelescope.org/videos/heic1116a/

Sabrina

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Una antica meraviglia

Una mattina come tante. Scendo con Agnese, facciamo un pezzettino di strada insieme, poi lei va verso scuola (che è proprio sotto casa) e io a prendere la macchina per andare al lavoro.
Ma sì. Una mattina come tante. Facciamo colazione scherzando un pò… Scendiamo in ascensore e le improvviso finti animaletti (noi li chiamiamo mangiabocca, animaletti parlanti che faccio io muovendo le mani) che sostengono di essere venuti a trovarla, di notte.

– Ma quando? fa lei, con insolito interesse.

L’ascensore ci sta portando dal quarto piano al piano terra.
– Una notte, che leggevi, con la luce accesa. Invento.

– Sì sì ma quando? Incalza lei. Non so che dire… 
– Maa… beh, una notte… una notte che pioveva tanto. Improvviso. Butto lì. Tanto per dire.
– Che pioveva tanto? Mi sorprende l’insistenza della bimba.
Apriamo la porta a vetri dell’androne. Siamo fuori. Allora lei mi racconta. Mi racconta di un libro che sta leggendo. Senza che io dica nulla, mi dice – sinceramente stupita – di come le succede che leggendo è come se entrasse tutta dentro la storia. E’ come se ci fosse dentro

book heart <3

E mi porta un esempio che riguarda proprio la pioggia. Mi racconta di come nel libro vi sia un episodio che avveniva durante un forte acquazzone, e che lei chiudendo il libro fosse rimasta così dentro la storia, che si immaginava che piovesse davvero. Ha il libro con se, mi fa vedere alcune pagine, delle figure. Ma siamo d’accordo, per entrare nella storia non c’è nemmeno bisogno delle figure.
La saluto e vado verso l’auto, riflettendo. Stupito io per primo. Ecco, una bimba di nove anni ha da poco aperto lo scrigno preziosissimo della lettura. Altro che televisione, computer, Internet. Leggere. Una antica meraviglia che si rinnova sempre. Che chiede solo un minimo di disponibilità iniziale. E regala tanto, premia tanto, per questa iniziale piccola disponibilità.
C’è stato un tempo che pensavo leggere romanzi fosse tempo sprecato, in fondo. Come fosse una evasione della realtà. Che cantonata avevo preso! Di più. Una miopia pazzesca. Il fatto, il fatto vero, è che dopo aver letto, dopo essere “evaso”, rientri nella realtà e ti trovi –  in maniera imprevedibile, incredibile – più capace, più pronto, più attrezzato, più capace di leggere il reale ed interpretarlo. Allora non sei uscito dalla realtà, non è evasione. Hai appreso qualcosa, sei cresciuto. Puoi entrare nei tuoi problemi, con una marcia in più. Qualcosa di prezioso, che la semplice analisi della realtà non ti avrebbe dato. 
Accendo l’autoradio mentre vado al lavoro, mi sintonizzo su Radio Uno per ascoltare Ben Fatto, uno dei miei programmi preferiti del mattino. Ogni giorno c’è un tema. E non ti trovo oggi, che parlano dei libri, delle lettura?  Con l’aggiunta di una canzone di Branduardi dedicata proprio al potere della lettura, Il libro.
Ma che coincidenza. Come … leggerla? 

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Curiosity in rotta verso Marte

Con il lancio dell’altro ieri, la NASA ha dato il via ad un viaggio verso Marte che ben si può definire “storico”. A lasciare la Terra alla volta del pianeta rosso  è stato il Mars Science Laboratory, partito a bordo di un Atlas V da Cape Canaveral. Si porta con sè un rover grande come un’automobile, chiamato Curiosity. 

Gli scienziati si aspettano di imparare un bel pò di cose da questa missione (con un occhio a mettere da parte altre conoscenze in vista della realizzazione dell’antico “sogno”… ovvero lo sbarco di uomini su Marte). La missione sperimenterà un bel pò di nuove tecnologie, a cominciare da una tecnica di atterraggio di precisione, per far arrivare Curiosity vicino ai piedi di uan montagna all’interno del “Gale Crater”, il giorno 6 agosto del prossimo anno.

Il 26 novembre Curiosity ha iniziato il suo lungo viaggio verso Marte (Crediti: NASA/Bill White)

A quel punto prenderà il via un primo troncone della missione, della durata di circa due anni, nei quali il rover cercherà di capire se la regione abbia mai offerto condizioni favorevoli alla vita di microrganismi.

Il lancio è andato come doveva, ci dice la NASA. Il rover è in cammino verso Marte e tutti gli strumenti rispondono a dovere. Il viaggio prevede inizialmente l’ingresso nell’orbita terrestre, e poi – tramite una spinta dallo stadio superiore del veicolo – l’uscita dall’orbita per un tragitto di circa 567 milioni di chilometri, fino a Marte.

Gli obiettivi scientifici di Curiosity sono davvero ambiziosi:  sono quelli che dovranno fare la differenza rispetto alle precedenti missioni marziane.  Curiosity sarà in grado di scavare nel terreno per prelevare campioni di suolo e di rocce. Sarà anche in grado di frantumare i campioni ed analizzarli nel laboratorio al suo interno. Al proposito, va detto che Curiosity si porta appresso ben dieci strumenti scientifici, per una massa totale ben 15 volte più grande rispetto al payload scientifico delle sonde Spirit e Opportunity.

Le innovazioni tecnologiche che si sono rese necessarie per fare atterrare un rover così pesante, mantenendo una precisione molto grande rispetto al sito prescelto, sono passi importanti in vista di una futura missione umana sul pianeta. Oltre a questo, Curiosity porta con sè uno strumento per monitorare il livello di radiazione naturale su Marte, informazione cruciale per comprendere come proteggere efficacemente la salute dei futuri astronauti.

I grandi obiettivi vanno raggiunti a piccoli passi. La presenza umana su Marte, se e quando avverrà, sarà anche un pò per merito di Curiosity. Per il momento, viaggi umani a parte, ci aspettiamo di imparare un altro bel pò di cose interessanti sul pianeta rosso…

NASA Press Release

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Siamo già nudi

Da qualche tempo stato cercando un modo per… presentare al mondo (detto così suona un pò troppo pomposo.. va beh) qualcosa delle mie poesie o dei miei racconti. Certo, potrei anche metterli qui, in questo stesso blog, come ho fatto più volte, in passato. Tuttavia mi piaceva dare spazio di esistenza a  qualcosa che fosse programmaticamente dedicato a delle elaborazioni creative, in modo che fossero separate dalle altre varie considerazioni che vengono ospitate in questo sito.
Non penso sia  scontato che le persone che leggono questo blog siano interessate anche alle poesie o ai racconti. Ecco che allora mi sono deciso, ho ripreso un modello di blog che avevo aperto quando stavo valutando quale piattaforma scegliere, ed ecco che è nato il secondo Diario di Viaggio
Ma non è solo questo, siamo onesti. E’ piuttosto qualcosa che ha a che vedere con i sogni. Ci sono certi sogni che possono rimanere sottotraccia, anche per molto tempo. Mentre magari fatichi e ti applichi per raggiungere un traguardo, una laurea, un dottorato, un lavoro. Lavoro che è – diciamocelo – un gran bel lavoro (stipendio a parte…  forse) ed è invidiato ed ammirato da molte persone. Poi formi una famiglia, una casa, una dimora… Vedi nascere i figli, guardi la fecondità della tua donna…. un miracolo. Un cammino, un compito.
Accanto a questo arriva però un momento in cui i sogni che ti porti dentro devono essere espressi. Altrimenti rischi che la tua anima si ammali. Rischi di perdere il gusto, il senso, l’entusiasmo nelle cose che fai. Rischi di non apprezzare quello che hai. Molto mi ha fatto capire Valerio Albisetti, nel suo libro “I sogni dell’anima”. Dire che per me è stato illuminante è dire certamente poco, certo è rendere giustizia a quello che sta avvenendo, alla capacità di guardarmi dentro che mi ha regalato. Mi ha permesso di andare in fondo alle ragione del mio disagio di tanti momenti, di tanti giorni, di una irrequietezza misteriosa, di una insoddisfazione appiccicosa, persistente. 

More about I sogni dell'anima. Realizzare le proprie aspirazioni

Leggendo e rileggendo le sue pagine (ce l’ho anche sull’iPod, ogni volta che rileggo un passaggio acquisisco qualcosa), ho capito che sono ad un punto chiave, un punto di svolta. L’età matura, o la mezza età, è proprio il momento si può fare un confronto più sereno con le proprie aspirazioni, finalmente dar loro spazio. Così per me scrivere è qualcosa che non può rimanere nascosto, rimandato. Qualcosa dentro di me non mi lascia tregua, mi impone di scrivere. Potrà sembrare enfatico, ma non riesco a dirlo in modo più aderente alla realtà.

Così il nuovo blog è prima di tutto un’occasione per me stesso di vivere un pò di più in mezzo a quello che ho scritto e che scrivo. E se possibile, interessare altre persone.
L’importante è continuare a scrivere. Troppo tempo ho passato spaventato dal giudizio altrui. Anzi no, neanche questo è vero. Spaventato prima di tutto dal mio stesso giudizio. Piuttosto severo, sempre pronto a dire ma lascia perdere, lo vedi che non sei bravo abbastanza? Ma ora basta, bisogna correre il rischio. Diceva bene Steve Jobs “siete già nudi, non c’è ragione per non seguire il vostro cuore.”

Scrivere. Attraverso questa attività – a prescindere dall’esito – la realtà ritorna più amica, come se si trovasse un filo per passarci dentro con un gusto ulteriore, con una maggiore chiarità.

Sto meglio se scrivo con continuità. Posso essere più gradevole, più amabile con le persone che ho intorno, se non censuro le mie aspirazioni.

Non credo sia poco.

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Full Frame di Vesta

Vesta ripreso dalla sonda Dawn. Image credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA disponibile sul sito del JPL-NASA: http://www.jpl.nasa.gov/spaceimages/details.php?id=PIA14317

La sona DAWN della NASA ha ottenuto questa immagine dell’intera superficie dell’asteroide Vesta con la sua telecamera di bordo lo scorso 24 luglio 2011. E’ stata presa da una distanza di circa 5 200 chiloemtri. Dawn è entrato in orbita attorno a Vesta lo scorso 15 luglio e trascorrerà un anno in orbita attorno all’asteroide della Fascia Principale, popolato da oltre 35 000 corpi noti tra l’orbita di Marte e quella di Giove.

Il prossimo obiettivo della missione è un incontro ravvicinato con il pianeta nano Cerere che ha un diametro di poco inferiore ai 1 000 chilometri e che è il rappresentante maggiore della Fascia Principale degli Asteroidi.

La superficie di Vesta. Disponibile su: http://www.jpl.nasa.gov/spaceimages/details.php?id=PIA14318

Questa seconda immagine (cliccare per ingrandire) è in realtà un mosaico di immagini della regione equatoriale dell’asteroide, ottenuta attraverso il filtro pancromatico sulla framing camera sempre lo scorso 24 luglio 2011. La foto è stata presa ad una distanza di circa 5 200 chilometri dalla superficie.

La missione Dawn su Vesta e Cerere viene gestita dal Jet Propulsion Laboratory della NASA a Pasadena, California per il Science Mission Directorate della NASA, a Washington D.C. E’ un progetto del Discovery Program, gestito dal Marshall Space Flight Center ad Huntsville, Alabama.

La framing camera che ha ottenuto queste immagini è finanziata dalla NASA,dal Max Planck Society e dal DLR, l’Agenzia Spaziale Tedesca. Per ulteriori informazioni su Dawn: http://www.nasa.gov/dawn.

Sabrina

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L’influenza dei satelliti di Saturno sui suoi anelli

Credit: NASA/JPL/Space Science Institute.

Questa immagine degli anelli di Saturno è stata scattata il 5 luglio 2010 ad una distanza di soli 75 mila chilometri dal suo satellite Dafne che si trova in alto a sinistra. Dafne, con un diametro di soli 8 chilometri, appare nel Keeler Gap, vicino alle onde del bordo che ha creato nell’anello A.

Il satellite ha un’orbita inclinata e la sua attrazione gravitazionale perturba le orbite delle particelle che compongono l’anello A e che formano il bordo della Keeler Gap (divisione di Keeler, zona dove non vi è materiale e che quindi appare come una zona scura) e scolpisce il bordo dell’anello in onde che presentano sia una componente orizzontale (la componente radiale) e tangenziale al moto del satellite che una componente ortogonale al piano, cioè al di fuori del piano.

In altre parole, le ondulazioni create dagli effetti mareali gravitazionali si hanno non solo radialmente ma anche tangenzialmente all’orbita delle particelle creando quindi delle onde sinusoidali smorzate. In realtà, le onde si hanno anche nella terza dimensione, in direzione verticale. Le onde che sembrano solo sul piano degli anelli in realtà sono onde spaziali, in tre dimensioni, simili a delle spirali che hanno dimensioni diverse e che digradano man mano che ci si allontana dal satellite. Il materiale sul bordo interno della divisione (Keeler Gap) dell’anello A orbita ad una velocità maggiore rispetto a quello con cui si muove il satellite, così che si formano delle onde man mano che il satellite transita. Sembrano come le scie delle navi dopo il lovo passaggio nell’acqua.

Credit: NASA/JPL/Space Science Institute. Disponibile su: http://www.ciclops.org/view.php?id=5592

Per avere un’idea di queste onde, si osservi l’immagine qui sopra. Delle incombenti strutture verticali formate dal satellite Dafne furono osservate in questa immagine per la prima volta, il 13 aprile 2009 ad una distanza di circa 1,2 milioni di chilometri da Dafne dalla sonda Cassini in luce visibile con la Narrow angle Camera.

Le misure delle ombre in queste immagini indicate che le strutture verticali variano tra 0.5 e 1.5 chilometri di altezza, circa 150 volte più alte dello spessore dell’anello stesso. Gli anelli principali, A, B e C hanno uno spessore di soli 10 metri.
Una seconda versione di questa immagine la possiamo osservare qui sotto, ingrandita sei volte le dimensioni originali.

Credit: NASA/JPL/Space Science Institute.

Queste ombre sugli anelli sono possibili solo durante l’equinozio di Saturno che si verifica ogni mezzo anno su Saturno, ossia ogni 15 anni terrestri, visto che il periodo orbitale del pianeta è di circa 30 anni terrestri. La geometria di illuminazione che accompagna l’equinozio abbassa l’angolo del Sole fino al piano dell’anello e fa sì che tutte le strutture che si trovano fuori del piano dell’anello formino delle lunghe ombre attraverso gli anelli stessi.

Qui sopra, vicino al centro dell’immagine Dafne appare come un puntino luminoso nella Keeler Gap vicino alle onde di bordo che viene a creare nell’anello A. Credit: NASA/JPL/Space Science Institute.

Fonte Cliclops – Cassini Imaging Central Laboratory for Operations: http://www.ciclops.org/view.php?id=6464 ; http://www.ciclops.org/view.php?id=5592 ; http://www.ciclops.org/view.php?id=5854

Per maggiori informazioni sulla Cassini Equinox Mission: http://ciclops.org, http://www.nasa.gov/cassini e http://saturn.jpl.nasa.gov.

Sabrina

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Dalla tavoletta… all’universo

Senza voler eccedere nell’uso di paroloni, si può ben dire che l’avanzare rapido della tecnologia informatica si presta bene alla diffusione di contenuti di alta divulgazione, che prima magari erano appannaggio di pochi privilegiati. Davvero adesso non è difficile (magari masticando un pochino di inglese, ma non è poi tanto indispensabile) rimanere aggiornati sul progresso – praticamente quotidinao – delle nostra conoscenza dell’universo…

Siti web di aggiornamento, grazie al cielo (verrebbe giustamente da dire), ve ne sono ormai tantissimi, e di buon livello. Quelli di lingua inglese poi proprio non si contano, a partire dalla serie di pagine della NASA, veramente incredibili per qualità e frequenza di aggiornamento; in italiano una buona sorgente di informazione è MEDIA INAF, di cui più volte abbiamo riportato link e notizie anche qui su GruppoLocale (permettetemi soltanto di dire che quando GruppoLocale nacque, la situazione italiana era davvero molto meno sviluppata…)

L'universo dentro un Ipad... o almeno, le notizie ad esso relative!

Sulla scia della diffusione dei tablet sono sorte delle applicazioni che rendono ancora più interessante e piacevole la consultazione delle notizie provenienti dallo spazio. Una davvero eccellente, su cui vogliamo spendere qualche parola adesso, è quella per iPad/iPhone sviluppata dal sito portaltotheuniverse.org, di per se un eccellente punto di entrata per avere una panoramica (in inglese) sulle notizie più interessanti riguardanti lo spazio.

L’applicazione è scaricabile gratuitamente da iTunes. L’ho provata sul mio iPad, e devo dire che l’esperienza d’uso è molto interessante e gradevole.

L’applicazione organizza le notizie del sito in forma di giornale sfogliabile, con foto e titoli delle notizie in bella evidenza e tutto quanto si richiede dalla consultazione di una piacevole e colorata rivista. Chi ha esperienza di programmi per iPad può riconoscere qualcosa del paradigma concettuale che sta anche dietro ad applicazioni di successo come Flipboard o Zite, ad esempio.

Con la differenza, non trascurabile, che qui è l’universo che prende tutta la scena…. 🙂

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La vorticità del campo elettromagnetico e i buchi neri rotanti

Partendo dai lavori del fisico italiano Ettore Majorana del 1932, “Teoria relativistica di particelle con momento intrinseco arbitrario” e da quello del 1937, “Teoria simmetrica dell’ elettrone e del positrone” e nelle note non pubblicate sulla quantizzazione del campo elettromagnetico, è stato possibile per Fabrizio Tamburini del Dipartimento di Astronomia dell’Università degli Studi di Padova e per il suo team scoprire una nuova proprietà del campo elettromagnetico: la vorticità. Ne abbiamo già parlato su questo Blog anche nei giorni scorsi e l’anno scorso.

L’esperimento è stato ideato da Fabrizio Tamburini con l’aiuto di Bo Thidé dell’Istituto di Fisica Spaziale Svedese di Uppsala e Visiting Professor CARIPARO della Scuola Galileiana di Studi Superiori a Padova fino alla fine di gennaio 2012.

Al centro della nostra Galassia, nella regione nucleare,  vi è un buco nero supermassiccio (SMBH), osservato da Chandra X Ray Observatory. Credit: NASA/CXC/MIT/F.K. Baganoff et al. Disponibile su: http://chandra.harvard.edu/photo/2010/sgra/

La parte operativa sia della preparazione, studio e realizzazione del progetto che dell’assemblaggio della strumentazione sono stati resi possibili grazie alla stretta collaborazione del gruppo di lavoro composto dal Professor Filippo Romanato del Dipartimento di Fisica dell’Università di Padova e Direttore del Laboratorio LaNN (Laboratorio per la Nanofabbricazione di Nanodispositivi) di Venetonanotech che ha sostenuto e sponsorizzato l’esperimento e dove si sono svolte le prima prove di trasmissione, dal Professor Antonio Bianchini del Dipartimento di Astronomia di Paodva, dalle Dottoresse Anna Sponselli ed Elettra Mari del Dipartimento di Astronomia e di Fisica dell’Università di Padova, rispettivamente. A questo progetto ha collaborato anche Gabriele Anzolin ora all’Istituto di Scienze Fotoniche (ICFO) a Barcellona.

Oggi vediamo una importante conseguenza della scoperta di questa proprietà nell’ambito dell’astronomia, in particolare sui buchi neri rotanti.

La luce ma anche le onde radio, i raggi ultravioletti e gli infrarossi, fanno tutti parte delle cosiddette onde elettromagnetiche scoperto nell’Ottocento e che hanno rivoluzionato il mondo in cui viviamo.

“Ci sono delle proprietà matematiche del campo elettromagnetico ancora da esplorare” ha affermato Fabrizio Tamburini durante l’esperimento a Venezia, il 24 giugno scorso, che ha mostrato alla sua città e a tutti coloro che sono intervenuti a Piazza San Marco che la vorticità del campo elettromagnetico è davvero reale.

Albert Einstein analizzò gli effetti di un buco nero rotante nelle sue equazioni della Relatività Generale che descrivevano come un ammasso di materia può distorcere lo spazio-tempo intorno a sé. Poiché lo spazio e il tempo vengono deformati dall’enorme campo gravitazionale, il buco nero crea una specie di vortice. Questo non lo si deve immaginare come un vortice in tre dimensioni (ossia nelle tre componenti spaziali), bensì in quattro dimensioni, dato che viene coinvolta anche la componente temporale.

Immagine nell’ottico e nell’X di Sagittarius A*, il centro della nostra Galassia dove risiede un buco nero supermassiccio (SMBH). Credit: NASA/CXC/MIT/F.K. Baganoff et al. Disponibile su: http://chandra.harvard.edu/photo/2010/sgra/sgra_opt_xray.jpg

Secondo i calcoli della Relatività Speciale, quando le onde elettromagnetiche, di cui fa parte anche la luce visibile, passano attraverso questa deformazione vorticosa dello spazio-tempo, subiscono una modifica: il vortice spazio-temporale imprime alle onde una sorta di torsione, ossia una “vorticità”.

Così, la radiazione elettromagnetica che passa attraverso uno di questi vortici spazio-temporali senza superare la linea di confine oltre la quale nulla più sfugge all’attrazione del buco nero (quello che viene chiamato “orizzonte degli eventi” [2]) acquisisce questa ulteriore proprietà che va ad aggiungersi a quelle che già conosciamo del campo elettromagnetico: la frequenza e la polarizzazione.

Quindi, per la prima volta nella storia della scienza, è possibile misurare la rotazione dei buchi neri  (chiamati Buchi Neri di Kerr)  che imprimono una sorta di “spin” o di torsione sulla radiazione elettromagnetica che passano vicino a un buco nero in rapida rotazione.

I ricercatori avevano già predetto e trovato alcune prove sul fatto che i buchi neri e le stelle di neutroni, stelle nella loro fase di finale di evoluzione, con la rotazione attorcigliassero lo spazio-tempo, un effetto noto come “Frame dragging” o “trasporto sequenziale”. Ma l’aspetto nuovo è che i buchi neri rotanti possono coinvolgere in questo processo di vorticità anche la luce, impartendo alla radiazione un momento angolare. Ciò significa che il buco nero influenza lo spazio-tempo in modo tale che la luce stessa è coinvolta automaticamente in questa vorticità a causa del momento angolare orbitale.

Le onde elettromagnetiche viaggiano nello spazio come tanti fronti d’onda, che rappresenta la superficie piana immaginaria. Quando la luce passa vicino ad un buco nero, ogni fotone di luce acquista una torsione che viene ad alterare la superficie piana dell’onda trasformandola in un un piccolo vortice, con centro attorno alla direzione di propagazione del fascio di luce. Quello che è davvero rivoluzionario è il fatto che ora effettivamente possiamo affermare che anche la radiazione luminosa può acquistare una vorticità, ossia un momento angolare orbitale (OAM).

Il centro della nostra Galassia osservato da Chandra. Image Credit: NASA/CXC/MIT/Frederick K. Baganoff et alDisponibile su Chandra X-Ray Observatory: http://chandra.harvard.edu/press/08_releases/press_041608.html

Ciò che è interessante da questo studio è che l’effetto appare effettivamente misurabile per il buco nero supermassiccio della nostra Galassia, Sagitarius A*. Fabrizio Tamburini ha già presentato un proposal per l’osservazione del centro galattico per poter applicare la tecnica appena trovata e quindi fare una determinazione della rotazione del SMBH in modo diretto, tecnica mai utilizzata prima e sicuramente innovativa. Attualmente si pensa che il SMBH della nostra Galassia presenta una rotazione estrema.

Al momento gli attuali telescopi, con opportuni strumenti olografici, permettono già di misurare il grado di vorticità di qualsiasi onda elettromagnetica.

“Come illustrato nel nostro articolo [1], abbiamo trovato il legame tra le equazioni della Relatività Generale di un buco nero rotante e la produzione di vorticità della radiazione elettromagnetica. Si possono così aprire nuove frontiere nello studio dei nuclei galattici attivi e della rotazione delle galassie” ha affermato Fabrizio Tamburini.

La vorticità di un’onda elettromagnetica permette di avere nuove informazioni sulla sorgente che l’ha indotta. Il grande sogno di Fabrizio Tamburini e del suo team farà sognare tutti noi portando grandi risultati nello studio dei buchi neri rotanti.

Un altro esperimento che Fabrizio Tamburini vorrebbe realizzare è l’esperimento con rimbalzo ionosferico. La ionosfera è lo strato atmosferico estremamente rarefatto e spesso centinaia di chilometri che si estende fra i 60 e 240 chilometri al di sopra della superficie terrestre. L’esperimento sarebbe utile per capire se il fascio preserva il verso della vorticità, oppure se essa viene invertita e per avere ulteriori informazioni sulla ionosfera stessa. La potenza del fascio potrebbe essere minima, 1 KW sparati in alta atmosfera. Il problema rimangono i finanziamenti, come sempre in Italia. Bo Thidé aveva sviluppato negli anni passati un esperimento analogo ma ora questo verrebbe esteso alla vorticità con risultati sicuramente interessanti.

Fabrizio Tamburini e Bo Thidé dell’Istituto Svedese di Fisica dello Spazio di Uppsala hanno pubblicato l’articolo lo scorso 13 febbraio su Nature Physics [1].

QUESTA SERA, ALLE ORE 21,00 FABRIZIO TAMBURINI PRESENTERA’ IL SUO LAVORO “VORTICITA’ OTTICHE IN ASTRONOMIA”  PRESSO IL GRUPPO ASTROFILI SALESE “GALILEO GALILEI” DI SANTA MARIA DI SALA (VENEZIA). SIETE TUTTI INVITATI ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DEL GRUPPO ASTROFILI SALESE IN VIA G. FERRARIS, 1.

SITO WEB DEL GRUPPO ASTROFILI: http://astrosalese.interfree.it/

[1] Twisting of light around rotating black holes, Fabrizio Tamburini, Bo Thidé, Gabriel Molina-Terriza e Gabriele Anzolin, Nature Phys.7:195-197,2011, disponibile su arXiv: http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/1104/1104.3099.pdf scaricabile da: http://arxiv.org/abs/1104.3099

[2] Un evento rappresenta un fenomeno (uno stato che noi possiamo osservare nel mondo fisico) che si può identificare dalle quattro coordinate spazio-temporali. L’orizzonte degli eventi è una regione dello spazio-tempo oltre la quale non possiamo più osservare il fenomeno. Secondo una definizione del grande cosmologo Roger Penrose, l’orizzonte degli eventi in un buco nero rappresenta una particolare superficie dello spazio-tempo che separa i posti da cui possono sfuggire segnali da quelli da cui nessun segnale può sfuggire. Maggiori informazioni qui.

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