Mi viene come un ricordo, riaffiora dall’abisso di anni lontani lontani. Era un disco 45 giri con la parte centrale (interna ai solchi, intorno al foro) di colore verdino. Su un lato c’era Vengo anch’io e l’altro lato aveva Giovanni Telegrafista. Era di papà ma era finito insieme ai dischi di noi bimbi; le favole di A mille ce n’è, qualche canzoncina. Lo sentivamo nel mangiadischi di colore rosso, con il davanti bianco. Cose perse in anni lontani dell’altro millennio. Da lì in poi Enzo, in varie forme ed intensità, non si è mai allontanato.
Con De André, pensare ad Enzo era un modo per pensare a papà, in fondo. Non ascoltava molto le canzoni, papà, piuttosto aveva pochi autori che amava molto. Erano suoi. Così Fabrizio De André, così pure Enzo. Quel disco con le canzoni in dialetto milanese, così strano alle orecchie di me bambino, nato e cresciuto nella capitale. Era una delle prime evidenze, misteriose, della presenza di altri mondi, di altri modi di esprimersi, di pensare, di parlare. Un posto lontano poche centinaia di chilometri ma totalmente diverso.
Sfiorisci bel fiore…. (Foto di g33k0 su Flickr) |
Il ponte sulla diversità però c’era, c’è sempre stato. Il ponte è la musica. La melodia parla un linguaggio universale, così alla fine non fa molta differenza se il testo è un inglese – magari perfetto ma largamente incomprensibile all’adolescente di allora – oppure il dialetto milanese più stretto – parimenti incomprensibile (allora e adesso). La musica ti faceva innamorare anche di un pezzo del cui testo non capivi nulla: ma è come se lo capissi lo stesso, in fondo. Lo respiravi ugualmente.
Enzo capace di canzoni allegrissime e divertenti, come L’Armando, che fin da piccoli ci appassionava con la sua galoppante inventiva e garbata irriverenza. Poi, altre di una tristezza misteriosa, una dolorosa mestizia, quasi cosmica: il racconto delle esistenze ai margini, del cuore insoddisfatto, del cuore… urgente, come appunto quello di Giovanni Telegrafista. Enigmatica controparte della scoppiettante ilarità di Vengo anch’io. In fondo penso che in quel 45 giri c’era già tutto Jannacci – in due canzoni di tanti anni fa, era come già presente – compresso ma anche completo – il suo larghissimo arco espressivo.
C’era – anche – la scoppiettante inventiva del puro cabaret e poi canzoni di tenerissima dolcezza, come in Sfiorisci bel fiore. Davvero, una tenerezza immensa.
Per me in particolare, c’era questo valore aggiunto, nelle sue canzoni. Enzo era tra i pochissimi italiani, tra i dischi di papà. Aveva tanti dischi perlopiù di musica etnica, di melodie e canzoni di terre lontane. Forse perché aveva sempre viaggiato molto. Papà non era un tipo da mettersi ad ascoltare le “normali” canzoni, di solito. Diffidava di quanto poteva sembrare troppo commerciale. Quindi i dischi di questo tipo che trovavo nella discoteca di casa avevano un valore particolarissimo. Era come un segnale di merito. Erano anche loro un ponte, erano una terra di mezzo – un aggancio più facile ed immediato, tra la mia vita e la sua.
Così anche quando crescendo, complice Alberto il compagno di banco milanese, avrei iniziato ad esplorare la produzione di Jannacci in maniera più ampia e articolata, non avrei mai potuto togliermi di dosso il fatto che parte del valore mi sfuggiva dalle mani, era come andasse al di là della mia esclusiva valutazione, si appoggiasse a quella di papà. Come una garanzia di radice più forte.
Enzo l’ho visto solo un volta, di sfuggita. Era tra il pubblico del concerto jazz del figlio Paolo, questa estate al Meeting di Rimini. Concerto bellissimo ed emozionante quello di Paolo, tra l’altro. Lui era lì, con qualche persone che lo accompagnava. Non mi avvicinai molto (mi bastava che ci fosse) e lo intravidi parlare, salutare, sorridere. Ora magari sorriderete voi se lo dico, ma se ci penso era come se in qualche modo dovessi incontrarlo di persona, almeno di sfuggita, stare con lui nello stesso posto, sancire finalmente – con la pura presenza fisica – un nodo, un incontro di tragitti. Per le mille misteriose combinazioni del vivere.
Era necessario, forse, prima che andasse. Ora è lì, e mio papà li ha riguadagnati tutti e due.
Chissà che bella musica fanno, lassù.
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