Mese: Agosto 2012
Sulla sfacciata modernità della poesia
Comunque, leggere #poesia dovrebbe essere una pratica quotidiana. Credo che il mondo ne guadagnerebbe
— Marco Castellani (@mcastel) Agosto 24, 2012
I ragazzi del meeting
Rientrando a Roma, qualcosa mi ricorda il meeting… |
Perché io vado al meeting
Faccio una premessa “tecnica”. Non avrei pensato di poter scrivere sul blog dal Freccia Rossa! Il fatto di avere con me l’ipad e di disporre di una connessione wifi gratuita, è chiaramente un concorso di circostanze favorevoli davanti alle quali le scuse per non scrivere, decisamente vengono meno… 😉
Sto andando al Meeting di Rimini, dopo tanti anni che non ci passavo. Per la verità, ci andai una volta sola, con un gruppo di amici, e per giunta facemmo una ammazzata andata e ritorno in un giorno solo. Ma era molti, molti anni fa.
Ed ecco, il mio stupore è legato a questo. Sarò ingenuo, ma lo devo dire. Il mio stupore è il rinnovarsi di un incontro, nel passare degli anni. Nell’arco della vita. Qualcosa che brilla ancora dopo tanti anni, dopo tante idee, percorsi, dopo tanto cercare altro. Essere attirati, stupirsi è bello. Ma tornare a stupirsi, di una possibilità che promette di rendere più liete le giornate, più sopportabile la fatica, più umano il lavoro e lo stare a casa – ecco, tornare a stupirsi è forse ancora più bello.
Come Qualcuno che dice, sorridendo, “Ti stavo aspettando. Lo sai, non ho mai smesso di aspettarti. Non smetterò mai.”
Così vado a vedere più vicino. Non ho propositi particolari, se non starci. Non sono forse migliore di prima, sono consapevole di mille imperfezioni, ma ho anche l’idea che il punto sia proprio un altro. Che il punto non sia il successo o il fallimento dei propositi per migliorarsi, ma sia venire, starci, guardare “persone o momenti di persone”.
Ecco, sto andando per guardare. Per vedere cosa nasce e fiorisce da un’esperienza che nacque – molti anni fa – da un prete di Desio, innamorato della vita, da dei ragazzi che a scuola, credendo già di sapere tutto, si ritrovarono ad ascoltare una possibilità nuova per la loro esistenza. E iniziò qualcosa che arrivò fino a toccare il mio cuore, nel lontano 1984. E anche la mia storia con Paola, la mia famiglia, fiorì da questo incontro.
La bellezza, per quanto giri gli occhi, alla fine la senti, se una volta l’hai vista. E questa possibilità di essere felici è sempre rimasta ad aspettarmi. Ad attendere il mio assenso. E ogni sì, per quanto balbettante, è sempre stato ripagato.
Insomma, vado a vedere che fanno degli amici. Prodigi della fisica: parto da casa, ma vado sempre verso casa.
I libri di Google mi stancano…
Correre tra luci ed ombre…
Insomma, hai questi ottantadue minuti… ascolti, un po’ impaziente, cerchi il succo, le parti decisive. E dopo un pochino ti chiedi, ok, quale è il punto? Dove è che si comincia a fare sul serio? Dove sta un vero climax? Dove mi porta questa musica? Il fatto che mi spiazzava era questo, che la musica non mi portava da nessuna parte. Volevo farmi condurre, ma rimanevo al palo. Allora mi annoiavo.
Ogni tanto lo risentivo. E rimanevo in questo stato di perplessità, gli davo un garbato credito, più per il nome del musicista che per l’impatto dell’opera su di me.
Fino a che sono andato a correre. Lì sì, lì ha funzionato veramente bene. Correvo e osservavo la natura, e le note con i percorsi indefiniti, o candidamente ripetuti, non erano più un problema. Affatto. Era come una patina dorata che si appoggiava delicatamente sulle cose, specialmente sugli alberi, le piante, sul tramonto stesso. E la ripetizione non era monotonia, ma era funzionale all’avvicinamento graduale alla sostanza delle cose. Un avvicinamento delicato, uno svelarsi progressivo e rispettoso. Finalmente qualcuno che suggerisce, e non cerca di riempire a tutti i costi.
Anzi, non risolverebbe nulla. Rimarremmo sempre in superficie. Passeremmo la vita alla superficie delle cose: ben più tragico che sentire la morsa del vuoto, a pensarci.
Ditemi se non è cosa che valga la fatica delle nostre giornate…
In poche parole, di che parla?
Gli edifici ESO a Garching, una delle location del romanzo. |
E’ strano, a pensarci. E’ la mia tentazione a scivolare nel ruolo del momento, a discapito della mia stessa umanità. Come se parlando con persone in un istituto scientifico non potesse venire fuori che ti piace scrivere, che sei uno scrittore (inteso letteralmente: uno che scrive).
Insomma la cosa che più desidero e più mi spaventa allo stesso tempo… già sento che prendono forma nella mia testa quelle parole, mi fanno paura ma sono reali, sono parole di guarigione…
Ti devi mettere in gioco, Marco.
Leggere sull’iPad (II)
Una citazione dal libro di Alessandro D’Avenia. |