Questo mi piace. Se ne sentono tantissimi di propositi, di esortazioni e proponimenti per il nuovo anno. Tanto che uno non ci fa più attenzione, di solito. Oppure lo fa per un  momento appena è poi se ne dimentica. Presto. Presto lascia stare tutti i vari propositi di cambiamento e riprende la vita solita.

Ecco, la vita solita.

Che poi, intendiamoci, niente vieta che la vita solita sia gratificante, appagante, variegata, variopinta. Però c’è il caso che se tu rimani esclusivamente agganciato a cose pratiche e necessarie, trascurando i tuoi sogni, c’è appunto il caso che qualcosa non vada proprio nel verso giusto.

Temevo come la peste l’arrivo di giorni in cui si sarebbe dovuto andare avanti solo per le bambine e per i conti da pagare e magari per mantenere un modo di vita e un insieme di rapporti e cose pratiche che non sapevo nemmeno più come cavolo fossero iniziati. O meglio, sapevo bene che erano iniziati come una fluttuazioni minimale e periferiche di un entusiasmo comunque sovrastante e sovrabbondante, una positività che ci assicurava in ogni caso un riparo e un rifugio dall’aridità in agguato nelle cose stesse. (Da Il ritorno)

Un cassetto può rimanere chiuso a lungo, a meno che non contenga dei sogni. Allora sei fregato. Allora ad un certo punto ti tocca aprirlo, il cassetto. Altrimenti i sogni vanno a male e i sogni non realizzati, non perseguiti, sono davvero un peso duro da portare.

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Photo Credit: lecates via Compfight cc

Faccio una piccola digressione. Ieri sera ho visto un film insieme a mia moglie, Appuntamento da sogno!, un film leggero ma non stupido. Un film romantico – e ogni tanto (mi) ci vuole. Ad un certo punto ho ascoltato una frase che mi ha così colpito che ho dovuto acchiappare di corsa l’iPad per appuntarmela subito, tanta era la paura di perderla.

Se desideri tanto qualcosa, e non fai tutto quello che è in tuo potere per ottenerlo, in pratica stai prendendo a schiaffi la vita.

Così quando l’altro giorno ho aperto il mail con la newsletter di Jeff Goins pensavo vagamente a qualcosa di quelle che si dicono sempre, per il cambio di anni. Magari detta bene, detta in modo inusuale, convincente: Jeff è bravo in questo. Pensavo di essere in qualche modo preparato, anche (purtroppo) a leggere eventuali esortazioni con sguardo cinico e disincantato. E invece mi ha fregato – sono rimasto davvero spiazzato.

This is the year you become a writer.

Ecco otto parole di fila che mi hanno colpito come poche altre. Hanno svelato cosa volevo, cosa vorrei, cosa cova sotto la cenere, cosa mi fa respirare se non la soffoco, non la comprimo. Hanno indicato cosa volevo dal nuovo anno, e avevo perfino paura di articolare tale domanda, delineare tale desiderio. Questo è l’anno in cui tu diventi uno scrittore. 

E questo avviene in maniera semplice, a piccoli passi, con applicazione costante. Così accetto assai volentieri la sfida che Jeff lancia dalla sue pagine: 500 parole al giorno per tutto il mese di gennaio. Io ci sto. Perché ha ragione lui, ancora una volta:

…what do writers do? They write, of course.

Perché essere uno scrittore non dipende dal fatto che si è pubblicati qui o là, non è una decisione esterna. Non dipende dalle circostanze. Dipende in primo luogo da se stessi, da una azione che non coinvolge che se stessi e solo dopo -semmai – si allarga al mondo: dipende dal fatto semplicissimo di scrivere. Sviluppare l’abitudine di scrivere e mantenerla nei giorni, con tranquillità.

Questo mi piace. Questo mi serve.

A questo, io voglio esserci.

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