Blog di Marco Castellani

Giorno: 19 Luglio 2012

Il bosone di Higgs e la fede

Chiamato impropriamente “La particella di Dio” (per chi crede tutte le particelle potrebbero fregiarsi di tal nome…), il bosone di Higgs ha portato più persone ad interrogarsi sulle relazioni, sugli incroci, tra la ricerca scientifica e la fede.
Al proposito un articolo breve ma interessante è quello apparso su ilsussidiario.net a firma di Lorenzo Albacete.
Mi pare significativo in particolare un brano dell’intervista, laddove si dice che La fede cattolica della creazione non parla di cosa è successo nel Big Bang, ma di ciò che sta accadendo ora, come siamo creati dal nulla in ogni momento della nostra vita.”
In questo senso, la scoperta di una particella di per sè non ci dice niente sull’esistenza di realtà “extrascientifiche”. La scienza non si sostituisce all’atto di libertà e onestà intellettuale che può portare alla fede. Dio rispetta la nostra libertà e non ci “obbliga” con risultati scientifici. 
La scienza è il mio lavoro, e negli anni ho avuto anche  l’immeritato privilegio di incontrare scienziati piuttosto noti. E ne ho visti – ne vedo – di credenti e non credenti. Insomma gli scienziati “mappano” all’interno della loro comunità le stesse opzioni di libertà dell’umano sentire, che si trovano nella più vasta assemblea umana. La scienza non forza nessuno: ciò non toglie che per il credente questa sua fede possa essere uno stimolo alla ricerca. Continua infatti l’intervista “ci meravigliamo con timore reverenziale del mistero di Cristo. Egli è il centro dell’universo. Il timore suscitato in noi da questa convinzione di fede risveglia e sostiene la nostra esplorazione scientifica della bellezza che ci circonda.”
Altresì mi pare che alcuni scienziati dichiaratamente (e talvolta veementemente) agnostici, al di là del loro valore di scienziati, non facciano un buon servizio alla scienza cercando di supportare la propria visione del mondo con questo o quel risultato cosmologico (penso ad esempio a certe prese di posizione di Stephen Hawking, o di Margherita Hack, tanto per rimanere in ambito astronomico). 
Con buona pace di tutti, credenti e non credenti, la scienza e la fede corrono su binari diversi. La scienza non mi dice perché è importante vivere e perché la mia vita è unica. Non mi dice se sono nel mondo per un compito. Mi dice come è fatto e come funziona l’universo che mi circonda. Forzarla a rispondere a domande per le quali non è nata, è semplicemente un errore e come tale non aggiunge niente alla vera conoscenza. Sarebbe come – dall’altra parte – pretendere che la Bibbia fornisse una descrizione fisica precisa del mondo – non è quello il suo intento.
Eppure all’incrocio tra scienza e fede c’è tanto da imparare. Basta attraversarlo con atteggiamento umile e senza pregiudizi, con tanta voglia di capire. E tanto stupore per il mondo, così come è, per il fatto stesso che esiste. E che esistiamo noi, che lo possiamo comprendere.

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La Luna per Armostrong: “Una desolata bellezza tutta sua”

La migliore immagine ottenuta dalla Lunar Reconnaissance Orbiter Camera (LROC) del sito di atterraggio dell’Apollo 11. I resti dei primi storici passi degli astronauti Armstrong e Aldrin sulla superficie della Luna sono visibili come percorsi scuri intorno al Lunar Module (LM, Modulo Lunare), al Lunar Ranging RetroReflector (LRRR) e al al Passive Seismic Experiment Package (PSEP), strumentazione utile per effettuare rilevazioni sismiche sul suolo lunare oltre ai percorsi per e da al Cratere Little West. Crediti: LROC M175124932R [NASA/GSFC/Arizona State University].

Questa immagine del sito di allunaggio dell’Apollo 11 è stata ottenuta da una altezza di soli 24 chilometri e fornisce la migliore ripresa di LRO della prima avventura dell’umanità su un altro mondo. Quando Neil Armstrong lasciò le sue prime impronte sul suolo lunare osservò il suolo. “Sì, la superficie è sottile e polverosa” (“Yes, the surface is fine and powdery.”) Fissando l’orizzonte piatto, si soffermò ad ammirarme il paesaggio, vista meravigliosa, disse. (“Isn’t that something! Magnificent sight out here.”).

Dopo aver raccolto un numero consistente di campioni di rocce, Neil Armstrong si guardò intorno e notò che il paesaggio “ha una bellezza desolante tutta sua, è molto più del grande deserto degli Stati Uniti. E’ diverso, ma è davvero grazioso qui fuori”. Qualche minuto più tardi Buzz Aldrid discese la scaletta e raggiunse Neil Armostrong.

Si possono osservare ciò che rimane dei loro primi passi come regioni scure intorno al Lunar Module (LM, Modulo Lunare) e nelle tracce scure che portano alla strumentazione scientifica che gli astronauti avevano sistemato poco lontano. Il Passive Seismic Experiment Package (PSEP) fornì i primi dati della sismicità della Luna, inviando a terra i dati tre settimane più tardi dopo che gli astronauti lo avevano sistemato e il Laser Ranging RetroReflector (LRRR) ha permesso di raccogliere precise misurazioni di posizione.

Un’immagine panaramica del Cratere Little West e il Modulo Lunare ad una certa distanza, fotografati da Neil Armstrong. Crediti: NASA.

Un’altra traccia porta verso il Cratere Little West a circa 50 metri ad est del Modulo Lunare. Questa fu un’escursione non programmata verso la fine delle due ore e mezza di passeggiata che gli astronauti trascorsero sulla superficie del nostro satellite. Armstrong diede pure un’occhiata all’interno del cratero e si trattò del posto più lontano visitato dai due astronauti dal sito di atterraggio. In confronto con le Missioni Apollo 12 e 14, dove si ebbe un maggior tempo di permanenza sul suolo lunare e con le Missioni Apollo 15, 16, e 17, che ebbero il beneficio del Lunar Roving Vehicle, veicolo che permise di spostarsi più facilmente e velocemente sulla superficie, l’attività sul suolo lunare di Armstrong e Aldrin fu abbastanza limitata. Le loro tracce coprono un’are più piccola di un quartiere cittadino!

Fonte LRO: A Stark Beauty All Its Own – http://lroc.sese.asu.edu/news/index.php?archives/531-A-Stark-Beauty-All-Its-Own.html

Sabrina

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