Continuo con questo post ad esplorare il mio personale percorso tra le parole, colorandole dei sapori e delle sensazioni che mi porto dietro in questa parte del cammino della vita. Vi sono parole intorno alle quali si possono dire cose sempre diverse, atteggiamenti e attitudini fondamentali, opzioni essenziali dello spettro delle possibilità umane. Parole cardine, intorno alle quali si possono far risplendere colori in maniera continuamente cangiante.
Prendiamo la parola umilità. La si può approcciare in innumerevoli modi. Uno di questi, la cui evidenza mi ha colpito per la prima volta pochi giorni fa, è che oggi, lo studio dell’uomo e insieme del cosmo suggerisce un atteggiamento di umiltà, derivante essenzialmente dal riconoscimento – forse mai stato così chiaro – di quante cose non sappiamo. 

Quanta parte ignota nella conoscenza del cosmo! (Fonte: wikipedia)
Mai il so di non sapere, a pensarci bene, è stato così manifesto, solo che lo si voglia guardare. Bisogna però, appunto, saperlo guardare. Vedere il quadro generale. Ad esempio, davanti al mare di notizie astronomiche che arrivano continuamente dai vari media (cosa certamente ottima), chi pensa mai al fatto che in realtà più del 95% di tutto l’Universo è composto – secondo le teorie più accreditate – da qualcosa di cui non conosciamo la natura? Energia oscura e materia oscura insieme, nel quadro attuale, rendono conto di quasi tutto l’Universo. Tranne quel misero 4%. Che poi è quello fatto della materia che conosciamo, ed è praticamente tutto quello che sappiamo (anzi ne sappiamo ancora meno, perché anche di quel 4% le cose ancora da capire non sono affatto poche…).
E uno potrebbe pensare, ok lo studio del cosmo è peculiare e complicato. D’accordo. Ma dell’uomo ormai sappiamo tutto. E invece no. E la cosa curiosa è che anche qui andiamo a sbattere in percentuali simili, anche se meno rigorosamente definite. Leggo in un libro di psicologia che il 95% della nostra mente sia costituita dall’inconscio. Ovvero quel luogo dove avvengono processi psichici inaccessibili al cosiddetto pensiero cosciente. Dunque anche qui la nostra razionalità si deve fermare, arrendere, davanti ad una sostanziale ignoranza. Possiamo scandagliare l’inconscio, possiamo speculare sui suoi effetti, ma è un po’ come lanciare una sonda nello spazio, portiamo a casa dei dati ma intorno rimane comunque il mistero più profondo. Una zona non conoscibile direttamente, ma che ha effetti decisivi sulla parte conosciuta. E vale tanto per lo spazio al di fuori (l’universo) quanto per lo spazio al di dentro (la psiche).
Non so voi, ma personalmente questo alone di ‘non conosciuto’ non mi inquieta per niente, anzi lo trovo rassicurante. Prendere atto di questo stato di cose implica anche che io non possa mai dire, ne come uomo ne come ricercatore, la terribile frase è tutto qui? 

Perché so che sono appena all’inizio del viaggio di scoperta (del cosmo e di me stesso), ogni atteggiamento più o meno arrogante sarebbe decisamente fuori luogo. Come sarebbe fuori luogo ogni tentazione di razionalismo che limitasse il reale al razionalmente conoscibile (“Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore”, Is. 55,8). Molto meglio sarebbe arrendersi, ammettere che vi sono realtà che superano infinitamente la mia comprensione.

 E la cosa più giusta tornerebbe ad essere l’umiltà, la coscienza tenera e liberante dei propri limiti. 

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