Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2012 Page 1 of 3

HiRISE, alla ricerca del lander sovietico Mars 6


Crediti: NASA/JPL/University of Arizona.

Marte potrebbe essere considerato un cimitero di veicoli spaziali. Il pianeta rimane soltanto un luogo difficile da raggiungere e dove atterrare, ma vi sono molti veicoli spaziali che sono andati perduti e che si trovano dispersi da qualche parte sul suolo marziano.

Il lander russo Mars 6 arrivò su Marte il 12 marzo 1974. Le registrazioni evidenziano che il modulo di discesa entrò nell’atmosfera e che il paracadute si aprì alle ore 09:08:32 UT e che durante questo lasso di tempo, la sonda stava raccogliendo e inviando dati a terra. Tuttavia, il contatto con il modulo di discesa si interuppe alle 09:11:05 UT, ossia più o meno all’ora stabilita per raggiungere la superficie.

“Dato che sappiamo che il paracadute si è aperto e poiché abbiamo qualche idea di dove si è diretto, esiste una possibilità di localizzare l’hardware sulla superficie grazie la sonda HiRISE” ha affermato Alfred McEwen, Principal Investigator di HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), una camera a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter (MRO).

Mars 6 potrebbe trovarsi in questa immagine: in modo approssimativo questa rappresenta l’area dove la sonda si suppone sia atterrata. In realtà, le speranze si sono nuovamente riaccese quando una piccola macchia luminosa anomala è stata osservata dal team che guida e controlla la Context Camera (CTX) di MRO, che ha suggerito questa zona come nuovo obiettivo di HiRISE.

McEwen ha affermato che i paracaduti luminosi sono la cosa più facile da individuare sul terreno dopo aver osservato 5-6 siti di atteraggio precedenti, avvenuti con un certo successo, ma come potete vedere in questa immagine, il punto luminoso a piena risoluzione di HiRISE sembra essere solo “una chiazza di substrato relativamente luminoso con una trama di sottili linee (fratture) tipiche di questi affioramenti”.

Ma, dopo quasi 38 anni, il paracadute e l’hardware possono essere coperti di polvere e avere un aspetto molto simile alle caratteristiche naturali su Marte.

“Stiamo cercando di trovare non solo questo lander ma anche altri lander che sono falliti” ha affermato McEwen “ma c’è un sacco di superficie che dobbiamo coprire su Marte”.

Quindi, dai un’occhiata all’immagine e aiuta il team di HiRISE in questa impresa…
Immagini ad alta risoluzione sono disponibili sul sito di HiRISE: http://hirise.lpl.arizona.edu/ESP_025387_1555

Sabrina

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SOLID scopre nuova vita nel Deserto dell’Atacama

Ricercatori dal Centro di Astrobiologia (CAB) in Spagna e dell’Università Cattolica del Nord in Cile hanno trovato un oasi di microrganismi che vivono due metri sotto il suolo arido di Atacama, dimostrando che anche nel luogo più arido della Terra la vita può trovare un modo per svilupparsi.

Il Deserto cileno di Atacama riceve in media meno di 0,1 centimetri di pioggia all’anno. In alcuni località la pioggia non è caduta per oltre 400 anni. Ma anche in questo ambiente c’è umidità, appena sufficiente per i sali della roccia e per altri composti in grado di assorbire eventuali tracce di acqua per sostenere la vita microbica sotto la superficie.

Utilizzando un dispositivo chiamato SOLID (Signs Of Life Detection, Rilevamento di segni di vita) sviluppato dal CAB, i ricercatori sono stati in grado di identificare la presenza di microrganismi che vivono su strati sottili di acqua all’interno dello strato salato del sottosuolo.

Anche il substrato stesso è in grado di assorbire l’umidità dell’aria, concentrandola in strati di pochi micron di spessore intorno ai cristalli di sale. Questo fornisce ai microrganismi tutto quello di cui hanno bisogno per sopravvivere e prosperare, due o tre metri sotto terra.

E, anche quando hanno scavato ad una profondità di cinque metri prelevando campioni per portarli in laboratorio, i ricercatori sono stati in grado non solo di individuare i microrganismi ma anche di farli rivivere con l’aggiunta di un po’ di acqua.

“L’elevata concentrazione di sale ha un duplice effetto: assorbe acqua tra i cristalli e abbassa il punto di congelamento in modo tale che essi possano avere degli strati sottili di acqua a temperature di parecchi gradi sotto zero, fino a meno 20 °C” ha affermato Victor Parro, ricercatore del Centro di Astrobiologia dell’INTA-CSIC, in Spagna, e coordinatore dello studio. Questo cade dentro l’intervallo tipico di temperature di alcune regioni di Marte; inoltre, tutto quello che si trova parecchi metri sotto la superficie potrebbe essere protetto dalla radiazione ultravioletta del Sole.

“Se vi sono microbi simili su Marte o dei resti in condizioni simili a quelle che abbiamo trovato in Atacama, li potremmo rilevare con strumenti come SOLID” ha concluso Parro.

Lo sviluppo di una nuova versione di SOLID è attualmente in corso per il programma ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Per ulteriori informazioni sull’esplorazione Robotica di Marte e di ExoMars: http://exploration.esa.int/science-e/www/area/index.cfm?fareaid=118
e su Science Codex- Microbial Oasis Discovered Beneath the Atacama Desert: http://www.sciencecodex.com/microbial_oasis_discovered_beneath_the_atacama_desert-86190

Altre informazioni su:

Universe Today – http://www.universetoday.com/93621/solid-clues-for-finding-life-on-mars/#more-93621

FECYT-Fondazione Spagnola per la Scienza e la Tecnologia: http://www.fecyt.es/fecyt/home.do

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Il cratere Kuiper su Mercurio dalla sonda Messenger

La colorazione arancio pallido intorno al cratere Kuiper sul pianeta Mercurio è ben visibile in questa immagine, una composizione ottenuta da più foto catturate dalla sonda spaziale della NASA Messenger il 2 settembre 2011.

Il colore può essere dovuto a differenze nella composizione, nel materiale che è stato eiettato durante un impatto che ha dato origine al cratere.

Il cratere Kuiper è stato chiamato in onore a Gerard Kuiper, un astronomo olandese-americano che fu membro del team del Mariner 10. Da molti viene considerato come il padre della moderna scienza planetaria e che ha dato pure il nome alla famosa Fascia di Kuiper, che si trova oltre l’orbita di Nettuno e che è formata da migliaia di corpi rocciosi, o planetesimi. I planetesimi non si sono aggregati a formare un pianeta all’atto della formazione del sistema solare, circa 4,6 miliardi di anni fa a causa della debole forza gravitazionale esercitata nella periferia del nostro sistema solare.

“Kuiper studiò i pianeti all’epoca in cui erano di scarso interesse per altri astronomi. Ma con nuovi telescopi e con una nuova strumentazione, egli dimostrò che vi erano grandi cose da scoprire. Vero oggi quanto allora”.
Dr. Bill McKinnon, Professore di Scienze Planetarie alla Washington University, St. Louis.

Mondi senza atmosfera come lo è Mercurio sono costantemente bombardati da micrometeoriti e particelle cariche che provengono dal Sole in un effetto noto come “space weathering”, che potremmo tradurre con “agenti meteorologici spaziali”.

Crateri con dei raggi luminosi, come il cratere Kuiper, sono ritenuti relativamente giovani perchè hanno avuto una minore esposizione agli agenti meteorologici spaziali rispetto a quelli senza tali raggi.

Fonte Messenger: http://messenger.jhuapl.edu/gallery/sciencePhotos/image.php?gallery_id=2&image_id=757


Immagine disponibile su: http://messenger.jhuapl.edu/gallery/sciencePhotos/pics/site525_Kuiper_color.1000.750.430.png


Altri fonti UniverseToday: http://www.universetoday.com/93565/kuipers-color-close-up/

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Le nuove frontiere della medicina spaziale

CAMDASS utilizza un monitor display e una strumentazione a ultrasuoni tramite una telecamera a infrarossi. Il paziente viene monitorato utilizzando dei marcatori posizionati nella zona di interesse. Crediti: ESA/Space Applications Service NV.

Gli astronauti bloccati a bordo di una stazione spaziale o in una missione verso Marte devono curarele malattie e fare interventi chirurgici con  le proprie mani, ma non senza necessariamente un intervento virtuale. Una visiera con display 3D in fase di test sulla Terra potrebbe guidare gli astronauti a compiere tali interventi con la grafica virtuale sovrapposte alle immagini reali molto presto.

Una tale medicina fai da te nello spazio potrebbe rivelarsi un salva vita per le missioni spaziali a lungo termine, soprattutto se si dovessero presentare dei ritardi di comunicazione o eventuali black out tra gli astronauti e i medici a terra.

La nuova tecnologia potrebbe anche aiutare i soccorritori che si trovano lontano dagli ospedali, i medici sui campi di battaglia, o ricercatori bloccati in posti remoti come in Antartide.

CAMDASS è stato testato al Saint-Pierre University Hospital a Brussels in Belgio, con studenti di medicina, alla Croce Rossa belga e dal personale paramedico. Crediti ESA/Space Applications Service NV.

“Una volta messo a punto, il sistema potrebbe essere utilizzato anche come parte di un sistema di telemedicina per fornire assistenza medica a distanza via satellite” ha affermato Arnaud Runge, ingegnere biomedico che studia il progetto per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). “Potrebbe essere distribuito come uno strumento autosufficiente per i soccorritori”.

Fonte Space.com: http://www.space.com/14533-augmented-reality-astronauts-medicine.html

Sabrina

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Il mondo da lassu

L’astronauta Bruce McCandless ripreso dall’equipaggio dello Shuttle il 12 febbraio 1984 al di sopra dell’atmosfera terrestre. Crediti: NASA.

Ventotto anni fa l’astronauta della NASA Bruce McCandless (qui sopra) aprì lo sportello nel vano di carico dello Shuttle Challenger e fece la prima passeggiata spaziale, diventando il primo astronauta in orbita attorno alla Terra. La foto storica di questo evento è stata presa quando McCandless si trovava a 320 metri dall’orbiter, distanza che è pari alla lunghezza di un campo da football americano, o poco meno della larghezza della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

Il volo libero fu possibile grazie allo zaino con un motore a propulsione alimentato da azoto, chiamato Manned Maneuvering Unit (MMU). Fu attaccato alla tuta spaziale del sistema di supporto vitale e fu gestito da comandi manuali, consentendo l’accesso ad aree altrimenti inaccessibili dell’orbiter e fu utilizzato successivamente anche nel servizio di messa in orbita e recupero dei satelliti.

L’astronauta Dale Gardner mentre utilizza l’MMU durante la STS-51A missione Shuttle nel novembre 1984 per muoversi verso il satellite Westar VI. Crediti: NASA.

L’MMU utilizzò un propellente non inquinante a base di azoto che poteva essere ricaricato nell’orbiter. Pesava 140 chilogrammi e aveva una fotocamera integrata da 35 mm.

Dopo il disastro dello Shuttle Challenger del 28 gennaio 1986 l’MMU fu ritenuto troppo rischioso e fu mandato in pensione. Ma, per un breve periodo di tempo, l’umanità ha avuto davvero i mezzi per “un volo verso nuove vette”.

Fonte UniverseToday: http://www.universetoday.com/93528/far-above-the-world/

Sabrina

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Più veloci della luce. Anzi, no.

Neutrini, elusive particelle, prima più veloci della luce… Poi improvvisamente, “normalmente”, no.

I rilevatori dell'esperimento OPERA nel laboratorio del Gran Sasso (Crediti: Opera-experiment)

 

La fisica relativistica tira un sospiro di sollievo, l’incombenza scomoda di una nuova teoria é forse rimandata.

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnol … d5a4.shtml

A noi rimane un dubbio (e vi chiediamo cosa ne pensate): forse a correre “troppo” non sono i neutrini, ma i comunicati stampa? Era meglio qualche verifica in più, prima di pensare ad una fisica completamente nuova?

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L’astronauta Shannon Lucid si ritira

I sei astronauti della NASA mandati a bordo dello Space Shuttle Atlantis il 22 marzo 1996 per la STS-76 missione. Andando da sinistra a destra e dalla prima fila verso la seconda, troviamo gli astronauti Ronald M. Sega, specialista di missione; Kevin P. Chilton, comandante della misisone Richard A. Searfoss, pilota. Alle loro spalle, da sinistra vi sono gli specialisti di missione Michael R. (Rich) Clifford, Shannon W. Lucid, e Linda M. Godwin. Fonte: NASA: http://nix.larc.nasa.gov/info;jsessionid=h1ngg3dpfeksk?id=MSFC-9515822&orgid=11

Va in pensione una delle più famose astronaute americane, Shannon Lucid.

Shannon Lucid si è ritirata dalla sua attività alla NASA dopo oltre tre decenni di servizio come membro del primo gruppo di astronauti selezionati dalla NASA che aveva incluso anche equipaggio femminile per le misisoni spaziali.

Veterana con ben cinque voli spaziali a bordo dello Shuttle, Lucid ha registrato 223 giorni nello spazio dall’agosto 1991 al giugno 2007, detenendo il record femminile del maggior numero di giorni in orbita. E’ anche l’unica donna americana ad aver avuto un periodo di servizio a bordo della stazione spaziale russa MIR, vivendo e lavorando per più di 188 giorni, la più lunga permanenza di un astronauta americano su navicelle russe. Il suo record a bordo della MIR è rimasto imbattibile fino al 2006, superato dalla collega Suni Williams.

“Shannon è una donna e una ricercatrice straordinaria. Ha spianato la strada a molti di noi” ha affermato Peggy Whitson, Direttore dell’Ufficio Astronauti della NASA presso il Johnson Space Center di Houston. “Era un’astronauta modello per le missioni di lunga durata, e sia quando volava nello spazio sia quando serviva come CapCom, (Capsule Communicator, Communicatore di Capsula), durante le ore notturne per il nostro Shuttle e i membri della stazione spaziale, ha sempre portato un sorriso sulle nostre facce”.

Dopo aver conseguito un Dottorato di Ricerca in Biochimica, Lucid fu selezionata dalla NASA nel 1978. Entrò a far parte insieme ad altre cinque donne del primo gruppo femminile di astronaute dell’Agenzia Spaziale Americana. Le sue prime prime tre missioni Shuttle furono missioni di messa in orbita di satelliti. In particolare, la missione STS-51G del 1985 recuperò il satellite SPARTAN; la missione STS-34 in 1989 permise di mettere in orbita Galileo per l’esplorazione diGiove; mentre la STS-43 in 1991 fu utile per il quinto satellite del tipo Tracking and Data Relay Satellite (TDRS-E), la sua quarta missione Shuttle STS-58 in 1993 si focalizzò su esperimenti medici e su test di natura ingegneristica.

Lucid viaggiò a bordo dello Shuttle Atlantis per la missione STS-76 nel marzo 1996 (l’immagine di apertura mostra l’equipaggio della missione nella foto ufficiale), missione diretta verso la stazione spaziale russa, MIR. Compì numerosi esperimenti di scienze biologiche e fisiche durante il periodo in orbita. Tornò dalla stazione spaziale a bordo dello Shuttle Atlantis nella missione STS-79 nel settembre 2996.
Nel 2002 Lucid lavorò come ricercatore capo della NASA presso il Quartier Generale a Washington. Ritornò al Johnson nell’autunno del 2003 e riprese incarichi di tipo tecnico nell’Ufficio Astronauti. Servì come CapCom nel Mission Control Center per numerosi equipaggi dello Space Shuttle e della Stazione Spaziale Internazionale, rappresentando l’ufficio dell’equipaggio di volo e fornendo una voce amica per decine di amici e colleghi nello spazio.

Per una biografia completa di Shannon Lucid si veda: http://www.jsc.nasa.gov/Bios/htmlbios/lucid.html

Fonte NASA- Legendary Astronaut Shannon Lucid Retires from NASA: http://www.nasa.gov/home/hqnews/2012/jan/HQ_12-038_Lucid_Retires.html

Sabrina

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Chandra scopre cosa mangia il nostro buco nero…

Mettendo insieme una serie di osservazioni condotte nell’arco di diversi anni, la sonda Chandra della NASA ha raccolto diverse evidenze riguardo alcuni “lampi X” dall’oggetto Sagittarius A, il buco nero supermassivo che abita il centro della nostra Via Lattea. I lampi sono stati anche rilevati dal Very Large Telescope dell’ESO, in Cile.

Un recente studio fornisce una interessante spiegazione per questi misteriosi lampi. Il suggerimento è che esista una nuvola intorno a Sagittarius A, contenente la bellezza di centinaia di migliaia di miliardi tra asteroidi e comete, che sarebbero stati strappati dalle loro stelle di origine. Nella figura qui sotto (cliccare per vederla in formato più grande), il pannello di sinistra rappresenta una immagine ottenuta tramite circa un milione di secondi di osservazione di Chandra nella regione intorno al buco nero: in rosso i raggi X di energia più bassa, verdi i raggi X di energia media e in blu i più “duri”.

La zona con il buco mero supermassivo al centro della Via Lattea. Crediti: X-ray: NASA/CXC/MIT/F. Baganoff et al.; Illustrations: NASA/CXC/M.Weiss

Un asteroide che subisce un incontro ravvicinato con un altro oggetto, tipo stella o pianeta, può finire in una orbita intorno a Sagittarius A, come mostrato in una serie di illustrazioni artistiche sulla destra dell’immagine. Se capita poi che (lo sventurato) l’asteroide passi a circa 160 milioni di chilometri dal buco nero, la sua sorte probabile è di essere ridotto a bricioline dalle forze mareali che agiscono per la presenza del buco nero.

I frammenti poi sarebbero vaporizzati per frizione quando passano attraverso il gas caldo che viaggia verso il buco nero. Il loro destino è ormai segnato: rimane solo la possibilità di un ultimo “lampo” quando i frammenti sono ingeriti dal buco nero: ecco dunque la probabile spiegazione dei lampi X.

Si può condurre una interessante similitudine, a riprova che fenomeni simili avvengono anche su scale molto diverse. Consideriamo che una volta ogni tre giorni circa, scompare una cometa perché viene “digerita” dal nostro Sole… nonostante le differenze significative tra i due ambienti (il buco nero supermassivo è grande circa 3,7 milioni di volte il Sole!), il tasso di distruzione  di comete ed asteroidi da parte della nostra stella e di Sagittarius A, sembra sorprendentemente simile…!

Chandra Press Release

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