Mi sono deciso, alla fine. Sono due giorni che vengo al lavoro ascoltando New Blood, il disco dove Peter Gabriel ha scelto di incidere alcune sue celebri canzoni presentandole in chiave orchestrale.
Davanti a questo progetto sono abbastanza in bilico. Mi piace la musica sinfonica, adoro il tardo romanticismo e sono folle di amore e ammirazione per Gustav Mahler e per Anton Brucker. Per dire, insomma, che l’orchestra non mi spaventa.
Eppure per qualche motivo, rimango un pò interdetto. Faccio due premesse: una è che, nel panorama musicale odierno, ogni nota che esce da un disco come questo è comunque mirabile. La seconda, è che magari con ascolti ripetuti verrò a rivedere alcune mie impressioni (non ne sono certo, ma è possibile).
Certe rivisitazioni mi sembrano più riuscite. Ad esempio, la versione di Digging in the Dirt è proprio bella. L’orchestra ci sta bene, l’arrangiamento è veramente godibile. Non l’avrei detto, visto il tipo di canzone. Anche quel capolavoro sublime che è Darkness ne esce bene, proprio bene.
D’altra parte, Don’t Give Up ha questa Ane Brun alla voce, che (chiedo venia) mi fa gemere di nostalgia per la versione con la mia amata Kate Bush. Forse non ho colto la scelta interpretativa, ma questa voce tremula non mi riesce proprio a conquistare. Insomma, se dici Don’t Give Up, se esorti a non cedere, non è che puoi dirlo (penso io) con una voce che già sembra instabile di per sè. Devi essere esortativo, affermativo, ti ci devi buttare. 
Su Red Rain, lì crollo completamente. A metà brano mi assale una voglia irresistibile di ascoltare la versione originale, con lo stupendo crescendo ritmico di Jerry Marotta. Il problema è che mi manca troppo. Eccola.

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