Come ti senti? E’ una domanda che mi hanno fatto su Facebook, pochi giorni fa. Il riferimento è al romanzo appena (auto)pubblicato, Il ritorno. Come ti senti, dopo averlo terminato? Cosa fare dopo? E potrei accostare un’altra domanda, rivoltami oggi di persona. E ora che hai finito il libro? Così il saluto di Teresa, qualche giorno fa, in occasione di un battesimo. Mi raccomando non smettere di scrivere.

Forse è questo. Forse è questa la risposta e il tratto di unione con le altre domande. Mi raccomando non smettere di scrivere. Se ci penso, c’è dentro tutto. Tutto quello che mi serve. E non c’è quello che porta fuori strada. Non dice mi raccomando cerca di farti pubblicare da un grande editore, mi raccomando cerca di sfondare. Non dice questo, no. Dice solo di non smettere. 

Don’t give up.
Questo mi fa pensare ad una frase del bel libro di James Scott Bell Writing Fiction for all you’re worth. E’ sempre troppo presto per smettere.
Così uno potrebbe dirsi, ok, ci siamo tolti questa soddisfazione, ora pensiamo ad altro. No, sarebbe sempre troppo presto. D’altra parte, c’è il fatto che le parole comunque arrivano, in testa. Tendono a strabordare, se contenute. Bisogna arrendersi. Mi devo arrendere al flusso, lasciar fluire.

Sono loro che fanno tutto, le parole.

Devo soltanto accettare di colorarle lasciandole passare attraverso me stesso, lasciandole impregnare di me, dei miei umori. In fondo fare lo scrittore è come fare il brodo. Bisogna lasciar impregnare della propria carne, della propria vita le parole. Che all’inizio sono neutre, come l’acqua. E’ una cosa sulla quale lavorare, così come devo, voglio, lavorare su me stesso (tentativamente) ogni giorno della vita. Lavorare sulle parole e lavorare su di sè. Non sono cose molto distanti, a pensarci bene. E’ più un lavoro che ingloba, comprende, entrambe le cose.

Veggie Brodo in the Afternoon
Fare il brodo è come scrivere (dettagli nel testo)!

Così penso che se uno ha la passione – diciamo – per l’uncinetto, il lavoro su di sè deve comprendere, trattare, affrontare, trasportare, anche questa passione. Siamo mica neutri e uguali, come contenitori che possiamo riempire con qualsiasi cosa si voglia. No, abbiamo una conformazione interna, come una forma nascosta, siamo fatti per seguire certe strade, accogliere certe cose. Ci vuole attenzione e rispetto di sè, per individuare la vocazione e per decidere di seguirla.

Certo che si può essere disattenti a sè e non seguire. Ma non è mai una buona idea. Se non seguo, mi  metto in rotta di collisione con tutto quanto, tutto quanto mi diventa pesante. Mentre accettare di seguire, nonostante tutti i dubbi e le perplessità,  mi libera immediatamente e mi rende intimamente contento e più robusto. Quante volte me lo devo dire. Quante volte me lo devo scrivere…

Perché è semplice, in fondo. Bastano tre parole. Ha ragione Teresa.

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