Blog di Marco Castellani

Giorno: 16 Gennaio 2012

Nuove teorie sul nucleo di Giove

Giove. Credit: Gemini Observatory/AURA.

Anche i giganti possono perdere il loro cuore. Nuovi calcoli indicano che il nucleo roccioso del gigante Giove si sta dissolvendo. Il lavoro di Hugh Wilson e Burkhard Militzer dell’Università della California, Berkeley è a favore di questa teoria e potrebbe contribuire a spiegare perchè il nucleo di Giove appare più piccolo e la sua atmosfera più ricca di elementi pensanti del previsto.

Si ritiene che i pianeti giganti come Giove e Saturno si siano formati come corpi solidi composti di roccia e di ghiacchio. Man mano che il loro core cresceva fino a diventare circa dieci volte la massa della Terra, la loro gravità ha attirato gas dalla nebulosa primordiale dando ai pianeti delle atmosfere molto spesse e ricche principalmente di idrogeno.

Curiosamente, alcuni studi hanno suggerito che il core di Giove possa avere una massa inferiore a 10 masse terrestri, mentre il core di Saturno sembra avere una massa che supera le 15 masse terrestri. Nel 2010 [1] un gruppo di ricercatori guidati da Shu Lin Li dell’Università di Pechino, Cina, ha offerto una spiegazione incredibile: Giove sarebbe un pianeta roccioso più grande della Terra schiacciatosi fino a diventare il pianeta che conosciamo con la vaporizzazione della maggior parte del suo core, molti miliardi di anni fa.

Questo scenario potrebbe anche dare la risposta ad un’altra questione aperta: perchè l’atmosfera di Giove contiene una più alta frazione di elementi pesanti rispetto al Sole, la cui composizione si pensa sia lo specchio di quella della nebulosa che ha dato origine ai pianeti del sistema solare.

Ora Wilson e Militzer hanno suggerito un’altra spiegazione, anche se un po’ meno “tragica” di quella di Shu Lin Li. Il core di Giove si sta gradualmente dissolvendo, processo che sta avvenendo fin dalla sua formazione, 4,5 miliardi di anni fa.

Altri ricercatori avevano proposto che le pressioni e le temperature intense nel core di Giove potrebbero portare alla dissolvenza del suo core nell’atmosfera circostante, che è ad alta pressione e si comporta come un liquido.

I ricercatori hanno usato le equazioni della meccanica quantistica per vedere come l’ossido di magnesio, che si pensa sia un componente del nucleo di Giove, si comporti alle pressioni di Giove, pari a circa 40 milioni di atmosfere terrestri e a temperature di 20 000 °C. Tali condizioni non possono essere ricreate nei laboratori terrestri, alcuni esperimenti possono approssimare le pressioni che si hanno, ma oltrepassano le temperature di un fattore 100 o poco più.

I ricercatori hanno scoperto che in tali condizioni l’ossido di magnesio in effetti si dissolve nel suo ambiente fluido. “Si può pensare all’ossido di magnesio come di un pizzico di sale sul fondo di un bicchiere. Versiamo acqua tiepida sul sale ed esso comincerà a sciogliersi nel bicchiere, con l’acqua salata sul fondo e l’acqua meno salata in alto” ha affermato Wilson.
Egli sospetta che la roccia che si è disciolta possa essersi mescolata al resto dell’atmosfera nel corso del tempo. “Si potrebbe almeno in parte spiegare sia l’arricchimento di elementi pesanti nell’atmosfera più esterna, sia il fatto che il suo nucleo possa essere più piccolo di quanto i modelli della formazione suggeriscono” ha aggiunto Wilson.

Il calcolo suggerisce perchè Saturno, che è circa un terzo della massa di Giove, sembra avere un nucleo più pesante. Le condizioni all’interno del pianeta non sono così estreme come quelle entro Giove, tanto che il core di Saturno si sta dissolvendo completamente. “Sarà un dissolvimento molto lento” ha aggiunto Wilson.

Il team ipotizza che il processo avviene probabilmente molto più rapidamente nei pianeti più massicci di Giove. Dave Stevenson del California Institute of Technology di Pasadena è d’accordo con questa ipotesi. “L’erosione del core è probabilmente molto più efficace man mano che aumenta la massa” ha affermato. “E’ una specie di segnale del fatto che Giove è ancora in formazione, non essendosi ancora stabilizzato in uno stato stazionario”.

[1] disponibile su: New Scientist (Space): Jupiter swallowed a super-Earth, di David Shiga, Magazine issue n. 2773,
http://www.newscientist.com/article/mg20727733.600-jupiter-swallowed-a-superearth.html

Articolo originale disponibile su arXiV: http://arxiv.org/abs/1111.6309, Rocky core solubility in Jupiter and giant exoplanets, Hugh F. Wilson, Burkhard Militzer, arXiv:1111.6309v1 [astro-ph.EP]; articolo in pdf: http://arxiv.org/PS_cache/arxiv/pdf/1111/1111.6309v1.pdf

Fonte New Scientist: http://www.newscientist.com/article/dn21317-jupiters-heart-is-dissolving.html

Sabrina

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Un quadro, del settantatré

Domenica pomeriggio, mettiamo su i quadri. Sono appoggiati in camera da letto da una vita, ormai. Su quel carrello ormai vecchio e rovinato, che dobbiamo buttare. Scomoda, come sistemazione. Anche perché c’è il fatto che se ti alzi di notte per andare in bagno ci puoi sbattere contro (succede, succede…).   A dire la verità, niente come l’iPod Touch – o roba simile –  per muoversi a mò di felino a notte alta con un minimo di luce (se poi non ti riviene sonno, puoi leggere qualcosa o controllare la posta… anche se, chi ti scrive a quell’ora di notte?)
Ma sto divagando…Torniamo ai quadri. E’ incredibile come cambia l’aspetto della casa mettendo due o tre quadri appena. Io e Paola li prendiamo uno alla volta, li puliamo, cerchiamo di capire dove stanno meglio. Ne giro uno, fatto da mio nonno materno (dipingeva per hobby, ma dipingeva bene, secondo me). Vedo la firma e la data. Aldo Poli. Settembre 1973. 

Faccio un rapido conto, e mi colpisce una coincidenza. Mio nonno lo dipinse quando io avevo l’età di Agnese, la nostra bimba più piccola. Quante ne ha viste passare quel quadro! E ancora è lì, ancora svolge la sua funzione. E’ ancora bello. Ancora mi trasporta indietro, mi fa pensare all’infanzia, al nonno. E’ un bel quadro. Ma anche se non lo fosse, sarebbe lo stesso importante, per me. Per la mia famiglia.
Dipingere
Il fatto di creare ha qualcosa dentro, un mistero che non puoi esaurire, comprendere. Spesso ragiono – nel giudicare i miei tentativi letterari-  per categorie semplificate; o una cosa è pienamente riuscita, è un’opera d’arte, diciamo, o non lo è. E se non lo è quasi non si capisce perché uno abbia perso tempo, magari molto tempo, per realizzarla. 
Però questo ragionamento semplificato manca diversi punti. Uno è che creare di per sè è un’attività terapeutica d’eccellenza. Seguendo la spinta interiore a creare capisco meglio il mondo e me stesso, mi muovo verso un equilibrio, affermo la positività ultima del reale (anche se scrivo una tragedia… se sto scrivendo di per sè è come se dicessi vale la pena). Reprimere un impulso a creare non fa mai bene alla salute. A prescindere dal “valore” di quello che riesci a creare. Il secondo punto è che – sappiamo bene – tra il capolavoro e il tentativo da buttare esiste uno spettro larghissimo di possibilità; il mondo è sempre più vario e sorprendente di come riusciamo ad immaginarlo. 
Inoltre dimentichiamo spesso che dietro tantissimo capolavori c’è il lavoro paziente e tenace, ci sono tanti tentativi parzialmente riusciti, che dunque acquistano un loro specifico valore, come può essere la strada che conduce (in un tempo e in un modo non deciso da noi) alla realizzazione di sè.
Assecondare la propria vocazione, mi sembra analogo ad accettare di stare su una strada, di rimanere in un cammino, di cui magari vedi appena pochi metri avanti. Ci sono tante curve, non vedi oltre la prima. A volte ci può essere nebbia. O ti trovi a percorrere una selva oscura, magari. Sei inquieto o triste o insoddisfatto, forse non sai nemmeno perché. Non per questo, devi smettere di camminare: “Guarda che dopo splende il sole; sei dentro l’onda, ma poi sbuchi fuori e c’è il sole” (Luigi Giussani). 
Non per le difficoltà, il tuo diventa meno ragionevole. 

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