Sono grato a quei film che mi fanno pensare, magari imperfetti, qui e là, ma che mostrano degli squarci di bellezza. Che mi aiutano nel lavoro quotidiano, del cedere all’evidenza del reale, sopra tutti i pensieri e oltre tutte le congetture. Così la visione di Epic – il mondo segreto mi ha inaspettatamente fornito degli spunti preziosi.
Il film è ben fatto. Su una trama di base abbastanza semplice, costruisce una storia interessante e sufficientemente intessuta di sentimenti umani veri da consentire di essere percorsa senza noia, per grandi e piccoli. Così le battute scoppiettanti possono divertire sul momento senza pregiudicare  l’effetto più permanente, il retrogusto piacevole di una riflessione onesta sul reale, senza sovrastrutture ideologiche.
Il logo del film
Credo che uno dei pregi del film sia proprio la plasticità dello schema narrativo, le cui suggestioni sono abbastanza morbide da poter essere accolte ed esaltate in taluni aspetti particolari, a seconda delle inclinazioni di chi guarda. Proprio come farò io, qui di seguito.
C’è una scena in particolare che mi ha colpito. Il cui significato reale è balzato subito alla mia coscienza. E’ quella in cui Bomba, il padre dell’adolescente Mary Katherine (simpaticissima), decide di lasciar perdere il suo sogno. Bomba è uno scienziato un po’ eccentrico che ha dedicato una vita a cercare le prove di una civiltà di persone minuscole, senza averle mai visto direttamente. Dopo la morte della moglie, la mamma di Mary Katherine, vive da solo in una casa in mezzo alla foresta, tutta piena di monitor ed apparecchiature dedicate alla sua ricerca, finora infruttuosa. 
Allora. C’è questa sequenza – che per me è drammatica sia a livello del significato contingente sia in quello del significato più profondo – in cui Bomba si sente forzato dagli avvenimenti – dalla sua interpretazione degli avvenimenti – a prendere una decisione. E si convince a lasciar perdere la sua ricerca. Troncarla, interromperla, bruscamente. Con rabbia.
Bomba sembra vinto. Accetta di normalizzarsi, di diventare uno come tanti. Spegne i monitor uno ad uno. Spegne i sogni, uno aad uno. Decide di non dar loro più ascolto, di non dar loro spazio. Avevano ragione gli altri, avevano ragione tutti. Il sogno l’ha portato lontano, l’ha portato in uno spazio tutto suo, l’ha portato fuori dal mondo…
Fuori dal mondo. Ecco l’obiezione che ci facciamo spesso. Non seguo i miei sogni, lascio che siano lì che mi chiamano, ma non mi volto. Non mi chiedo neanche più perché siano lì che chiamano, che mi implorano ogni giorno, mi supplicano di dar loro attenzione. Mi dimentico del fatto che i momenti in cui sono stato meglio, più contento, più ottimista, sono stati quelli in cui ho seguito i miei sogni, le mie aspirazioni. Ho dato loro fiducia. Non ci penso. Meglio essere concreti, stare con i piedi per terra. La vita è dura, d’altra parte. Non si può sognare sempre, si dice.
Che tragico errore. Quanto male ha fatto e può fare questo errore. 
Perché la verità è all’opposto. La vita è dura se non si sogna. Se non si segue quello che il cuore ci suggerisce. Allora sì che è dura. Perché è dura una vita da cui sfuggiamo il significato. E stare con i piedi per terra è questo, è guardare in alto. E’ seguire una vocazione.
Il film lo dice senza dover spedire troppe parole. Lo dice molto efficacemente. Anzi meglio: lo mostra, questo errore, lo mostra in atto. Ne mette in luce la portata drammatica. Tutto il rischio terribile di rinunciare ai propri sogni, di normalizzarsi e buttare alle ortiche la propria unicità, il motivo per cui siamo al mondo. I monitor che vengono spenti – proprio mentre vengono spenti – trasmettono le immagini della figlia che dalla foresta, proprio nel momento culminante della battaglia tra il bene e il male,  gli chiede disperatamente aiuto. Ma lui non guarda, ha già deciso di rinunciare al sogno. E (curiosa “coincidenza”) già non guarda, non guarda più il reale. Non vede. E’ il dominio totale della mente, del ragionamento che prevale sulla realtà. Le cose succedono ma tu non le vedi più. Pensi troppo e vedi poco.
Diceva Alexis Carrel (anche lui scienziato) che “poca osservazione e molto ragionamento portano all’errore, molta osservazione e poco ragionamento portano alla verità”
E’ la realtà è dove succedono le cose, non la nostra testa. E’ la realtà che è un campo perpetuo di possibilità, come un campo quantistico dove spuntano continuamente particelle ed antiparticelle.  E’ la realtà che ti può sorprendere sempre, in ogni momento. Ecco perché la vita è bella, perché niente è mai “scritto”, perché la sorpresa è sempre possibile.
La scelta è quella di ogni giorno, di ogni momento. Quella fondamentale. Stare alla realtà come ci arriva, stare alle circostanze con cui la realtà ci tocca, oppure violentarla sovrapponendo ad essa un proprio schema, una propria interpretazione. 
L’errore è mostrato, quasi gridato, nel film. Il professore se ne salva per un pelo. E non solo se ne salva, ma accettando di vivere il proprio sogno – e solo così – diventa parte attiva e fondamentale nella dinamica della storia, e nella lotta del bene contro il male (non dico di più per non rovinare la trama a chi volesse vedere il film). Ma la lezione è chiara. Seguire i propri sogni non è egoismo. Seguire i propri sogni è una delle cose più altruistiche che si possono fare. Perché se segui i tuoi sogni ti rimetti in gioco, sei attento al mondo. Sai che fai quello per cui sei stato messo sulla Terra.
Se segui le tua inclinazioni sei attento, aperto, collaborativo. Se ti opponi, sei in lotta con le cose, con la struttura fine della realtà, con la trama dell’universo. Ecco che arrivano il malessere, il senso di vuoto, il peso: indicazioni preziose per correggere la rotta. In un certo senso non c’è niente di più immediato del cedere. Tuttavia la resistenza è forte, perché si tratta di bucare lo strato protettivo e ossessivo dell’ego, per arrivare al sé. Alla consistenza di sé stessi, alle nostre vere aspirazioni. Ad ascoltare la voce dell’Assoluto, che ci ha fatti unici. E ognuno con un compito. Un compito che nessun altro può svolgere.
Certo, ci sarebbe molto altro da dire. Questa – si sarà capito – non è affatto una recensione del film. E’ soltanto un affondo in verticale, che prende spunto quasi integralmente da una sola sequenza. 
Morale: sono entrato in sala con qualche perplessità, ma ne sono uscito contento. Perché alla fine il film mi ha catturato (soprattutto nel secondo tempo), perché le immagini ed anche la musica sono molto belle. 
E soprattutto per questo, perché ho trovato preziosi semini per continuare a riflettere su ciò che mi è più caro. Davvero, niente di più concreto, di un mondo segreto…

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