Blog di Marco Castellani

Mese: Maggio 2012 Page 1 of 2

Nell’ombra della Luna


LRO è stato puntato quattro volte verso la Terra durante l’eclisse solare del 20-21 maggio 2012; da questo punto di vista l’ombra della Luna si vede mentre passa sopra le Isole Aleutine. Crediti immagine E192199689L, NASA/GSFC/Arizona State University. Ingrandimento: http://lroc.sese.asu.edu/news/uploads/eclipse2_annotated.sm2.png

Un’eclisse solare si verifica, per un osservatore sulla Terra, quando la Luna passa tra il Sole e la Terra. Questo allineamento si traduce in un’ombra della Luna, che viene proiettata sulla superficie della Terra sottoforma di un piccolissimo cono e la punta di questo cono si muove sulla nostra superficie. Per tutte le popolazioni interessate da quell’ombra l’eclisse può essere parziale, anulare o totale. Nel primo caso, il disco della Luna nasconde parzialmente quello del Sole; nel secondo caso attorno alla Luna resta visibile un anello luminoso solare; nel terzo caso la Luna copre totalmente il disco del Sole.

In un’eclisse anulare, come quella che si è verificata il 20-21 maggio 2012 sulla Terra, l’apparente dimensione della Luna è più piccola di quella del Sole, per cui gli osservatori terrestri osservano un anello luminoso o anulare del Sole attorno alla Luna. Che tipo di eclisse si possa sperimentare, se totale o anulare, dipende da dove la Luna si trova nella sua orbita. L’orbita della Luna non è perfettamente circolare, di conseguenza in alcuni casi il nostro satellite è più vicino alla Terra e più grande nel cielo (e avviene unì’eclisse totale) e qualche volta è più lontana dalla Terra e più piccola nel cielo (e avviene un’eclisse anulare).


Fotografia di un’eclisse anulare ripresa da Kanarraville, Utah, il 20 maggio 2012 di E. Speyerer.

A cosa può assomigliare un’eclisse solare sulla Terra osservata dalla Luna? La camera Lunar Reconnaissance Orbiter Camera LROC NAC a bordo di LRO ha catturato quattro inmmagini della Terra, due in due successive orbite durante l’eclisse del 20-21 maggio scorso. L’immagine qui sopra mostra l’eclisse osservata sulle Isole Aleutine mentre, qui sotto, un’immagine ripresa un po’ prima quando l’ombra della Luna stava passando sopra il Giappone.


La prima di quattro immagini catturate dalla Camera NAC a bordo di LRO durante l’eclisse anulare di Sole del 20-21 maggio 2012 mentre l’ombra della Luna passava sopra il Giappone. Crediti: Immagine NAC E192192490L, NASA/GSFC/Arizona State University.

LROC NAC non è in grado di acquisire facilmente immagini della Terra e l’acquisizione di queste ha richiesto una notevole pianificazione. La Camera NAC è una sorta di scanner formato da una fila di 5064 pixel per camera. Invece di scattare un singolo fotogramma, l’immagine è costruita dal movimento del veicolo spaziale in orbita attorno alla luna (circa 1600 metri al secondo). Per ottenere un’immagine della Terra la sonda è stata ruotata di 180° per seguire l’evoluzione nel tempo del fenomeno.

Due dei fotogrammi nell’immagine animata (cliccare sull’immagine per visualizzare il movimento) qui sotto sono leggermente tagliati perchè i tempi di LRO non erano perfetti e la camera NAC è fuoriuscita dal campo prima di completare la scansione.

Quattro immagini raccolte dalla LROC NAC durante l’eclisse solare del 20-21 maggio 2012. hanno permesso di realizzare questo video, raccolte a gruppi di due in due successive orbite. Crediti Immagini NAC E192192490L, E192192869L, E192199689L, E192200072L, NASA/GSFC/Arizona State University.



Uno zoom sull’ombra della Luna durante l’eclisse solare. Crediti immagine NAC E192199689L, NASA/GSFC/Arizona State University.

Fonte Lunar Reconnaissance Orbiter Camerra (LROC): http://lroc.sese.asu.edu/news/index.php?/archives/576-In-the-Shadow-of-the-Moon.html .

Sabrina

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Il countdown del transito di Venere sul Sole è iniziato

Gli scienziati hanno utilizzato l’Hubble Space Telescope per osservare la Luna per le speciali osservazioni del transito di Venere sul Sole del 2012. Crediti: NASA, ESA e D. Ehrenreich (Institut de Planetologie et d’Astrophysique de Grenoble (IPAG)/CNRS/Universite Joseph Fourier.

Il moto di Venere sul disco del Sole, dal nostro vantaggioso punto di vista sulla Terra, è un evento così raro che gli astronomi e gli osservatori in tutto il mondo lo stanno preparando da anni. Il prossimo transito di Venere sul disco solare è in programma per il 5-6 giugno 2012.

Un osservatorio privilegiato che si può dire trovarsi letteralmente “intorno al mondo” è l’Hubble Space Telescope, che è stato programmato per compiere osservazioni di questo evento.

Hubble Space Telescope non può essere puntato verso il Sole perchè comporterebbe il danno totale di tutta la strumentazione. E a causa di questo, i ricercatori stanno progettando di puntarlo verso la Luna, utilizzandola come specchio per catturare i raggi riflessi del Sole e isolare la piccola frazione di luce che passa attravero l’atmosfera di Venere. Impresse su questa piccola quantità di luce vi sono le impronte digitali dell’atmosfera del pianeta.

I ricercatori affermano che queste osservazioni verranno a sfruttare una tecnica simile a quella che è già utilizzata per campionare le atmosfere dei pianeti giganti al di fuori del nostro sistema solare quando essi passano di fronte alle loro stelle eclissandola Nel caso delle osservazioni del transito di Venere già si conosce la composizione chimica dell’atmosfera di Venere e si sa anche che questa non dà segni della presenza di vita sul pianeta. Il transito di Venere verrà utilizzato per testare se questa tecnica avrà una possibilità di rilevare le impronte digitali molto deboli dei pianeti simili alla Terra, anche quelli che potrebbero ospitare vita al di fuori del nostro Sistema Solare mentre transitano davanti alla loro stella.

Venere è un supporto eccellente per la Terra perchè molto simile in dimensione e in massa al nostro pianeta.

Diversi strumenti a bordo di Hubble verranno utilizzati per questa speciale osservazione: l’Advanced Camera for Survey (ACS), la Wide Field Camera 3 (WFC3) e lo Space Telescope Imaging Spectrograph (STIS) per l’osservazione in una vasta gamma di lunghezze d’onda che vanno dall’ultravioletto (UV) al vicino infrarosso (Near-IR). Durante il transito l’Hubble verrà a fare immagini e spettroscopia, scomponendo la luce solare nelle sue differenti lunghezze d’onda e dunque di colore, che potranno fornire informazioni sulla composizione dell’atmosfera di Venere.

Hubble osserverà la Luna per parecchie ore, prima, durante e dopo il transito, in modo che i ricercatori potranno comparare i dati. Inoltre, sarà necessario una lunga osservazione dato che si andranno a ricercare le firme spettrali estremamente deboli. Solo 1/100 000 della quantità di luce solare verrà filtrata attraverso l’atmosfera del pianeta e verrà ad essere riflessa dalla Luna.

Poichè gli astronomi avranno solo un unica occasione per osservare il transito, dovranno pianificare con cura come effettuare lo studio. Parte dei loro programmi includevano le osservazioni sperimentali della Luna, come per esempio quando essi hanno fatto le immagini del Cratere Tycho.

Hubble avrà bisogno di essere posizionato sulla stessa posizione della Luna per più di sette ore, ossia per tutta la durata del transito. Per circa 40 minuti dei 96 minuti dell’orbita dell’Hubble Space Telescope intorno alla Terra, la Terra occulta la vista di Hubble della Luna. Per questo, durante le osservazioni sperimentali i ricercatori hanno voluto essere sicuri di poter puntare Hubble nella medesima area presa in considerazione.

Questa è l’ultima volta che il transito di Venere su disco solare sarà possibile essere osservato da Terra. La prossima volta capiterà solo nel 2117. Transiti di Venere si verificano in coppia, serapati da otto anni ciascuno. L’ultimo evento è avvento nel 2004.

Altre informazioni sono disponibili su Hubble Site: http://hubblesite.org/newscenter/archive/releases/solar-system/venus/2012/22/ e su UniverseToday: http://www.universetoday.com/94984/venus-transit-the-countdown-is-on/

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Io, un satellite dai molteplici vulcani

L’attività vulcanica ripresa dalla sonda Galileo della NASA nel 1997. Crediti NASA/JPL/Galileo.

Due eruzioni vulcaniche sono visibili in questa immagine su Io, uno dei quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo Galilei il 7 gennaio 1610. Qui sono visibili in una immagine composita ottenuta dalla sonda Galileo quando era in orbita intorno a Giove tra il 1995 e il 2003. Nella parte superiore della foto oltre il limbo di Io, un pennacchio si alza di circa 140 chilometri al di sopra della sua superficie, nella caldera famosa come Pillan Patera.

Al centro, in prossimità della linea di separazione tra la notte e il giorno, si osserva un pennacchio a forma di anello, quello di Prometeo, che sta sorgendo a circa 75 chilometri al di sopra di Io mentre proietta un’ombra sotto la bocca vulcanica. Chiamato con il nome greco della divinità che ha dato fuoco ai mortali, il pennacchio Prometeo è visibile in ogni immagine ottenuta durante il flyby della sonda Voyager nel 1979, e fa ritenere che questo vulcano sia rimasto attivo per almeno 18 anni. L’immagine qui sopra in formato digitale è stata ottenuta il 28 giugno 1997 da una distanza di circa 600 mila chilometri.

La luna galileiana più vicina a Giove, ha una superficie che è priva di crateri d’impatto anche se ha una superificie rocciosa e solida. La superficie è molto giovane per il fatto che le tracce di questi impatti sono state cancellate completamente dalla lava fuoriuscita da questi vulcani.

Con una densità e una dimensione molto vicine a quelle della nostra Luna, Io è  sicuramente il satellite più attivo da un punto di vista geologico in tutto il sistema solare. Sono stati osservati molti vulcani sulla sua superficie e tutti i suoi crateri sono di origine vulcanica. E’ così attivo nonostante le sue ridotte dimensioni a causa dell’enorme forza che sperimenta dal suo pianeta, Giove.

Anche se si trova più o meno alla stessa distanza alla quale si trova la Luna dalla Terra, Io sperimenta forze mareali molto più forti di quelle lunari perchè Giove è 300 volte più massiccio della Terra, tanto che la superficie rocciosa di Io ha dei movimenti di rigonfiamento e sgonfiamento di circa 100 metri. Inoltre, impiega circa 1,77 giorni per fare un’orbita completa intorno a Giove, rispetto ai 27,3 giorni terrestri che impiega la nostra Luna.

L’orbita di Io viene mantenuta circolare dall’azione gravitazionale della sua vicina luna, Europa, e da Ganimede, che è più distante. Io, Europa e Ganimede hanno delle orbite definite risonanti, di tipo 4:2:1, ossia per ogni quattro orbite di Io, Europa descrive due orbite mentre Ganimede ne descrive una.

Un satellite sperimenta differenti forze mareali (vedi immagine qui sopra) a causa della sua orbita di forma ellittica. Più vicino si trova il satellite al suo pianeta, più queste forze diventano importanti e il rigonfiamento maggiore. La variazione delle maree produce un riscaldamento per frizione all’interno del satellite. Le frecce indicano l’intensità della gravità proveniente dal pianeta dal lato vicino e da quello lontano della luna Io. Le maree sono dovute alle differenze nella forza di gravità che agisce su un oggetto. Il piccolo cerchio in verde chiaro mostra come il rigonfiamento mareale si sposta rispetto ad una particolare posizione sulla Luna Io.

Io e sullo sfondo il pianeta Giove. Crediti NASA/JPL.

Sebbene il riscaldamento dell’interno del satellite a causa delle forze mareali è un risultato significativo del fatto che le lune del pianeta Giove rivelino un’attività geologica, non è l’unico motivo di questa attività. Il riscaldamento mareale non può spiegare tutta l’attività osservata su alcune delle lune ghiacciate di Giove. Altri meccanismi, come le forze trasversali rotazionali da un asse di rotazione oscillante possono giocare un ruolo importante. In definitiva, la composizione delle lune ghiacciate fanno la differenza. I ghiacci sono in grado di deformarsi e sciogliersi a temperature più basse rispetto alle rocce metalliche e ai silicati trovati nei pianeti terrestri interni e nelle loro lune.

Giove in fase crescente insieme alla sua luna, Io. Crediti NASA/JPL.

Fonte immagine: http://www.astronomynotes.com/solarsys/s14.htm

Fonte NASA Gallery: http://www.nasa.gov/multimedia/imagegallery/image_feature_758.html

Sabrina

 

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Non è proprio così blu il nostro pianeta Terra

Tutta l’acqua sulla Terra potrebbe essere raccolta in una sfera di 1 385 chilometri. Crediti: Jack Cook/WHOI/USGS.

Se si raccogliesse tutta l’acqua sulla Terra, l’acqua dolce, l’acqua salata, l’acqua nelle falde, il vapor acqueo e l’acqua dentro ai nostri corpi, in modo da sistemarla entro una grande sfera, questa sfera avrebbe dimensioni sicuramente inferiori rispetta a quanto abbiamo immaginato finora.

Secondo l’U. S. Geological Survey, sarebbe necessaria una palla di 1 385 chilometri di diametro circa per poter raccogliere tutta l’acqua sulla sua superificie. Questo significa che la sfera blu che contiene tutta la nostra acqua sarebbe meno di un terzo delle dimensioni della Luna.

Sappiamo che non esiste la possibilità di utilizzare nè di bere tutta l’acqua della Terra, come lo è l’acqua salata o il vapor acqueo in atmosfera, o l’acqua racchiusa nelle calotte polari. In effetti, se si dovesse prendere in considerazione solo l’acqua dolce della Terra, che è circa il 2,5% del totale, si otterrebbe una sfera molto più piccola, meno di 160 chilometri.

Quando pensiamo ai serbatoi, quali i laghi o i fiumi, questi sono per la maggior parte sotto la superficie – fino a circa 8,4 milioni di chilometri cubi. Si tratta di acqua fresca a disposizione della Terra, e tutta sotterranea. Ma la stragrande maggioranza, oltre 29,2 milioni di chilometri cubici di acqua, è sottoforma di lastre di ghiaccio che ricoprono l’Antartide e la Groenlandia.

Naturalmente, l’immagine di apertura realizzata da Jack Cook del Woods Hole Oceanographic Institution smentisce la reale dimensione e la massa di una tale sfera di acqua pura allo stato liquido qual è sempre stata considerata la Terra. La quantità totale di acqua contenuta all’interno sarebbe ancora abbastanza impressionante, ben oltre 1 386 milioni di chilometri cubici. Inoltre, la gente tende ad essere sorpresa dalla dimensione di una tale ipotetica sfera confrontata con con il nostro pianeta, che viene inteso come il tutto, specialmente quando si viene a descrivere la Terra come un “mondo blu, ricco di acqua”.

Per ulteriori informazioni si visiti il sito dell’USGS (U.S. Geological Survey) -Water Science for Schools – How much water is there on, in, and above the Earth? su: http://ga.water.usgs.gov/edu/earthhowmuch.html
Ulteriore fonte, UniverseToday: http://www.universetoday.com/95054/earth-has-less-water-than-you-think/

Sabrina 

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Catturato in flagrante…

Crediti: NASA, S. Gezari (The Johns Hopkins University), e J. Guillochon (University of California, Santa Cruz).

Questa immagine ottenuta da una simulazione con il computer mostra il gas emesso da una stella che viene squarciata dalle forze mareali mentre cade dentro un buco nero. Alcuni dei gas inoltre vengono espulsi ad alte velocità nello spazio.

Utilizzando le osservazioni dai telescopi spaziali e da quelli terrestri i ricercatori hanno raccolto la prova più diretta dell’evidenza di questo violento processo: un buco nero supermassiccio che sta squarciando una stella che si trovava troppo vicina. I telescopi orbitanti Galaxy Evolution Explorer (GALEX) della NASA e Il Pan-STARRS 1 sulla sommità di Halaakala alla Hawaii sono stati utilizzati per aiutare a identificare i resti stellari.

Un flare nell’ultravioletto e nell’ottico ha mostrato la caduta del gas in un buco nero e anche il gas, arricchito in elio, che veniva espulso dal sistema. Quando la stella si è lacerata, un po’ del materiale è caduto nel buco nero, mentre la parte rimanente è stato eiettata ad altissima velocità. Il flare e le sue proprietà forniscono una firma di questo scenario e dei dettagli, senza precedenti, sulla vittima stellare.

Per escludere completamente la possibilità di un nucleo attivo nella regione centrale della galassia, il team ha utilizzato Chandra X Ray Observatory della NASA per studiare il gas caldo. Chandra ha mostrato che le caratteristiche del gas non corrispondevano a quelle di un nucleo galattico attivo.

La galassia il cui buco nero supermassiccio ha squartato la stella mentra transitava è nota come PS1-10jh e si trova a circa 2,7 miliardi di anni luce dalla Terra. I ricercatori stimano che il buco nero in PS1-10jh ha una massa di parecchi milioni di masse solari, che è confrontabile con il buco nero supermassiccio della nostra galassia.

Crediti: NASA, S. Gezari (The Johns Hopkins University), e J. Guillochon (University of California, Santa Cruz).
Fonte Chandra X Ray Observatory: http://www.chandra.si.edu/photo/2012/ps1/ e NASA – Black Hole Caught Red-handed in a Stellar Homicide: http://www.nasa.gov/mission_pages/chandra/multimedia/ps1.html

Sabrina

 

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Moglie, felicità e cedevolezza

Andiamo subito al punto. Per me, per il punto in cui sono, per la mia età, per tante cose, è diventato importante, prioritario, capire l’importanza della famiglia. 

Hai presente, il tipo di cose che tu dai per scontato e quindi corri rischi. Come sempre quando dai per scontato qualcosa, lo riduci, lo interpreti parzialmente. Soprattutto, blocchi quello scambio fecondo tra ciò che hai ridotto e la tua interiorità, la tua anima. E non sto parlando del rischio di essere moralmente ineccepibili anche come sposo o genitore (con le propre forze soltanto, del resto, è impossibile). Non si tratta di non sbagliare. Parlo del rischio ben più grande di trascorrere gli anni senza gioire abbastanza di quanto si ha, senza rallegrarsi della bellezza di una lenta costruzione, di un cammino da fare insieme. Più lenti o più veloci,  candendo e rialzandosi. Non è il problema.

kissing shadows
Kissing Shadows, by -clo

Il rischio per me è un altro. Rischio di guardare mia moglie come una persona che può compiere il mio desiderio. Necessaria e sufficiente, diciamo, a farmi sentire bene.

Spesso cado in quest’atteggiamento mentale. E sbatto presto contro un muro, perché (come poi devo capire) sto forzando la realtà e le persone in una interpretazione errata. Allora la mia delusione è dietro l’angolo. Tutto perché guardo la mia sposa nel modo sbagliato, con una pretesa. Senza arrendermi al fatto che lei sia segno.


“Se ciascuno non incontra ciò a cui il segno rimanda, il luogo dove può trovare il compimento della promessa che l’altro ha suscitato, gli sposi sono condannati a essere consumati da una pretesa dalla quale non riescono a liberarsi, e il loro desiderio di infinito, che nulla come la persona amata desta, è condannato a rimanere insoddisfatto.” diceva Juliàn Carròn qualche anno fa.
Rilke lo dice proprio bene: Questo è il paradosso dell’amore fra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con due limiti; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno.


Una pienezza delle quale l’altro è segno. Solo questo può essere degna continuazione dell’estasi dell’innamoramento, limitata per sua natura. Solo questo posso ragionevolmente accettare in un rapporto che dura nel tempo: una pienezza maggiore. Non ho proprio voglia di accontentarmi di qualcosa di meno.

La buona notizia è che questo mi fa capire come affidarsi (cedere, attratti da questa prospettiva di pienezza… invece che logorarsi i muscoli e la volontà nel tentare di essere buoni o all’altezza o non fare sbagli), non è qualcosa di astratto, ma è qualcosa che ha molto, molto a che vedere con la felicità. Anche quella coniugale.


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Vita extraterrestre? Forse, ma…

Per molti di noi cresciuti ascoltando Carl Sagan,  guardano le sonde spaziali robotizzate muoversi su altri mondi, e allo stesso tempo, indulgendo in libri di fantascienza o film, è un dato di fatto: un giorno troveremo la vita da qualche altra parte del nostro sistema solare e nell’universo.

Ma siamo troppo ottimisti?

Due ricercatori,  Edwin Turner della Princeton University e David Spiegel dell’Institute for Advanced Study affermano che le nostre speranze e le nostre aspettative di trovare ET potrebbero essere basate più sull’ottimismo che su prove scientifiche e le recenti scoperte di pianeti extrasolari, che potrebbero essere simili alla nostra Terra, stanno portando più in alto le nostre speranze.

L’astrofisico Edwin Turner e il ricercatore David Spiegel affermano che l’idea che la vita si possa sviluppare in un altro ambiente simile alla Terra ha solo una piccola possibilità di avvenire. Le prove a sostegno di questa ipotesi sono scarse, la maggior parte sono estrapolate da ciò che si conosce sugli studi della comparsa della vita sulla Terra primordiale. La ricerca di questi due scienziati porta ad affermare che le aspettative che la vita si possa presentare su ipotetici esopianeti è in gran parte basata sull’assunzione che si debbano presentare le medesime condizioni che si sono presentate sulla Terra miliardi di anni fa all’atto della formazione del nostro pianeta.

Utilizzando un’analisi Bayesiana, che pesa quanto una conclusione scientifica derivi da dati reali e quanto derivi dalle ipotesi precedenti del ricercatori, i due studiosi hanno concluso che la conoscenza attuale della vita su altri pianeti porta a ritenere che la Terra possa essere un’aberrazione cosmica, dove la vita ha preso forma in modo inspiegabilmente veloce. Se fosse così, allora la probabilità che un pianeta di tipo terrestre possa ospitare forme di vita è piuttosto basso.

“Evidenze fossili suggeriscono che la vita iniziò molto presto nella storia della Terra e ciò ha portato le persone a stabilire che la vita possa essere piuttosto diffusa nell’universo perchè si è manifestata così in fretta qui, ma la conoscenza della vita sulla Terra semplicemente non ci rivela molto sull’attuale probabilità di vita su altri pianeti” ha affermato Turner.

Di conseguenza, se un ricercatore parte dal presupposto che le possibilità di vita esistente su un altro pianeta siano grandi quanto quelle sulla Terra, allora i risultati scientifici saranno tali da supportare tale assunzione, ha continuato Turner.

“C’è un’argomentazione che spesso si sente e che afferma che la vita deve essere comune, altrimenti non si sarebbe presentata così in fretta dopo che la superficie terrestre si raffreddò” ha affermato Joshua Winn del Massachusetts Institute of Technology. “Questo argomento sembra convincente da una parte, ma Spiegel e Turner hanno mostrano che non regge ad un esame rigoroso da un punto di vista statistico. Con un campione di un solo pianeta abitabile non si può in effetti ottenere una stima corretta su quanto riguarda l’abbondanza della vita nell’universo”.

E’ vero che la scienza si basa sui fatti e non sulle nostre percezioni o sensazioni visceerali. Ma c’è una forte argomentazione basata sul fatto che abbiamo bisogno di essere ispirati per fare meglio, per essere coinvolti anche nella scienza. Lo scrittore Andrew Zimmerman Jones ha scritto che moltissimi scienziati sono stati spronati a scegliere la loro carriera nella scienza perchè da piccoli la fantascienza li aveva guidati in quella direzione.

“La fantascienza più bella si ispira dalle stessa cosa che ha ispirato le più grandi scoperte scientifiche negli anni, l’ottimismo e il futuro” ha scritto Jones.

E forse questo è quello che, in gran parte, sta dietro le nostre speranze nel trovare ET: l’ottimismo e il futuro della razza umana, che un giorno potremo davvero viaggiare verso altri mondi e trovare nuovi amici, per esplorare strani mondi, alla ricerca di nuova vita e di nuove civiltà, fino ad arrivare là dove nessuno è arrivato prima”.

Turner e Spiegel affermano di non voler dare giudizi, ma solo fare un’analisi dei dati esistenti che suggeriscono che il dibattito sull’esistenza di forme di vita su altri pianeti è incominciato in gran parte dalle ipotesi precedenti di altri protagonisti.

Potrebbe essere che la vita sia nata sulla Terra in un certo modo e che si sia presentata in modi differenti su altri (se si è presentata su altri). Naturalmente, il modo migliore per scoprirlo è di cercare. Ma non penso che lo sapremo discutendo il processo di come la vita sia nata sulla Terra”.

Articolo originale: David S. Spiegela e Edwin L. Turnerb, Bayesian analysis of the astrobiological implications of life’s early emergence on Earth, doi: 10.1073/pnas.1111694108 PNAS January 10, 2012 vol. 109 no. 2 395-400 ; disponibile su: http://www.pnas.org/content/early/2011/12/21/1111694108.abstract

Fonte UniverseToday: http://www.universetoday.com/94838/we-really-hope-et-is-out-there-but-theres-not-enough-scientific-evidence-researchers-say/#more-94838

 

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Quando fuori piove…

Fuori piove, ascolto smooth jazz negli auricolari. A casa le persone sono dietro le varie attività, computer, televisioni. Vedo gocciolare dalla finestra. Davanti al mio naso, non molti metri in linea d’aria, c’è un bel pino grande. Sta in silenzio, assorbe l’acqua che gli cade addosso. Oserei dire che è contento.
Alle volte sono nervoso, teso. Misteriosamente. Spesso lo sono in molti, del resto. Chissà perché mi viene in mente di nuovo, che la conversione non è, come avevo spesso immaginato, uno sforzo morale o ascetico, un nuovo obiettivo da raggiungere, un salire. Ora mi viene in mente, come mi veniva in mente qualche tempo fa, che è un nuovo modo di guardare, più rilassato, tranquillo, benevolente. Uno scendere. Come quando sai che non tocca a te di fare tutto, di sistemare tutto quanto. Tranquillo, mi dico: non tocca a te sistemare nemmeno te stesso.

Rain Texture


Ridurre la fede ad etica, a morale, è quanto di più pericoloso ci sia per il cuore dell’uomo. Poi non si capisce più nulla, basta vedere (o immaginare) che un uomo noto (magari un politico) dichiaratamente cattolico, sbagli, e subito si grida allo scandalo. 
Perdendo di vista che la partita che ci interessa non è innanzitutto per la moralità, la partita vera e decisiva è per la felicità. 

Soprattutto non si capisce che la fede non è un’ennesima sovrastruttura, qualcosa per fissati. Ma è qualcosa per gente che si vuole davvero godere la vita, attimo per attimo. E siamo sempre in viaggio, sempre soggetti ad errori. Ma la strada è bella, e non è definita dagli errori. Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e siamo felici di poterlo percorrere”, come dice Carron nella bella lettera a La Repubblica del primo maggio.
Fuori piove e io (ri)scopro, che se porto intorno questo sguardo, questa coscienza più tenera e rispettosa di quanto esiste dentro e fuori di me, sono meno nervoso, meno teso. Mi piacerebbe essere così, come un albero che aspetta il sole e la pioggia, e respira. 
Questioni di essere presi in braccio, alla fine. Come la frase di Sant’Ambrogio che era cara a Don Giacomo Tantardini, che tanto ha insistito, fino alla fine, sulla semplicità della fede.

Vieni dunque, Signore Gesù… Vieni a me, cercami, trovami, prendimi in braccio, portami. 

Quando comprendiamo che abbiamo davvero bisogno di essere portati in braccio, possiamo vedere accadere miracoli. E’ quando finalmente cediamo ad un Altro, che comincia lo spettacolo.
E’ molto più bello essere cercato dalla Verità, che cercarla. Credere è ammettere di poter essere cercati, in fondo. Questo ribalta tutta la questione. Cambia il verso della freccia. Ci permette una salutare passività. Non oziosa, ma contemplativa. Come davanti ad una cosa bella.

Che bello quello che ha detto Carròn ai funerali“don Giacomo ci ha testimoniato la bellezza dell’essere cristiano e ha trascinato tanti di noi dietro di lui. “

L’albero davanti a me. Ecco. Un albero non si giudica, per esempio. Vive e respira. Le radici ben piantate nella terra, sa cosa lo tiene in piedi. Io non giudico nessuno, nemmeno me stesso esortava tanti anni fa Don Luigi Giussani. 
Rileggo. Volevo dare a questo post un’atmosfera, un senso meno diretto, più allargato, errante. Un procedere in linea curva, docile, non rettilineo. Come pensieri durante un giorno di pioggia… Non so se ci sono riuscito, alla fine mi faccio prendere la mano, cerco istintivamente di trovare una tesi e dimostrarla… e non è quello che conta, non contano le parole. 
Anzi, alle volte ci vuole un vuoto di parole, uno spazio di silenzio.
Perché conta questo, la dolcezza del cuore, quando si sente grato.

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