Blog di Marco Castellani

Mese: Ottobre 2013 Page 1 of 2

ALMA mostra il posto più freddo nell’Universo

boomerang

La nebulosa Boomerang, denominata “Il posto più freddo nell’Universo” mostra la sua vera forma con ALMA. La struttura blu di sfondo, osservata in luce visibile con l’Hubble Space Telescope, mostra una forma classica a doppio lobo, con una regione centrale molto stretta. La risoluzione di ALMA e la sua capacità di osservare le molecole gassose e fredde mostrano una forma più allungata della nebulosa, quella in rosso. Credit: Bill Saxton; NRAO/AUI/NSF; NASA/Hubble; Raghvendra Sahai.

Dove si trova il posto più freddo nell’Universo? Ora una risposta a tale domanda è arrivata.

La Nebulosa Boomerang, a circa 5 000 anni luce di distanza dalla Terra, nella costellazione del Centauro, è una nebulosa pre-planetaria con un temperatura di un solo Kelvin, pari a circa -272 gradi centigradi. Questo la rende ancora più fredda della temperatura del fondo naturale dello spazio e della radiazione cosmica di fondo., l’eco del Big Bang.

I ricercatori hanno impiegato i potente Atacama Large Millimieter/Submillimeter Array (ALMA) Telescope per indagare le caratteristiche della temperatura e della forma insolita della nebulosa. Il Boomerang è diverso da tutto quello che si osserva intorno. Non è ancora una nebulosa. La sorgente di luce, ossia la stella centrale, non è ancora sufficientemente calda per emettere le enormi quantità di energia e radiazione ultravioletta che illumina tutta la struttura. In questo momento viene illuminata dalla luce delle stelle che brillano al di fuori dei grani di polvere che la circondano. Quando fu osservata per la prima volta, nell’ottico dai telescopi terrestri, la nebulosa appariva essere spostata su un lato e così le venne dato un nome di fantasia. Osservazioni successive con l’Hubble Space Telescope hanno mostrato una struttura a forma di clessidra. Ora è entrato in azione ALMA. Con le sue nuove osservazioni le immagini di Hubble mostrano solo una parte di ciò che sta accadendo e i due lobi osservati in dati precedenti erano probabilmente solo un “gioco di luce” come presentato dalle lunghezze d’onde ottiche.

Questo oggetto è estremamente freddo e intrigante e stiamo imparando molto di più sulla sua vera natura grazie ad ALMA” ha affermato Raghvendra Sahai, ricercatore e principal scientist presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, California, e primo autore della ricerca pubblicata su The Astrophysical Journal. “Quello che assomiglia ad un doppio lobo, o la forma del Boomerang, dai telescopi ottici terrestri, è in realtà una struttura molto più ampia che si sta espandendo rapidamente nello spazio”.

Che cosa sta succedendo la fuori che renda Boomerang così estremamente interessante? E’ il flusso emesso. La stella centrale si sta espandendo ad un ritmo frenetico e sta abbassando la propria temperatura durante il processo. Il nucleo si raffredda e il guscio in espansione che circonda la stella si raffredda anch’esso. I ricercatori, in particolare, sono stati in grado di determinare la temperatura del gas nella nebulosa, ossia di capire quanto fredda è.

“Quando gli astronomi osservarono questo oggetto nel 2003 con l’Hubble videro una forma di clessidra molto classica” ha affermato Sahai. “Molte nebulose planetarie hanno questo stesso aspetto dal doppio lobo, che è il risultato dei flussi di gas ad alta velocità che viene gettato fuori dalla stella. I getti poi scavano dei buchi nella nube circostante di gas che è stato espulso dalla stella molto prima, nel suo stadio di gigante rossa”.

In realtà i telescopi di ALMA che osservano a lunghezze d’onda millimetriche non hanno osservato quello che ha osservato Hubble. Le osservazioni di Hubble avevano messo in evidenza una figura più completa, una sorta di deflusso quasi sferico di materiale. Secondo il comunicato stampa, la risoluzione senza precedenti di ALMA ha permesso ai ricercatori di determinare perché vi era una tale differenza nell’aspetto generale.

La struttura a doppio lobo divenne evidente quando i ricercatori si focalizzarono sulla distribuzione delle molecole di monossido di carbonio osservate nelle lunghezze millimetriche, ma solo verso la zona centrale della nebulosa. La parte più esterna era una storia diversa. ALMA mostrò una nuvola di gas freddo allungato ma relativamente arrotondato. Ma vi è di più. I ricercatori hanno anche individuato una sorta di percorso di spessore di alcuni grani di polvere che circondano la stella progenitrice, e questo è il motivo per cui la nube esterna ha assunto l’aspetto di un “papillon” in luce visibile. Questi grani di polvere schermano una porzione della luce della stella permettendo un piccolo passaggio delle lunghezze d’onda ottiche provenienti dalle estremità opposte della nube.

“Questo è importante per la comprensione di come le stelle terminano la loro evoluzione e diventano nebulose planetarie” ha affermato Sahai. “Utilizzando ALMA siamo stati letteralmente e figurativamente in grado di gettare nuova luce sull’agonia di una stella simile al nostro Sole”. C’è ancora qualcosa da dire, al di là di queste scoperte. Anche se il perimetro della nebulosa sta cominciando a scaldarsi, esso è solo un po’ più freddo della radiazione cosmica di fondo. Che cosa potrebbe causare tutto questo? Basta chiederlo ad Einstein. Einstein lo definì effetto fotoelettrico.

Fonte National Radio Astronomy Observatory – ALMA Reveals Ghostly Shape of “Coldest Place in the Universe” – https://public.nrao.edu/news/pressreleases/alma-reveals-coldest-place-in-the-universe

Sabrina

Loading

Mille pianeti confermati

eso0950a

Transito planetario. Crediti NASA/JPL.

Il millesimo pianeta scoperto al di fuori del nostro Sistema Solare è stato raggiunto. Il superamento si è avuto il 22 ottobre scorso dopo una ventina di anni di osservazioni e scoperte. Il superamento è stato registrato dalla nota Extrasolar Planet Encyclopedia, che ora elenca ben 1010 esopianeti confermati. In realtà, si è passati da 999 a 1010 candidati senza un gran rumore sul superamento di questo interessante traguardo.

Non tutti i cataloghi di esopianeti riportano lo stesso numero: tale valore dipende dal criterio con cui vengono conteggiati i pianeti. L’archivio, più recente, della NASA, il NASA Exoplanet Archive ne elenca 919. Tuttavia, oltre 3500 pianeti candidati sono in lista per la loro conferma o meno.

La scoperta di due pianeti attorno a PSR B1257+12 venne annunciata da Aleksander Wolszczan e Dale Frail nel 1992. È stato confermato nel 2008 che tale pulsar ha, in realtà, tre pianeti con masse pari a 0,02; 4,3 e 3,4 masse terrestri quasi sullo stesso piano orbitale e con periodi di circa 25, 67 e 98 giorni, rispettivamente.

In generale si ritiene che le pulsar si formino dalle esplosioni di supernova di stelle massicce alla fine della loro fase evolutiva. Perciò, è davvero sorprendente che esistano dei pianeti attorno a tali oggetti così estremi. Come descritto da Podsiadlowski in un articolo pubblicato nel 1993, lo scenario del pianeta nel sistema planetario PSR B1257+12 prima dell’esplosione della supernova e quindi prima che si venisse a formare la stella a neutroni, ha incontrato non pochi ostacoli e obbiezioni fra i ricercatori. I pianeti attorno a PSR B1257+12 devono essersi formati o devono essere stati catturati dopo l’esplosione di supernova che ha formato la stella di neutroni nel sistema.

Il 6 ottobre 1995 gli astronomi svizzeri Micheal Mayor e Didier Queloz annunciarono la scoperta di un esopianeta orbitante attorno a 51 Pegasi. Questa scoperta venne compiuta col metodo delle velocità radiali col telescopio dell’Osservatorio di Haute-Provence in Francia e utilizzando lo spettrografo ELODIE. Il 12 ottobre 1995 la conferma arrivò dal Dott. Geoffrey Marcy della San Francisco State University e dal Dott. Paul Butler dell’University of California di Berkeley utilizzando l’Hamilton Spectrograph al Lick Observatory vicino a San Jose, in California.

51 Pegasi b (51 Peg b) è il primo pianeta scoperto attorno a questa stella e attorno ad una stella di tipo solare. Dopo la sua scoperta, molti altri team di ricerca confermarono la sua presenza ricavando delle tabelle delle sue proprietà (disponibili su Exoplanets Data Explorer: http://www.exoplanets.org/table ). Alcune caratteristiche del pianeta le possiamo ricordare: il pianeta mostra un periodo orbitale di 4,23 giorni terrestri, l’eccentricità orbitale è di 0,013; un’orbita estremamente vicina alla sua stella, con una temperatura superficiale di 1200 °C, una massa pari a circa la metà della massa di Giove.

Secondo i dati pubblicati sugli articoli, la distanza così piccola del pianeta non era compatibile con le teorie sulla formazione planetaria e si pensò ad una migrazione planetaria del pianeta fino a raggiungere la sua posizione attuale. Nel 2012 non sono stati trovati altri pianeti ulteriori nel sistema di 51 Pegasi.

Gli esopianeti scoperti sono stati sorprendenti fin dall’inizio. Nessuno si aspettava di trovare dei pianeti intorno a stelle alla fine della loro evoluzione, come PSR B1257+12, o pianeti di dimensioni di Giove attorno alla loro stella a distanze molto piccole dalla loro stella (come 51 Pegasi). Attualmente abbiamo anche la conoscenza di sistemi planetari ricchi di esopianeti (come Kepler 11) attorno a stelle binarie (come Kepler 16) e con molti esopianeti potenzialmente abitabili (come lo è Gliese 667C).

La scoperta di molti pianeti intorno ad altre stelle è un grandissimo traguardo della scienza e della tecnologia. Il lavoro di ricercatori, astronomi, ingegneri provenienti da molti paesi si è reso necessario per raggiungere questo difficile traguardo. Tuttavia, un migliaio di pianeti extrasolari in due decenni è ancora una piccola frazione di quelli attesi dai miliardi di stelle nella nostra Galassia. Il prossimo grande obiettivo sarà quello di comprendere meglio le loro proprietà, le loro caratteristiche, con la scoperta di nuovi.

Fonte PHL Planetary Habitability Laboratory – One Thousand Exoplanets in two Decades – http://phl.upr.edu/press-releases/onethousandexoplanetsintwodecades

Altre informazioni:

Nuovi risultati sul primo esopianeta scoperto attorno alla pulsar PSR B1257+12 – http://tuttidentro.wordpress.com/2013/10/09/nuovi-risultati-sul-primo-esopianeta-scoperto-attorno-alla-pulsar-psr-b125712/

Media INAF – Mille e non più mille – articolo relativo al millesimo pianeta e al III Progress Meeting per GAPS, Global Architecture of Planetary Systems a cui ho partecipato anch’io. Un incontro dove sono stati presentati gli ultimi lavori e ricerche compiute dal team GAPS sulla ricerca degli esopianeti . Articolo disponibile su: http://www.media.inaf.it/2013/10/25/mille-e-non-piu-mille/ è stato scritto dalla collega Caterina Boccato dell’INAF-Osservatorio di Padova.

A 18 anni dalla scoperta del primo esopianeta: 51 Pegasi b – http://tuttidentro.wordpress.com/2013/10/06/a-18-anni-dalla-scoperta-del-primo-esopianeta/

Sabrina

Loading

Una stella nana per GAIA

esopianeta

Rappresentazione artistica di un pianeta gigante, simile a Giove. Crediti NASA.

E’ uscito lunedì scorso, 14 ottobre 2013, il mio primo articolo pubblicato su MEDIA INAF relativo alle potenzialità del satellite GAIA dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). L’articolo è stato possibile grazie all’aiuto di Caterina Boccato dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, dove lavoro.

Alessandro Sozzetti dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino ha rilasciato un’intervista relativa ai dati raccolti e pubblicati nell’articolo “Astrometric Detection of Giant Planets Around Nearby M Dwarfs: The Gaia Potential” scritto assieme al suo team formato da P. Giacobbe, M. G. Lattanzi, G. Micela, R. Morbidelli e G. Tinetti.

di Caterina Boccato e Sabrina Masiero – INAF- Osservatorio Astronomico di Padova

A pochi giorni dalla partenza della missione dell’ESA (ancora rinviata a data da destinarsi), GAIA sono molti gli studi sulle potenzialità di questo promettente satellite. Tra i risultati emergono anche le possibili sinergie con i progetti da Terra per la ricerca dei pianeti extrasolari.

Nel tentativo di dare una risposta a una delle domande fondamentali del genere umano “Siamo soli nell’universo?” le stelle a noi più vicine, entro un centinaio di anni luce dal Sole, rappresentano il campione più ovvio e immediato da analizzare. Il campo interdisciplinare dei pianeti extrasolari, sempre più in rapida espansione, ha registrato recentemente un aumento di interesse nello studio riguardante le stelle di piccola massa, chiamate comunemente stelle nane M, oltre alla ricerca di stelle simili al Sole. Le stelle nane M sono stelle di sequenza principale. Sono cioè oggetti che si trovano nella fase evolutiva più lunga e stabile bruciando tranquillamente l’idrogeno nelle loro regioni centrali, con temperature superficiali inferiori a quelle del Sole.

La ricerca di pianeti attorno a tali stelle “fredde” è estremamente interessante in quanto sono le più comuni nella nostra Galassia e sono anche le più frequenti nei dintorni del Sole. Determinare accuratamente le frequenze di pianeti attorno a queste stelle ha profonde implicazioni per le teorie di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari.

E’ stato in questi giorni accettato dal Monthly Notices of the Royal Astronomical Society – MNRAS per la pubblicazione, un articolo che vede coinvolti diversi ricercatori INAF sui risultati ottenuti con un dettagliato esperimento numerico atto a stimare le potenzialità della missione Gaia, in partenza il 20 novembre prossimo, nel rilevare e caratterizzare pianeti giganti attorno a stelle nane M che si trovano entro 100 anni luce dal Sole. Gaia, missione spaziale di punta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), effettuerà misure di posizione (astrometriche) di elevatissima precisione (100 volte meglio di quelle ottenute dal satellite Hipparcos). Grazie a queste misure sarà possibile rivelare piccole deviazioni periodiche nel moto stellare dovute alla perturbazione gravitazionale indotta dalla presenza di pianeti attorno alla stella madre.

Le estrapolazioni compiute sui conteggi stellari di nane M entro 300 anni luce dal Sole permettono di fare l’ipotesi che Gaia potrà rilevare oltre 2 000 nuovi pianeti giganti attorno a stelle di piccola massa; ottenere valori accurati della massa e dei parametri dell’orbita per circa 500 sistemi planetari con periodo orbitale tra 0,2 e 6 anni. La dimensione del campione permetterà di porre dei limiti molto stringenti sulle frequenze planetarie attorno a stelle nane M.

Abbiamo chiesto ad Alessandro Sozzetti dell’INAF Osservatorio Astrofisico di Torino, primo autore dell’ articolo, già impegnato in altri progetti riguardanti la caratterizzazione dei sistemi planetari, quale sarà il valore aggiunto di Gaia in questo campo:

“I risultati astrometrici ricavati da Gaia saranno complementari a quelli ottenuti con lo spettrografo HARPS-N installato sul Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Isole Canarie, dato che si tratta di osservazioni sullo stesso campione di stelle. Nell’ambito, per esempio, del progetto INAF GAPS (Global Architecture of Planetary Systems) le osservazioni di HARPS-N@TNG saranno un elemento di fondamentale sinergia con i dati prossimi futuri di Gaia per una comprensione globale dell’architettura di questi sistemi planetari”.

infografica_gaia_gaps

Sinergia GAIA-GAPS. Infografica realizzata da Caterina Boccato, INAF-Osservatorio di Padova. Disponibile su: Media INAF: http://www.media.inaf.it/2013/10/14/una-stella-nana-per-gaia/infografica_gaia_gaps/

Sozzetti aggiunge che Gaia osserverà per cinque anni le regioni esterne dei sistemi planetari alla ricerca di pianeti giganti (300 masse terrestri) con orbite entro le 5 UA (ovvero fino a 10 anni di periodo), quindi oggetti lontani dalla stella madre, con periodi orbitali fino al doppio della durata della missione. Il programma GAPS con HARPS-N produrrà invece informazioni sui pianeti di piccola massa (Nettuni e Super-terre con 10-20 masse terrestri) entro 1 AU (ovvero periodi orbitali inferiori a 1 anno).

“La tecnica delle velocità radiali con HARPS-N@TNG e quella astrometrica con Gaia sono estremamente complementari”, continua Sozzetti. “Sotto questo punto di vista il campione di nane M in comune tra i due programmi sarà dunque caratterizzato con un’accuratezza senza precedenti: Gaia individuerà tutti i pianeti gioviani su orbite di lungo periodo (dove è massima la sua sensibilità), mentre HARPS-N troverà pianeti di piccola massa nelle regioni interne (dove è massima la sua sensibilità). In tal modo si potranno identificare sistemi con l’architettura analoga a quella del nostro Sistema Solare”.

Insomma, grandi speranze per questa missione e comunque sempre tanto lavoro da fare per gli astronomi impegnati in questo giovane e affascinante ramo dell’Astrofisica. Troveremo altre terre? Il nostro Sistema Solare è una regola o un’eccezione?

Articolo:
A. Sozzetti, P. Giacobbe, M.G. Lattanzi, G. Micela, R. Morbidelli, G. Tinetti, Astrometric Detection of Giant Planets Around Nearby M Dwarfs: The Gaia Potential, disponibile su arXiV: http://arxiv.org/abs/1310.1405 

Fonte Media INAF: Una stella nana per GAIA – http://www.media.inaf.it/2013/10/14/una-stella-nana-per-gaia/

Altre informazioni: Fundacion Galileo Galilei (TNG): http://www.tng.iac.es/

HARPS-N (TNG): http://www.tng.iac.es/instruments/harps/

GAPS su EXO-IT Exoplanetary in Italy: http://www.oact.inaf.it/exoit/EXO-IT/Projects/Entries/2010/12/27_GAPS.html

Sabrina e Caterina

Loading

Istante

E’ nell’istante che si gioca tutto, sempre. E’ tutto lì. La mente vaga e si intossica nelle considerazioni cicliche sul passato, sul futuro. Tornare al presente è sempre liberante, è sempre – davvero – una liberazione. E’ stare dove succedono le cose.

Nel passato o nel futuro non succedono le cose, sono posti dove non succede mai niente. Sono come proiezioni mentali cristallizzate, in un certo senso. E’ nel presente, nell’istante, che le cose succedono. E’ lì che voglio rientrare, appena riesco, ogni volta che riesco. Se non riesco – come tante volte non riesco – non fa niente. Perché la porta è sempre aperta, la possibilità esiste sempre. Esiste sempre fino alla fine. Di finire la serie di fughe indietro e avanti, e rientrare con piena coscienza nell’attimo che stiamo vivendo. Nel momento, qui ed ora.
Pensavo oggi che la cosa importante, essenziale, è vivere la giornata concentrati su questa. Come fosse una piccola e conclusa opera d’arte, come se concentrandosi su di essa – isolandola da ciò che è stato e ciò che sarà – possiamo finalmente lavorare su una tela di dimensioni adeguate. Possiamo ricominciare ad essere artisti della nostra esistenza.
Tutto accade ora, ogni bellezza è di adesso…
Ecco. Che poi artisti non vuol dire, a mio avviso, far tutto bene. Un artista non è che non sbaglia (chi è che non sbaglia poi?) ma chi è aperto, chi si mostra vulnerabile in modo da presentare un lato di approccio, un’aggancio con il quale relazionarci a lui. Chi si mostra autosufficiente e completamente equilibrato non ha feritoie, punti di approdo, rimane un’isola totalmente inapprocciabile: è isolato. Come tale, è uno per cui quello che accade ha perso importanza: probabilmente è troppo preso dalla perpetuazione faticosa dei suoi meccanismi mentali, per stare al presente.
Sarò io, ma come cerco di lavorare su intervalli di tempo più ampi della giornata mi schiaccio a terra da solo (sono bravissimo in questo). Sono bloccato, fermo. Non respiro più. Mi atterrisce l’analisi sfibrante di cosa può essere e non può essere, di cosa devo fare per star meglio, di cosa veramente ho bisogno per guarire.

Anche guarire, anche cambiare, avviene meglio se smetto di proiettarmi ansiosamente in un futuro ipotetico in cui avrò risolto questo e quello, avrò ottenuto questa cosa o quest’altra, sarò migliore sarò… così drammaticamente arrivato che se ci penso con coscienza mi spavento. 
Che bello invece tornare a guardare questa giornata per quello che è, per cosa mi sta dando adesso. La luce serena del parco del primo pomeriggio, il bel pranzo di oggi, un articolo stimolante trovato sul giornale..
Guardare le piccole cose ora, come mi passano davanti agli occhi. Scartare tutti i pensieri complicati sul futuro, allontanarli dolcemente ogni volta che mi vengono a trovare. Amare mia moglie adesso, amare adesso i miei figli, senza preoccuparmi di come e quanto la amerò domani, di quanto sarò capace di voler bene. Così, solo così riesco ad aprirmi alla novità, stando al presente.
Perchè dire “Ti voglio bene”, sarà sempre qualcosa di assolutamente nuovo, assolutamente unico, che non è frutto di alcun antecendente, di alcun meccanismo (Julian Carron) 
Tornare al presente è ritornare a respirare. Perché ogni cosa accade soltanto nel presente, perché è il presente l’interfaccia tra la mia interiorità e l’universo intorno. Tra me e i più lontani quasar, tra me e le popolazioni dell’australia, tra me e ogni uomo e donna che magari neanche conosco, tra me e te che leggi, ora. Tutto passa attraverso questa fragile, sottile ma decisiva interfaccia.
La vita è questo dialogo costante del Mistero che attraverso le cose che accadono ci provoca, ci chiama (Carron)

Quindi è sempre adesso il luogo di questo dialogo. Ed è sempre possibile, è un invito che sempre posso raccogliere. In qualsiasi condizione mi trovi, posso rientrare nel presente, ricominciare a respirare, ad amare, ad essere uomo.


Loading

La rotazione risonante di Mercurio potrebbe essere comune tra i pianeti extrasolari

Messenger_Mercury_Surface

La superficie di Mercurio fotografata da Messenger della NASA. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington.

Tre a due. Questo è il rapporto tra il tempo che impiega Mercurio a ruotare attorno al Sole (88 giorni) e il tempo che impiega per compiere la sua rotazione (58 giorni). Questo è probabilmente dovuto all’influenza dell’intensa gravità esercita dal Sole sul pianeta. Un nuovo studio conferma un’altra ipotesi: che altri sistemi planetari potrebbero rispettare lo stesso tipo di risonanza.

Centinaia di esopianeti confermati sono stati trovati finora, molti di essi in configurazioni particolarmente strette. Una configurazione simile a quella di Mercurio col Sole dovrebbe essere comune tra le centinaia di esopianeti confermati, tra cui le super-Terre potenzialmente abitabili che orbitano attorno a stelle nane M (stelle nane rosse). I risultati di questo studio forniscono ulteriori indizi sulle possibilità che pianeti conosciuti possano supportare forme di vita.

“L’abitabilità, naturalmente, dipende da molti parametri. Qual tipo di stella forma il sistema planetario e quanto stabile è? Quanto lontani sono i pianeti dalla stella? Di che tipo è l’atmosfera planetaria? E, come sottolinea questo studio, che dire se un lato del pianeta è in rotazione sincrona con la sua stella e passa la maggior parte o tutto il suo tempo con un lato rivolto verso la luce stellare? Inoltre, lo studio dà una spiegazione del motivo per cui Mercurio rimane in un’orbita risonante 3:2. Lo studio ha preso in considerazione fattori come la frizione interna e il rigonfiamento mareale che fa apparire Mercurio leggermente deformato (e che potrebbe rallentarlo ulteriormente). In sostanza, si ha a che fare con la primitiva storia di Mercurio.

Tra le implicazioni dello studio appena pubblicato vi è, tanto per citarne alcune, lo stato freddo e non completamente fuso del pianeta nelle sue prime fasi di formazione, una rotazione rapida e la possibilità della segregazione interna e della formazione di un nucleo massiccio liquido avvenuto dopo la cattura di Mercurio nella risonanza.

I risultati sono stati presentati durante un meeting dell’American Astronomical Society lo scorso 7 ottobre a Denver, Colorado, .

Fonte:  AAS Division of Planetary Sciences.

UniverseToday – Mercury’s Resonant Rotation “Should Be Common” In Alien Planets: http://www.universetoday.com/105345/mercurys-resonant-rotation-should-be-common-in-alien-planets/

Sabrina

Loading

Fomalhaut, nuove rilazioni sull’esistenza di un terzo oggetto

hubble_fomalhaut

Fomalhaut b, il pianeta osservato nel 2008. Crediti: NASA, ESA, e P. Kalas (University of California, Berkeley, USA).

Il vicino sistema stellare Fomalhaut, di particolare interesse per il suo insolito pianeta e per il disco di detriti di polvere, si scopre ora essere non un sistema formato da due stelle, bensì un sistema di tre stelle tra i più estesi finora conosciuti.

Ad occhio nudo Famalhaut è ben visibile trattandosi della stella più luminosa della costellazione del Pesce Australe nell’emisfero sud, osservabile in quello nord in autunno e ad inizio inverno, di sera, Il sistema ha un’età di alcuni centinaia di milioni di anni e si trova a circa 25,1 anni luce di distanza dalla Terra. La fascia di polvere di forma toroidale attorno a Fomalhaut scoperta negli anni Ottanta dal satellite IRAS, è stata osservata più volte dal Telescopio Spaziale Hubble in passato, ma alcune immagini di Herschel hanno rivelato la presenza di un pianeta attorno alla stella Fomalhaut, che è stato denominato Fomalhaut b. In realtà, lo studio dell’esistenza di un tale pianeta è ancora in fase di studio. La stella Fomahaut ospita una fascia di detriti sotto forma di un anello eccentrico la cui forma si pensa sia legata all’influenza dinamica di un pianeta compagno gigante. Nel 2008 la rilevazione di una sorgente puntiforme all’interno del bordo dell’anello fu interpretata come l’immagine diretta di un pianeta. L’individuazione venne fatta intorno a 600-800 nm, ma non furono rilevati segni corrispondenti nell’intervallo del vicino infrarosso. La questione rimane aperta.

In un paper recentemente accettato per la pubblicazione su The Astronomical Journal e già apparso su ArXiV, un gruppo di ricercatori hanno dimostrato che la stella più piccola finora nota nelle vicinanze del sistema Fomalhaut è in realtà parte del sistema stesso.

Eric Mamajek, Professore associato di Fisica e Astronomia dell’University of Rochester, assieme ai suoi collaboratori hanno trovato la natura tripla del sistema stellare attraverso un lavoro da “detective”. “Ho notato questa terza stella un paio di anni fa, quando stavo preparando i moti delle stelle nelle vicinanze di Fomalhaut per un altro studio” ha affermato Mamajek. “In realtà, avevo bisogno di raccogliere altri dati e di formare un gruppo di co-autori con diverse osservazioni per verificare se le proprietà della stella fossero coerenti con l’essere un terzo corpo del sistema di Fomalhaut.

Questa opportunità arrivò quando Mamajek si trovava in Cile e per caso, parlando con Todd Henry della Georgia State University, Direttore del Research Consortium on Nearby Stars. Una studentessa che ora è laureata, Jennifer Bartlett dell’Università della Virginia, stava lavorando per la sua tesi di dottorato su uno studio di nuove potenziali stelle che includeva la stella di cui Mamajek era incuriosito.

Analizzando attentamente le misure astrometriche (moti precisi) e spettroscopiche (che permettono di determinare temperatura e velocità radiale) i ricercatori sono stati in grado di misurare la distanza e la velocità della terza stella. Conclusero che la stella, fino a poco tempo fa nota come LP876-10, era parta del sistema Fomalhaut, rendendola così Fomalhaut C.

“Fomalhaut C sembra abbastanza lontana dalla grande e luminosa stella Fomalhaut A quando si guarda il cielo da Terra” ha aggiunto Mamajek. Ci sono circa 5,5 gradi tra le due stelle, che è come se fossero separate da circa 11 lune piene per un osservatore sulla Terra. Mamajek ha spiegato che appaiono lontane, in parte perché Fomalhaut è relativamente vicino alla Terra, a circa 25,1 anni luce. Se fossero più lontane dalla Terra, sarebbero apparse molto più vicine in cielo. Il fatto che appaiano molto lontane in cielo potrebbe spiegare la mancata connessione tra LP 876-10 e Fomalhaut. Essere in grado di ottenere dei dati di astrometria e di velocità di alta qualità è stata l’altra chiave importante.

I ricercatori hanno dimostrato che queste due stelle sono legate fra di loro, quindi non si muovono l’una indipendentemente dall’altra. “Fomalhaut A è una stella così massiccia, circa il doppio della massa del nostro Sole, che può esercitare una forza di attrazione gravitazionale sufficiente a mantenere questa piccola stella legata ad essa, nonostante la stella sia 158000 volte più lontana da Fomalhaut di quanto non lo sia la Terra dal nostro Sole” ha affermato Mamajek.

Mamajek ha lavorato con un grande team di collaboratori per ricostruire la storia di questa stella piccola ed interessante. “Henry e il team RECONS hanno compiuto un’indagine esaustiva dei dintorni del Sole, che caratterizza i sistemi stellari più vicini al nostro Sistema Solare scoprendo nuove stelle vicine” ha detto Mamajek. “Il suo team aveva già raccolto diversi anni di osservazioni su questa particolare stella, utilizzando SMARTS al Telescopio di 0,9m a Cerro Torolo, in Cile”. I ricercatori dovevano pure conoscere la velocità radiale della stella, che Andreas Seifahrt dell’Università di Chicago aveva misurato, e che risultava essere circa un chilometro al secondo rispetto a quella di Fomalhaut A.

Herschel_Fomalhaut

Fomalhaut e il suo disco di polvere. Crediti: ESA.

Vi sono altri 11 sistemi stellari più vicini al nostro Sole di quanto non lo sia Fomalhaut che consistono in più di tre stelle, tra cui il sistema stellare più vicino al nostro, Alpha Centauri. Le nuove misure nel paper mostrano anche che il sistema Fomalhaut è il più massiccio e il più ampio tra i sistemi multipli vicini.

Fomalhaut A è anche la 18° stella visibile più luminosa nel nostro cielo e una delle poche stelle con un esopianeta osservato in modo diretto e con un disco di detriti polverosi. La famosa stella è stata descritta in romanzi di fantascienza da scrittori come Isaac Asimov, Stanislaw Lem, Philip K. Dick e Frank Herbert. Pur essendo un sistema ben studiato, solo recentemente è stato confermato che Fomalhaut è un sistema triplo, con due stelle che orbitano attorno alla terza, sebbene tale idea fosse stata suggerita negli anni Novanta.

Una collega di Mamajek al Rochester, Alice C. Quillen, Professoressa di Fisica e Astronomia, da anni lavora nel comprendere come i pianeti plasmino i dischi di polvere stellare come quello attorno a Fomalhaut, così come la forma della sua orbita, perché l’anello di detriti sia fuori centro e perché abbia un bordo sorprendentemente marcato.

Molte delle domande sull’esopianeta di Fomalhaut A e sul disco di detriti rimangono ancora senza risposta. Ad esempio, gli astronomi sono perplessi perché il pianeta estrapolare conosciuto come Fomalhaut b sia su un’orbita così eccentrica e perché il disco di detriti non sembra essere centrato sulla stella Fomalhaut A. E’ possibile che i compagni maggiori di Fomalhaut, B e C, abbiano gravitazionalmente perturbato il pianeta Fomalhaut b e la fascia di detriti che orbita attorno a Fomalhaut A, tuttavia le orbite delle stelle compagne di Fomalhaut non hanno vincoli ben precisi. Le orbite di Fomalhaut B e C intorno a Fomalhaut A probabilmente impiegano milioni di anni per essere completate, per cui conoscere bene le loro orbite sarà una sfida per gli astronomi di domani.

Mentre Fomalhaut C è una stella nana rossa, il più comune tipo di stella nell’universo, Fomalhaut B è una stella nana di tipo K di colore arancio (Simbad: http://simbad.u-strasbg.fr/simbad/sim-id?Ident=TW+PsA) che ha circa il 75% della massa del nostro Sole. Dal punto di vista vantaggioso di un ipotetico pianeta in orbita attorno a Fomalhaut C, Fomalhaut A apparirebbe come una brillante stella bianca nove volte più luminosa di Sirio (la stella più luminosa del nostro cielo) per un osservatore da Terra, simile come luminosità a quella del pianeta Venere. Fomalhaut B apparirebbe come una stella di colore arancio simile come luminosità alla stella polare. L’età di questo sistema triplo è di circa 440 milioni di anni, approssimativamente circa un decimo dell’età del nostro Sistema Solare.

Articolo:
Eric E. Mamajek et al., The Solar Neighborhood XXX: Fomalhaut C, arXiv:1310.0764, disponibile su AtXiV: http://xxx.lanl.gov/abs/1310.0764

Fonte: University of Rochester- Researchers Find that Bright Nearby Double Star Fomalhaut Is Actually a Triple: http://www.rochester.edu/news/show.php?id=7302

Researchers Find that Bright Nearby Double Star Fomalhaut is Actually a Triple: http://www.rochester.edu/news/show.php?id=7302

Hershel spots comet massacre around nearby star: http://www.esa.int/Our_Activities/Space_Science/Herschel_spots_comet_massacre_around_nearby_star

Per ulteriori informazioni su Fomalhaut C, si visiti: http://www.pas.rochester.edu/~emamajek/fomc/index.html (informazioni tecniche).

Sabrina

Loading

Lettura del quotidiano

– Insomma, ma quando torna? Io mi sto annoiando, senza niente da leggere…
– Calma, calma. In fondo è uscito da un quarto d’ora appena…
– Ma che doveva fare? Perché ci mette così tanto? Il giornalaio è qui sotto!
– Vuoi vedere che si è fermato al BAR?
– Al bar, a fare che?
– A prendersi un cappuccino e cornetto, te lo dico io! E figurati poi se a noi ci porta niente!
– Ma no, come potrebbe? Lui pensa ancora che siamo pupazzi inanimati…
– Eccolo, ho sentito la porta! Zitti zitti, fermi!  Se siamo fortunati, tra poco lascia il giornale qui in stanza…

Loading

L’incontro con l’asteroide che potrebbe collidere con la Terra nel 2880

1950-da

Un’immagine radio dell’asteroide 1950 DA ripresa il 4 marzo 2001 da una distanza di 0,52 UA (1 UA è la distanza media Terra-Sole, pari a 150 milioni di chilometri). Crediti: S. Ostro, JPL. 

L’asteroide (29075) 1950 D fu scoperto il 23 febbraio 1950. Fu osservato per 17 giorni e poi svanì alla vista per mezzo secolo. In seguito, un oggetto, scoperto il 31 dicembre 2000, venne indicato essere lo stesso asteroide. Si noti che questa osservazione fu fatta all’alba del nuovo secolo ed esattamente 200 anni dopo la scoperta del primo asteroide, Cerere.

Le osservazioni radar furono compiute al Goldstone ed Arecibo tra il 3 e il 7 marzo 2001 durante il massimo avvicinamento alla Terra a circa 7,8 milioni di chilometri di distanza, che è circa 2,1 volte maggiore della distanza tra la Luna e la Terra. Gli echi radar rivelarono uno sferoide lievemente asimmetrico con un diametro medio di 1,1 chilometri. Le osservazioni ottiche mostrarono che l’asteroide ruotava con un periodo di 2,1 ore, il che lo rendeva il secondo asteroide scoperto di tali dimensioni a ruotare più velocemente.

Quando le misure radar di alta precisione furono incluse in una nuova soluzione orbitale venne scoperto un potenziale avvicinamento molto ravvicinato con la Terra per il 16 marzo 2880. Le analisi perfezionate da Giorgini et al. e pubblicate il il 5 aprile 2002 sul Journal Science [1] determinarono che la probabilità di impatto doveva essere di almeno 1 su 300, forse ancora più remota, stima basata su quanto era conosciuto allora dell’asteroide. Questo rischio poteva essere superiore di un 50% rispetto al pericolo medio prodotto da tutti gli alti asteroidi dell’epoca attuale fino al 2880, come definito dalla Scala Tecnica di Palermo (Palermo Technical Scale, PTS value= +0,17). 1950 DA è l’unico asteroide noto il cui rischio è al di sopra del livello base.

Tuttavia questi sono valori massimi. Lo studio indica che la probabilità di collisione per 1950 DA è meglio descritta in un intervallo che va tra 0 e 0,33%. Il limite superiore potrebbe aumentare o diminuire man mano che conosciamo qualcosa di più sull’asteroide nei prossimi anni.

E’ necessario esprimere il rischio sotto forma di intervallo perché non sono note completamente le proprietà fisiche dell’asteroide. Per esempio i dati radar suggeriscono due possibili direzioni per il polo di rotazione dell’asteroide. Se un polo è corretto, l’accelerazione della radiazione solare potrebbe cancellare in modo significativo l’accelerazione della radiazione termica. La probabilità di collisione sarebbe quindi vicino al valore massimo dello 0,33%. Se il polo della rotazione fosse invece vicino alla seconda possibile soluzione, allora ci sarebbero poche possibilità per una collisione. Ma vi sono altri fattori. E’ come se noi sapessimo di avere una moneta dove un lato ha l’80% di probabilità di uscire, l’altro ne ha un 20%, ma non sapessimo con esattezza di quali lati stiamo parlando. Si potrebbe solo dire che quando si lancia la moneta la probabilità di avere testa è di 80% oppure di 20%.

Che il rischio di impatto di 1950 DA venga escluso o meno in un momento successivo, i risultati di questo caso hanno un senso che va al di là della questione dell’impatto stesso.

A. Viene richiesta la conoscenza fisica degli asteroidi su tempi scala lunghi, in particolare per gli oggetti che gravitazionalmente incontrano dei pianeti. Indipendentemente da quanto precisa siano posizione e la misura della velocità di un asteroide le sue proprietà e l’ambiente ne influenzano la traiettoria.

B. La deflessione di un asteroide può essere fatta in modo semplice e con scarsa tecnologia, modificando le proprietà superficiali dell’asteroide, una volta dato un tempo sufficiente di avvertimento. Il tempo di avvertimento richiesto per il metodo può variare da anni a secoli, a seconda degli incontri gravitazionali lungo il percorso, che possono amplificare l’effetto.

C. Fenomeni ripetitivi di interazioni gravitazionali (chiamati risonanze) possono aiutare a mantenere la nostra capacità di prevedere le orbite nel futuro limitando la crescita di incertezze delle orbite da un punto di vista statistico.

D. Le misurazioni radar consentono di prevedere le traiettorie 5-10 volte di più nel futuro di quanto si riesca a fare con i telescopi ottici.

L’articolo di Giorgini et al. ha analizzato i fattori fisici che limitano tali previsioni a lungo termine. E’ stato trovato che il fattore più significativo che riguardava il moto a lungo termine nel futuro era il modo in cui il calore si propagava al di fuori dell’asteroide, nello spazio. Altri fattori discussi nell’articolo includono: la pressione di radiazione solare, l’incertezze nella massa dei pianeti, le attrazioni gravitazionali da parte di migliaia di altri asteroidi, la forma del Sole, le maree galattiche a causa di altre stelle, il vento di particelle solari e le imprecisioni hardware del computer.

Il caso di 1950 DA è differente da precedenti previsioni di pericolo. Per i casi precedenti, il rischio era stato rilevato sulla base di dati di alcuni giorni o settimane per un oggetto appena scoperto.

La regione di incertezza che circonda un oggetto allora è grande, a volte copre una parte significativa del sistema solare interno. Ulteriori misurazioni effettuate pochi giorni o settimane più tardi restringono la regione tanto che la Terra viene a trovarsi al di fuori del pericolo, fino a farlo scendere a zero.

Anche se altri asteroidi attualmente conosciuti possono rappresentare un rischio prima del 2880, la situazione con 1950 DA è unica. E’ basata sulle osservazioni che coprono 51 anni, vi sono dati radar di alta precisione, e vi è una geometria orbitale favorevole. Questo insieme di fattori permette di fare una previsione nel futuro lontano e di esplorare i limiti fisici di tali previsioni sulla probabilità di una collisione.

Anche se altri asteroidi attualmente conosciuti possono rappresentare un rischio prima del 2880, la situazione con 1950 DA è unica. E’ basata sulle osservazioni che coprono 51 anni, vi sono dati radar di alta precisione, e vi è una geometria orbitale favorevole. Questo insieme di fattori permette di fare una previsione nel futuro lontano e di esplorare i limiti fisici di tali previsioni sulla probabilità di una collisione.

Predizioni così lontane nel futuro richiedono una conoscenza della natura fisica dell’asteroide. Come si muove nello spazio, di cosa è fatto, la sua massa e le variazioni nel modo in cui riflette la luce influenza anche il modo in cui si muove nello spazio nel corso del tempo. Tale conoscenza dettagliata di 1950 DA non esiste al momento e potrebbe non essere disponibile per anni, decenni o più a lungo.

Tuttavia, a causa dell’intervallo di tempo estremamente lungo, pari a 878 anni, dell’ordine di 35 generazioni, potremo aumentare la nostra conoscenza su tale oggetto. Al  momento, non vi è alcun motivo di preoccupazione per 1950 DA. Ci sono vari metodi che potrebbero far deviare l’asteroide e le centinaia di anni da qui al 2880 aiuteranno  a trovare la strategia migliore.

[1] Giorgini et al., Asteroid 1950 DA’s Encounter with Earth in 2880. Physical Limits of Collision Probability Prediction, 5 aprile 2002, Vol. 296, 132-136Science, http://neo.jpl.nasa.gov/1950da/1950da.pdf .

Fonte: NEAR Earth Object Program – Asteroid 1950 DA – http://neo.jpl.nasa.gov/1950da/

Sabrina

Loading

Page 1 of 2

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén