Blog di Marco Castellani

Mese: Dicembre 2011 Page 1 of 3

Kepler scopre il primo sistema solare confrontabile con il nostro

Rappresentazione artistica di Kepler-20e, uno dei due pianeti di dimensioni terrestri scoperti dalla sonda Kepler della NASA. Credit: NASA/Ames/JPL-Caltech.

Dicembre 2011 è un mese che entrerà nella storia come la prima volta che l’umanità è stata in grado di rivelare un pianeta delle dimensioni della Terra attorno ad una stella confrontabile con il nostro Sole.

E’ quanto ha affermato François Fressin, ricercatore astronomo presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Fressinc e il suo team hanno usato il Kepler planet-hunting spacecraft, la sonda Kepler che va alla ricerca di pianeti per trovare due mondi rocciosi, uno appena un po’ più grande della Terra e l’altro leggermente più piccolo di Venere.

I due pianeti, chiamati Kepler-20e e Kepler-20f sono i più piccoli pianeti trovati finora. Essi hanno un diametro di 11 000 chilometri e 13 190 chilometri rispettivamente, pari a 0.87 e 1.03 volte le dimensioni della Terra. I ricercatori si aspettano che questi mondi abbiano una composizione rocciosa, tanto da poter stimare per essi una massa inferiore a 1.7 e 3 volte rispetto a quella terrestre.

I due mondi fanno parte di un sistema planetario multiplo composto da cinque pianeti orbitanti attorno alla una stella, che si trova a circa 1 000 anni luce di distanza da noi nella Costellazione della Lira.
“E’ possibile puntare in quella regione di spazio e dire che quella è la regione dove ha avuto inizio l’era delle eso-Terre” ha affermato Fressin, aggiungendo che i due mondi rocciosi sono troppo vicini alla loro stella, e quindi troppo caldi, per essere abitabili.

Rappresentazione artistica di Kepler-20f. Credit: NASA/Ames/JPL-Caltech. 

Kepler-20e ha un periodo orbitale di 6.1 giorni ad una distanza di 7.5 milioni di chilometri; Kepler-20f ha un periodo orbitale di 19.6 giorni ad una distanza di 16.5 milioni di chilometri. Grazie alle loro orbite strette, vengono riscaldati fino a temperature di circa 760 °C e 426 °C rispettivamente.

Il sistema solare in cui i pianeti si trovano è abbastanza inusuale dato che pianeti rocciosi e gassosi si alternano nelle loro posizioni anziché essere separati in due gruppi, come nel caso del nostro sistema solare, dopo i pianeti rocciosi (Mercurio, Venere, Terra e Marte) si trovano più vicini al Sole, mentre i pianeti gassosi (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) si trovano più lontani dal Sole formando, in questo modo, due distinte regioni planetarie.

Nel caso del sistema Kepler-20, il primo pianeta è simile a Nettuno, il secondo è un pianeta roccioso, Kepler-20e; il successivo è un mondo ancora una volta simile a Nettuno, seguito da un mondo roccioso, Kepler-20f; infine, un altro pianeta simile al gassoso Nettuno.

“Quindi, un grande, un piccolo, un grande, un piccolo, un grande, che è una sequenza differente da qualsiasi altro sistema solare scoperto finora” ha affermato David Charbonneau dell’Harvard University. “Siamo stati sorpresi di trovare questo sistema di pianeti, molto diverso dal nostro sistema solare”.

Inoltre, tutti i pianeti si trovano entro una regione molto piccola, come se cadessero tutti entro l’orbita del nostro Mercurio. Se teniamo conto che la distanza Terra-Sole è di 1 Unità Astronomica (1UA), Mercurio si trova a circa 0.4 UA. Tutti i pianeti del sistema solare Kepler-20 sono concentrati in una zona molto piccola.

Questo sistema insolito di pianeti rocciosi alternati a pianeti gassosi potrebbe non essere una novità se confrontato con altri sistemi solari, a causa del fatto che il nostro campione di sistemi solari è ancora relativamente limitato.

“Questo è veramente un problema da spiegare alla nostra comunità scientifica” ha affermato Linda Elkins-Tanton, Direttrice del Carnegie Institution for Science’s Department of Terrestrial Magnetism a Washington. Forse il nostro sistema solare potrebbe far parte della minoranza dei tipici sistemi solari se confrontati fra loro.

Image credit: NASA/Ames/JPL-Caltech. Un confronto fra le dimensioni dei due pianeti Kepler-20e e Kepler-20f con i pianeti del nostro sistema solare. Il primo è leggermente più piccolo di Venere con un raggio 0.87 volte quello della Terra, il secondo è un po’ più grande della Terra, circa 1.03 volte. Venere è molto simile per dimensioni alla Terra con un raggio pari a 0.95 volte il nostro pianeta.
Prima di questa scoperta il più piccolo pianeta conosciuto orbitante attorno ad una stella simile al Sole è stato Kepler-10b con un raggio di 1.42 volte quello terrestre, e con un volume pari a 2.9 il nostro.
Sia Kepler-20e che Kepler-20f orbitano molto vicini alla loro stella con periodi orbitali di 6.1 e 19.6 giorni, rispettivamente.Si ritiene che abbiano una composizione rocciosa con temperature elevatissime. Ci sono altri tre grandi pianeti gassosi presenti nel sistema solare scoperto da Kepler, conosciuti come Kepler-20b, Kepler-20c e Kepler-20d. Fonte NASA:  http://www.nasa.gov/mission_pages/kepler/multimedia/images/kepler-20-planet-lineup.html

I ricercatori ritengono più plausibile che i pianeti di Kepler-20 non si siano formati nelle loro posizioni attuali. Devono, invece, essersi formati lontano dalla loro stella e poi essere migrati verso l’interno, probabilmente attraverso le interazioni con il disco di materiale da cui tutti i pianeti e la stella si sono formati.
Questo ha permesso al sistema planetario di mantere la loro spaziatura regolare, nonostante le dimensioni dei piaenti si alternino tra grande e piccolo.

“Pensiamo che i pianeti siano migrati verso il Sole perchè non siamo in grado di immaginare una così ricca quantità di corpi tanto vicini alla loro stella, dove è caldo e solo alcuni oggetti si trovano allo stato solido” ha affermato Charbonneau. “Pensiamo anche il luogo di nascita di un mondo simile a Nettuno sia più lontano dalla stella e che poi nel corso del tempo i pianeti siano migrati verso il loro sole. Non saremmo sorpresi nell’osservare più sistemi solari simili a questo man mano che continuerà l’esplorazione”.

Forse ci vorrà del tempo perchè Kepler possa scoprire una terra simile alla nostra. La missione Kepler della NASA identifica oggetti di interesse andando alla ricerca di stelle che diminuiscono la loro luminosità, e questo si manifesta quando un pianeta transita di fronte alla stella. Per confermare il transito di un pianeta, i ricercatori cercano una stella perturbata dall’azione gravitazionale di un’altra stella compagna (che le orbita intorno o che è la stella di riferimento).

Il metodo utilizzato è noto come metodo della velocità radiale. Il segnale della velocità radiale di pianeti con una massa circa due volte quella terrestre è troppo debole per poter essere rivelato con le attuali tecnologie. Pertanto, tecniche differenti devono essere utilizzate per confermare o meno se l’oggetto trovato è effettivamente un pianeta.

Una varietà di situazioni differenti potrebbe imitare l’oscuramento di un pianeta in transito. Per esempio, una stella binaria ad eclisse, un sistema dove la luce di una stella viene nascosta dalla stella compagna quando le transita davanti o dietro, provocando una variazione di luminosità. Per escludere queste situazioni, la squadra di Kepler ha simulato milioni di possibili scenari grazie a Blender, un software personalizzato, sviluppato da Fressin e Willie Torrer del CfA. I ricercatori hanno concluso che è molto più probabile che Kepler-20e e Kepler-20f siano pianeti piuttosto che stelle.

Fressin e Torres hanno, inoltre, utilizzato Blender per confermare l’esistenza di Kepler-22b, un pianeta nella zona abitabile della sua stella che è stato annunciato dalla NASA il mese scorso, un mondo più grande della nostra Terra.
“Questi nuovi pianeti sono notevolmente più piccoli rispetto a qualsiasi altro pianeta scoperto fino ad oggi che orbita attorno ad una stella simile al nostro Sole”  ha concluso Fressin.

Fonte Universe Today: http://www.universetoday.com/91989/first-earth-sized-exoplanets-found-by-kepler/
Informazioni ulteriori su National Geographic: http://news.nationalgeographic.com/news/2011/12/111220-new-earth-size-planets-nasa-kepler-alien-space-science/

Articolo disponibile su Nature: Two Earth-sized planets orbiting Kepler-20 – Fressin et al., Nature, 2011, doi:10.1038/nature10780, pubblicato online il 20 dicembre 2011 su: http://www.nature.com/nature/journal/vnfv/ncurrent/full/nature10780.html

Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) Press Release: http://www.cfa.harvard.edu/news/2011/pr201134.html

NASA- NASA Discovers First Earth Earth-sizw Planets Beyond Our Solar System: http://www.nasa.gov/mission_pages/kepler/news/kepler-20-system.html .

Sabrina

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Il Sole dalla Stazione Spaziale

La bellezza di un sole sull’orizzonte e dell’atmosfera terrestre. La foto è stata presa dall’equipaggio della spedizione 15 a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) il 3 giugno 2007.
Credit: Image and caption courtesy of NASA Goddard Photo and Video photostream. Credit: NASA.

Disponibile su: Climate – NASA:  http://climate.nasa.gov/imagesVideo/earthWallpaper/index.cfm

Sabrina

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Carnevale della Fisica #27 – Prima chiamata

Dopo il Carnevale della Fisica #26. dedicato al cinema, con una certa trepidazione raccogliamo il testimone e annunciamo il prossimo Carnevale, che sarà ospitato nel nostro sito di scienza e divulgazione GruppoLocale.it, curato da Marco Castellani e Sabrina Masiero. Il tema che abbiamo scelto di proporre per questa ventisettesima edizione è “La fisica nella letteratura italiana, dal suo nascere fino ai nostri giorni”.

Due parole sulla scelta dell’argomento. Qui a GruppoLocale ci è sempre piaciuto esplorare i territori di mezzo, perché crediamo (sì, ne siamo proprio sicuri…) che una data disciplina si arricchisca moltissimo nel confronto e nel rapporto costruttivo con le altre branche del sapere. Ovvero, in un gioco di intersezioni virtuose, che poi riflettono in fondo la natura stessa del conoscere: con un atteggiamento sempre lontano dal “già saputo” e dall’arida acquisizione di nozioni, ma con una  ultima curiosità di fronte al mondo e allo stupore del suo esistere. “Solo lo stupore conosce”, la frase di Gregorio di Nissa, è il nostro motto praticamente da sempre!

In quest’ottica, ricercare la traccia, potremmo dire l’impronta, della fisica (dell’astronomia, della cosmologia…) nella letteratura del nostro amato e bistrattato paese, è anche un modo per lanciarsi nella feconda ricerca di una unità di fondo, che spezzi l’inganno deleterio dell’esistenza di “due culture” mutuamente impermeabili (umanistica, scientifica), cercando invece i segni di una all’interno dell’altra… per poi magari accorgersi che sono nient’altro che due aspetti inscindibili dell’avventura umana, in quanto tale.

Perciò stesso, i partecipanti si possono sentire liberi di accogliere il tema in modo molto largo. Non solo dunque post su brani o autori letterari esplicitamente ispirati alla scienza (più di uno potrebbe pensare alle Cosmicomiche del grande Italo Calvino), ma anche contesti in cui si racconta più o meno direttamente del lavoro di ricercatori e scienziati, o che magari partano prendendo spunto da un tema scientifico. Possiamo anche divertirci (sempre con ironia, suggeriremmo) a vedere come la scienza viene trattata.. o maltrattata dal giornalismo scientifico, o comunque, da una letteratura non abbastanza informata sui fatti.

In aggiunta, per quanto possa sembrare banale ricordarlo, l’Italia è un paese di grandissimi letterati e di altrettanto valenti fisici: mettendo insieme le due cose, dovremmo ottenere una reazione interessante!

"L’avevamo sempre addosso, la Luna, smisurata: quand’era il plenilunio – notti chiare come di giorno, ma d’una luce color burro –, pareva che ci schiacciasse..." (Da "Le cosmicomiche" di Italo Calvino; Crediti immagine: Lick Observatory)

Se volete partecipare, pubblicate un articolo sul vostro blog che abbia come tema un argomento di Fisica (non obbligatoriamente collegato al tema proposto), poi inviate un mail a info@gruppolocale.it con “Carnevale” nel soggetto, il link al vostro articolo e possibilmente una breve descrizione dei contenuti dello stesso, entro e non oltre il 27 gennaio 2011. Per sicurezza vi consigliamo di verificare che lo staff di GruppoLocale vi abbia inviato ricevuta della ricezione (siam gente distratta.. almeno io…)

A fine mese passeremo in rassegna su GruppoLocale.it gli interventi raccolti. Vi aspettiamo il 30 gennaio con il resoconto dalla ventisettesima edizione del Carnevale!

Marco Castellani, per lo staff di GruppoLocale.it

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L’entrata in orbita lunare per GRAIL

Rappresentazione artistica di GRAIL della NASA. Fonte:NASA/GRAIL.

Le due sonde gemelle della NASA per lo studio della Luna, dalla crosta fino al nucleo, si stanno avvicinando al momento fondamentale dell’entrata in orbita lunare.

Chiamate Gravity Recovery And Interior Laboratory (GRAIL), le sonde sono programmate per entrare in orbita alle ore 13:21 Pacific Standard Time-PST (16:21 Eastern Standard Time-EST, le 22:21 in Italia) del 31 dicembre e per le ore 14:05 PST (17:05 EST, le 23:05 in Italia) l’1 gennaio 2012. La prima sonda a compiere questo passo decisivo sarà GRAIL-A, la seconda GRAIL-B.

“Il nostro team non avrà modo di partecipare alla celebrazione del Nuovo Anno tradizionale, ma mi auguro che l’osservare le nostre due sonde in orbita lunare  possa fornirci entusiamo ed euforia che tutti coloro che lavorano in qusta mia mai avrebbero pensato”, ha affermato David Lehman, Project Manager di GRAIL al Jet Propulsion Laboratory della NASA, Pasadena, California.

La distanza della Terra dalla Luna è approssimativamente pari a 402 336 chilometri. Gli equipaggi dell’Apollo hanno avuto bisogno di tre giorni per arrivare sulla Luna. Il lancio da Cape Canaveral Air Force Station è avvenuto il 10 settembre 2011 e le sonde GRAIL hanno impiegato un tempo circa 30 volte maggiore coprendo oltre 4 milioni di chilometri per arrivarci.

La traiettoria di lunga durata a basso consumo energetico ha dato ai tecnici della missione e ai controllori più tempo per valutare lo stato di salute delle sonde.

Durante il percorso lo strumento Ultra Stable Oscillator è stato continuamente alimentato e questo permetterà di raggiungere una temperatura di funzionamento stabile prima di iniziare con l’effettuare misurazioni scientifiche in orbita lunare.

“Questa missione verrà a riscrivere i libri di testo sull’evoluzione della Luna” ha affermato Maria Zuber, Principal Investigator di GRAIL del Massachusetts Institute of Technology (MIT) a Cambridge. “Le nostre due sonde stanno operando così bene durante il viaggio, che abbiamo eseguito un test completo del nostro strumento e confermato le prestazioni necessarie per soddisfare i nostri obiettivi scientifici”.

Image credit: NASA/JPL-Caltech.

Utilizzando una tecnica di precisione di volo, le sonde gemelle GRAIL mapperanno il campo di gravità lunare come raffigurato in questa rappresentazione artistica. I segnali radio viaggeranno tra le due sonde fornendo ai ricercatori misure di alta precisione così come il flusso di informazioni che non si fermerà neppure quando le due sonde si troveranno sul lato oscuro della Luna, quello che non è possibile osservare da Terra. Il risultato dovrebbe essere la mappa più accurata della Luna mai ottenuta prima.

La missione risponderà pure a domande fondamentali e domande alle quali i ricercatori sono alla ricerca di una risposta da molto tempo, tra cui le dimensioni di un possibile nucleo interno ce una miglioe comprensione di come la Terra e altri pianeti del sistema solare si sono formati.

Dal 28 dicembre, GRAIL-A si trova a circa 106 000 chilometri dalla Luna e si avvicinerà ad una velocità di circa 1 200 km/h; GRAIL-B è a 128 000 chilometri dalla Luna con una velocità di avvicinamento di circa 1 228 km/h.

Durante la fase finale di avvicinamento alla Luna, entrambi gli orbiter si muoveranno verso di essa da sud, volando quasi sopra il polo sud lunare. L’inserimento in orbita lunare di GRAIL-A durerà circa 40 minuti e verrà a cambiare la velocità delle sonde di circa 688 km/h. L’inserimento di GRAIL-B avverrà 25 ore più tardi e durerà 39 minuti e si prevede di modificare la velocità della sonda di 691 chilometri.

L’orbita finale sarà di tipo ellittico, vicino alla regione polare con un periodo di circa 11 ore e mezzo. Nel corso delle settimane successive, la squadra GRAIL eseguirà una serie di accensioni con ciascuna sonda per ridurre il periodo orbitale da 11,5 ore a meno di 2 ore. All’inizio della fase scientifica nel marzo 2012 le due sonde saranno in una  orbita quasi circolare, vicino ai poli, con un’altitudine di circa 55 chilometri.

Quando la raccolta di dati scientifici inizierà, la sonda trasmetterà segnali radio per definire in modo preciso la loro distanza reciproca mentre si troveranno in orbita lunare. Sorvolando sulle aree di maggiore o minore gravità, causate da caratteristiche visibili, come per esempio montagne, crateri e massi nascosti sotto la superficie lunare, i due GRAIL si sposteranno leggermente avanti e indietro l’uno rispetto all’altro. Uno strumento di bordo in ciascuna sonda misurerà i cambimenti nelle loro velocità relative e i ricercatori tradurranno le informazioni in qualche mappa al alta risoluzione del campo gravitazionale lunare. I dati permetteranno agli scienziati coinvolti nella missione di capire cosa sta succedendo sopra la superficie. Queste informazioni aumenteranno la nostra conoscenza di come la Terra ed i suoi vicini rocciosi  nel sistema solare interno si sono formati e sviluppati in modi diversi.

Lo scorso 10 settembre 2011 abbiamo seguito in diretta da NASA TV il lancio del satellite GRAIL grazie ad un razzo Alliance Delta II americano dallo Space Launch Complex 17B a Cape Canaveral Air Force Station in Florida.

Image credit: NASA/Kenny Allen. Fonte NASA: http://www.nasa.gov/mission_pages/grail/multimedia/gallery/2011-09-10-4.html

Per ulteriori informazioni sulla missione GRAIL si visiti il sito: http://www.nasa.gov/mission_pages/grail/main/index.html

Fonte NASA-Twin Spacecraft On Final Approach For Moon Orbit: http://www.nasa.gov/home/hqnews/2011/dec/HQ_11-426_GRAIL_Highlights.html

NASA: GRAIL Artist’s Rendition: http://www.nasa.gov/mission_pages/grail/multimedia/pia14377.html

NASA: NASA’s Moon Twins Going Their Own Way- http://www.nasa.gov/mission_pages/grail/news/grail20111006.html

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Evidenze di idrocarburi e molecole su Plutone

Hubble Space Telescope durante la Servicing Mission 4, ripreso dallo space shuttle Atlantis il 13 maggio 2009. Immagine tratta da: http://www.flickr.com/photos/gsfc/4399423028/in/photostream/ Credit: Goddard Space Flight Center/Hubble Space Telescope/NASA.

Il nuovo e sensibile spettrografo denominato “Cosmic Origins Spectrograph” a bordo del telescopio spaziale Hubble ha scoperto un forte assorbimento nelle lunghezze d’onda ultraviolette sulla superficie di Plutone, che fornisce nuove evidenze sulla possibilità della presenza di complessi idrocarburi e/o di molecole nitrile che giacciono sulla superficie, secondo un articolo pubblicato recentemente sull’Astronomical Journal dai ricercatori del Southwest Research Institute e dal Nebraska Wesleyan University.

Tali specie chimiche possono essere prodotte dall’interazione della luce solare o dai raggi cosmici con i ghiacci conosciuti della superficie di Plutone che includono il metano, il monossido di carbonio e l’azoto.

Il progetto, guidato dal Dott. Alan Stern del Southwest Research Institute (SwRI) a Boulder, Colorado, comprende anche i ricercatori: Dott. John Spencer e Dott. Adam Shinn, i ricercatori del Nebraska Wesleyan University e il Dott. Nathaniel Cunnigham e lo studente Mitch Hain.

“Questa è una scoperta emozionante perchè gli idrocarburi complessi su Plutone e le altre molecole che potrebbero essere responsabili delle caratteristiche spettrali nell’ultravioletto trovati con l’Hubble Space Telescope, potrebbero tra l’altro, essere responsabili del colore vermiglio di Plutone” ha affermato Stern.

Rappresentazione pittorica dell’ipotetica superficie di Plutone. Crediti: NASA, ESA and G. Bacon (STScI).

Il team di ricercatori ha inoltre scoperto evidenze di cambiamenti nello spettro ultravioletto di Plutone quando questo è stato confrontato con i dati e le misurazioni ottenute da Hubble negli anni Novanta. I cambiamenti possono essere correlati a differenti tipi di terreno visti oggi con quelli osservati nel 1990, oppure ad altri effetti, come a cambiamenti nella superficie relativa ad un forte aumento della pressione dell’atmosfera di Plutone durante questo intervallo di tempo.

“La scoperta che abbiamo fatto con Hubble ci ricorda che scoperte ancora più emozionanti sulla composizione di Plutone e sull’evoluzione della sua superficie sono ancora “in magazzino” almeno fino a quando la sonda New Horizons della NASA non si avvicinerà a Plutone nel 2015″ ha concluso Stern.

Questa ricerca è stata sostenuta grazie al contributo dello Space Telescope Science Institute.

Una copia dell’articolo scientifico di Stern et al. è disponibile su: http://iopscience.iop.org/1538-3881/143/1/22/.

Fonte Southwest Research Institute: http://www.swri.org/9what/releases/2011/pluto.htm

Per ulteriori informazioni sulla missione New Horizons della NASA visitate il sito: http://pluto.jhuapl.edu/.

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La grande tempesta su Saturno

Questa sequenza di immagini dalla sonda Cassini della NASA mostrano lo sviluppo della più grande tempesta osservata sul pianeta Saturno dal 1990. Queste immagini in colori originali e la composizione di immagini stessa mostra la cronaca della tempesta dal suo inizio, sul finire del 2010, fino a metà 2011 e in particolare come questo enorme temporale sia cresciuto rapidamente arrivando a grandi dimensioni, fino poi a ridursi nel corso del tempo.

La prima immagine è stata ripresa il 5 dicembre 2010 (immagine in alto a sinistra). La tempesta appare solo una piccola nuvola bianca su terminatore, quella linea di demarcazione tra il giorno e la notte sul pianeta. Qui sotto una spettacolare immagine della tempesta all’epoca.

Disponibile su: http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA14902

L’immagine successiva nel centro della prima fila di immagini di apertura dell’articolo è stata ripresa il 2 gennaio 2011 e mostra come la tempesta sia cresciuta molto rapidamente cominciando a spostarsi verso est. Le successive immagini sono state riprese il 25 febbraio 2011. La seconda sequenza di immagini (a partire da sinistra) risale al 22 aprile 2011, una delle ultime fotografie riprese dalla sonda Cassini durante la tempesta, quando ancora la testa del temporale era ben visibile mentre la coda si trovava a sud, ben formata.

L’immagine al centro della seconda sequenza è stata ripresa il 18 maggio 2011 e mostra solo la coda della tempesta, che c’era ancora, ma ben oltre l’orizzonte visibile e fuori del campo visivo.

Tra l’istante della foto del 18 maggio e quella successiva del 12 agosto, la testa della tempesta è stata inghiottita dalla coda della tempesta che si sta sviluppando verso est alla stessa latitudine della testa. Il 12 agosto l’immagine in basso a destra mostra che la testa ha perso la sua identitià distinta ed ora è soltanto una parte del miscuglio della tempesta.

Visibile in queste immagini anche alcune delle lune dii Saturno e le ombre sul pianeta delle lune stesso. Per esempio, la seconda luna più grande del pianeta, Rhea, è visibile nelle immagini del 25 febbraio.

Queste immagini ottenute in colori reali e a distanze di circa 2,2 milioni di chilometri – 3 milioni di chilometri da Saturno. Tutte le immagini hanno una scala di 162 chilometri per pixel.

Fonte: http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA14905http://saturn.jpl.nasa.gov/photos/imagedetails/index.cfm?imageId=4420

Per maggiori informazioni sulla missione Cassini-Huygens mission: http://saturn.jpl.nasa.gov;  il Cassini imaging team home page: http://ciclops.org.

Credit: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute.

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Oltre il Modello Standard e il Bosone di Higgs

di Umberto Genovese

 

Francamente ancora non sappiamo se esista o meno il Bosone di Higgs, il famoso bosone portatore di massa delle particelle, quello che nel titolo di un suo libro [1] il fisico Leon Max Lederman aveva chiamato “maledetta particella”  (goddnam particle) e che un editore un po’ troppo moralista trovandola sconveniente la cambiò in “Particella di Dio”. Adesso un paio di recenti esperimenti pongono limiti alla sua esistenza.  Un po’ come dire “ non lo abbiamo ancora beccato, ma ci sono indizi che ci fanno credere che sia rinchiuso in quella stanza”

In una conferenza stampa il 13 dicembre i ricercatori del CERN di Ginevra hanno annunciato che due diversi esperimenti [2]  in corso presso il più grande acceleratore di particelle del mondo, il Large Hadron Collider (LHC) hanno posto limiti ben ristretti alle finestre energetiche in cui può essere verificata l’esistenza del bosone di Higgs.

Ma che cosa sarebbe esattamente il bosone di Higgs [3] ?

Il Modello Standard – che è l’evoluzione estrema della Meccanica Quantistica – descrive le basi di come le particelle elementari (fermioni e leptoni) interagiscono fra loro tramite bosoni di gauge, ovvero particelle che mediano, trasportano tre delle quattro forze fondamentali della natura:

1. la forza elettromagnetica (luce, magnetismo, elettricità) è mediata dai fotoni;
2. la forza nucleare forte (la forza che tiene uniti i quark per formare gli adroni – protoni e neutroni) è mediata dai gluoni;
3. la forza nucleare debole (responsabile del decadimento radioattivo  beta – decadimento del neutrone in protone) mediata dai bosoni W, Z e appunto il famoso bosone di Higgs.

La particolare natura della forza debole di interagire [4]  sia con i leptoni che con i fermioni, sia con particelle cariche che particelle neutre, richiede appunto tre bosoni distinti per agire: uno per le interazioni cariche (W), uno per le interazioni neutre (Z) e uno (Higgs) per dare la massa a tutte le altre particelle, tranne i fotoni e i gluoni.
L’unica forza fondamentale che per ora rimane esclusa dal Modello Standard è la forza di gravità che verrebbe mediata a sua volta dal suo bosone: il gravitone.

Come funzionerebbe il bosone di Higgs?

Il bosone di Higgs fu teorizzato attorno al 1960 dal fisico Peter Higgs, ed altri,  per spiegare il modo in cui le particelle elementari acquistano massa a riposo.

Non è facile spiegare come questo avvenga senza ricorrere alla matematica, ma un fisico dell’University College di Londra, David Miller raccolse la sfida del ministro britannico della scienza, William Waldegrave che aveva indetto in proposito un concorso, in palio una bottiglia di champagne.

L’immagine suggerita da David Miller [5] è quella di un salone (lo spazio) pieno di persone (il campo di Higgs) che sono distribuite in maniera uniforme e impegnate a conversare ciascuna con il proprio vicino. All’improvviso questa festa viene animata dall’arrivo di un personaggio famoso (una particella) che attraversa la stanza. Tutte le persone vicine sono attratte da lui (la rottura di simmetria) e vi si affollano intorno. Man mano che il personaggio famoso si muove nella sala attrae altre  persone a lui più vicine mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale. A causa di questo affollamento aumenta la resistenza al movimento, in altre parole il personaggio famoso-particella  acquista la sua massa.

 

Per spiegare invece il concetto di bosone di Higgs, sempre Miller suggerisce di immaginare che all’improvviso, nello stesso salone pieno di gente, qualcuno faccia circolare una voce. Le persone più vicine la ascoltano per primi e si riuniscono per apprendere qualche dettaglio in più, quindi si voltano e si avvicinano alle altre persone nei paraggi per riferire quanto ascoltato. In questo modo la stanza viene attraversata da un’ondata di capannelli che si formano man mano e che a loro volta, come il precedente personaggio famoso, acquisiscono massa. Il bosone di Higgs sarebbe appunto questa rottura di simmetria nel campo di Higgs.

Nelle tre dimensioni, e con tutte le complicazioni relativistiche del caso, questo è in pratica il meccanismo postulato da Higgs. Al fine di dare alle particelle una massa, il vuoto si distorce a livello locale ogni volta che una particella si muove attraverso di esso provocando una rottura di simmetria. La distorsione – il raggruppamento del campo di Higgs intorno alla particella – genera la massa.

L’idea arriva direttamente dalla fisica dei solidi. Invece di un campo diffuso in tutto lo spazio, un solido contiene un reticolo cristallino di atomi con carica positiva. Quando un elettrone si muove attraverso il reticolo attrae gli atomi, causando un aumento di massa effettiva dell’elettrone fino a 40 volte più grande della massa di un elettrone libero.

A questo punto Il campo di Higgs postulato è una sorta di reticolo ipotetico nel vuoto che riempie il nostro Universo. Così si può spiegare perché le particelle Z e W che trasportano le interazioni deboli sono così pesanti, mentre il fotone che trasporta le forze elettromagnetiche sia senza massa. Ed è grazie a questa rottura di simmetria del vuoto che le particelle cominciano a interagire fra loro, acquisiscono massa e non possono viaggiare più veloci della luce.

Ma le analogie con la fisica dei solidi non finiscono qui: in un reticolo cristallino ci possono essere alterazioni locali che si muovono al suo interno senza il bisogno del transito di un elettrone che attrae gli atomi. Queste onde possono comportarsi esattamente come se fossero particelle. Queste sono chiamati fononi e anche loro sono bosoni.

Tuttavia, il Modello Standard può spiegare solo il 4% della materia e dell’energia contenute nell’universo.
Si presume che il resto sia fatto di materia oscura (23%) e l’energia oscura (73%). Questo significa che gli atomi costituiscono solo una netta minoranza di questo universo mentre il 96% ancora non è compreso nel Modello Standard, come non lo è del resto la gravitazione, la forza più diffusa nell’universo.

Nonostante i suoi successi predittivi, l’attuale Modello Standard è  una delle più brutte teorie proposte dalla fisica moderna.

Ha più di 19 parametri liberi, 3 serie di particelle ridondanti, 36 diversi tipi di quark e anti-quark, e una variegata collezione di gluoni, leptoni, bosoni, particelle di Higgs, particelle di Yang-Mills, etc.

Questo indica – e sono anche i suoi ideatori ad ammetterlo – che il Modello Standard non è certamente la teoria finale.
Al momento, l’unica teoria matematicamente auto-consistente in grado di fornire un quadro realmente unificato dell’universo è la teoria delle stringhe.

Questa Super Teoria del Tutto  non è ancora stata verificata, ma il Large Hadron Collider può finalmente trovare prove convincenti a favore di questa promettente teoria.

Il prossimo obiettivo per l’LHC potrebbe essere quindi individuare la materia oscura, quella sostanza invisibile che impedisce alle galassie di dissolversi.

 

[1] The God Particle: If the Universe Is the Answer, What Is the Question? http://en.wikipedia.org/wiki/The_God_Particle:_If_the_Universe_Is_the_Answer,_What_Is_the_Question%3F
[2] Gli esperimenti che hanno circoscritto il campo di energie in cui il bosone di Higgs dovrebbe essere rilevabile sono  ATLAS  (116-130 Gev) guidato da Fabiola Gianotti e CMS (115-127 Gev) guidato da Guido Tonelli.
[3] L’uso del condizionale nella domanda mi pare d’obbligo, visto che ancora non sappiamo con certezza se questo bosone esista o meno.
[4] La forza nucleare debole ha un raggio d’azione cortissimo, solo  10 -18 metri.
[5] Politics, Solid State and the Higgs: http://www.hep.ucl.ac.uk/~djm/higgsa.html

Pubblicato originariamente su Il Poliedrico: http://ilpoliedrico.altervista.org/2011/12/oltre-il-modello-standard-e-il-bosone-di-higgs.html

Umberto

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Natale tra amici…

Ci sono le cose che ti rallegrano al mattino. Quando ti svegli un pò incerto sull’umore che devi prendere, quando ti senti pesante di tanti piccoli compromessi, di tante cose non risolte che ti porti dentro, di tante zone d’ombra con cui convivi. A volte ogni mossa sembra una fatica, ogni passo un’impresa. Nel dubbio quasi ti blocchi. Vorresti la felicità subito e ti senti trattenuto da tanti lacci, incongruenze, mezze decisioni, dubbi. Ti guardi dentro e ti scopri così incapace ad amare davvero, quanto vorresti. 
Ci sono queste cose che ti prendono di sorpresa, allora, e ti rallegrano al mattino. Come quando apri il computer e vai a leggere un articolo, con la curiosità che deriva dalla fiducia che accordi a chi scrive. Leggi appena qualche riga de La tentazione del Natale, l’articolo di Juliàn Carron apparso su L’osservatore romano di oggi, e nonostante pensi di non poter essere sorpreso (In fondo, tante volte la tentazione è di non aspettarsi granché dal Natale. dice proprio)… caspiterina, sei sorpreso! 
Sei più che sorpreso, sei commosso. Perché, non c’è mica niente da fare, trovi esattamente le parole che ti servivano, che sembrano, per qualche misteriosa coincidenza cosmica, pronunciate e scritte proprio per te, esattamente per il tuo io che sta leggendo in questo momento! Esattamente.
«Il Signore revoca la tua condanna», cioè il tuo male non è più l’ultima parola sulla tua vita; lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri in continuazione non è vero. L’unico sguardo vero è quello del Signore. E proprio da questo potrai riconoscere che Egli è con te: se ha revocato la tua condanna, di che cosa puoi avere paura? «Tu non temerai più alcuna sventura». Un positività inesorabile domina la vita.
Questo me lo rigiravo in testa stamattina, mi sorprendevo a commuovermi davvero. Le parole che mi servivano, trovarmele davanti, così. “Lo sguardo solito che hai su di te non è quello giusto; lo sguardo con cui ti rimproveri con continuazione non è vero“. Mi sono sentito improvvisamente accolto, voluto bene… amato. Uno si scioglie e si commuove se è amato, sennò tenta di fare il duro. Trovando solo durezze. Ma se è amato… oh, è tutto un altro discorso, si aprono diecimila possibilità. Si intravede ogni bellezza. Brilluccica anche, pur se appena intravista, una “positività inesorabile”.

Così dico grazie, grazie Juliàn per farti tramite di questo Amore, per insegnarci che siamo amati. Sempre e comunque.
E un altro segno bello lo trovo, un altro percorso brillante, bello, lo intravedo dal post di Alessandro D’Avenia, che ho avuto il privilegio di incontrare in una libreria di Roma, non molti giorni fa (vedi il post su questo blog)
“…c’è per me una bellezza che non si rovina, che non si rompe, che non c’entra con il nettare e l’ambrosia, con la proporzione e l’armonia, ma c’entra con la vita quotidiana, con il sudore, i capelli, la pelle, le mani screpolate, la fatica, lo sco­raggiamento, la tristezza, la paura, il falli­mento, il sangue, il freddo e il sonno. Una bel­lezza senza perfezione. Una bellezza che c’en­tra con tutto, perché tutto ha attraversato. U­na bellezza fecondata da limiti e sproporzio­ni, per partorire ciò che non passa. Io questa bellezza cerco. Questa bellezza nasce per me. In una stalla.”

Questo anche mi dà calore, mi dà speranza, conforto. Ne ho bisogno, per la vita, non per un fatto intellettuale. Proprio per la vita.
Questi sono alcuni dei miei amici, li sento amici, e sono grato per la luce che gettano su questi giorni. Ho bisogno di essere aiutato, condotto per mano, a capire. Alla gioia. Ho bisogno di camminare preso per mano, e sto capendo – mi ci è voluta quasi una vita – di quanto mi servono per il cammino, mia moglie, i miei amici, tutti quelli che testimoniano che c’è un cammino che può essere percorso. A volte faticoso, ma bello. E’ una lotta, spesso tento di sottrarmi al fatto semplice di camminare. Eppure ogni volta uno torna sul sentiero, con sempre più ragioni per farlo.
C’è una bellezza che non si rovina, che non si rompe… che c’entra con la vita quotidiana. 
Auguri di buon Natale 🙂
Riprodotta per gentile concessioni di Euresis.org

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