Eccovi qui una recente intervista che ho rilasciato di recente a Marco Staffolani per Tendopoli, la rivista dell’omonimo movimento. Ringrazio Marco per avermela proposta, è stato bello e divertente prepararla. Trovate l’intervista anche su GruppoLocale.it 😉

Ciao Marco, benvenuto in questa rubrica scientifica del giornale Tendopoli. Descrivici brevemente chi sei, la tua famiglia, il tuo lavoro.

Ciao Marco, sono lieto di fare il mio ingresso nel vostro giornale!

Due parole sul sottoscritto, prima di addentrarci nella scienza? Ebbene, io sono Marco Castellani nato a Roma nel lontano novembre  del 1963. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto alla facoltà di Fisica presso la (allora neonata) Seconda Università degli Studi di  Roma “Tor Vergata”, dove mi sono laureato nel 1990. Nella stessa università ho conosciuto Paola, una bella ragazza che frequentava  il corso di laurea in Biologia e che poi, nel 1991, sarebbe diventata mia moglie. Ora viviamo sempre a Roma e abbiamo quattro  figli, Claudia, Andrea, Simone e Agnese. Per quanto riguarda il percorso professionale, dopo la laurea ho conseguito il dottorato in Astronomia, e infine sono entrato a tempo indeterminato presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove ora ricopro il ruolo di  ricercatore.
 
Riguardo le mie passioni, ho sempre avuto un forte interesse per la scrittura creativa: in questi ultimi anni ho scritto diversi racconti e  raccolte di poesie. In particolare un racconto, “La bambina e il quasar” è stato recentemente proposto in una scuola media inferiore, grazie all’entusiasmo di una professoressa di scienze. La cosa è stata per me di  grande soddisfazione, in particolare i commenti degli alunni mi hanno decisamente gratificato. Ho al mio attivo anche un romanzo vero e proprio, “Il ritorno”, il cui nucleo è stato realizzato partecipando al “National Novel Writing Month” del 2009,  un’avventura pazza ed entusiasmante il cui scopo era di scrivere 50.000 parole in un mese. Ce l’ho fatta e ne sono piuttosto fiero! Per questo e altro maggiori informazioni si trovano sul mio sito, www.marcocastellani.it (in particolare, segnalo la sezione “libri“).
 
Immagine artistica del satellite GAIA (Crediti: ESA)
 
Insomma, un astronomo ma non solo! Ma entriamo nell’argomento della rubrica: proprio alla fine dell’anno appena passato, il 19 dicembre, è partita la sonda GAIA, un progetto europeo nel quale l’Italia ha contribuito molto. Questo nome è curioso! può dirci quale è lo scopo di questo missione?
 
 
Certamente! Partirei proprio dal nome: GAIA sta per “Global Astrometric Interferometer for Astrophysics”, è una missione spaziale astrometrica realizzata dall’ESA, l’ente spaziale europeo. In realtà la parte di interferometria è stata da tempo abbandonata in favore di nuove specifiche per il progetto, ma il nome originale è rimasto (a volte noi scienziati siamo pigri, e poi GAIA era molto carino…). E’ un progetto molto grande ed ambizioso, che già da diversi anni coinvolge un gran numero di ricercatori e tecnici che collaborano da diversi paesi europei. In vari sensi si può intendere come la continuazione (enormemente migliorata) del progetto Hipparcos, una prima sonda dedicata all’astrometria (la misura della posizione e delle velocità delle stelle) che – nonostante le limitazioni – ha consentito un deciso passo avanti nella nostra conoscenza della Via Lattea – la grande galassia entro la quale viviamo – della quale sappiamo molto ma ancora molto ci rimane da comprendere.
 
Se pensiamo che GAIA compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle – per le quali avremo misure accurate di posizione e di moto proprio – a fronte di circa 120.000 facenti parte del catalogo finale di Hipparcos, abbiamo un primo sentore del gigantesco balzo in avanti nella conoscenza che promette la missione stessa. Da GAIA ci aspettiamo una vera e propria “mappa” tridimensionale della Galassia, un’opera davvero senza precedenti! Il lancio di GAIA è avvenuto con pieno successo appena prima del Santo Natale dello scorso anno, la mattina del 19 dicembre, dalla Guiana Francese. A bordo di GAIA vi sono due telescopi che hanno il compito di “spazzare” il cielo in maniera ininterrotta, mentre la sonda effettua una particolare orbita intorno ad un punto particolare dello spazio, chiamato “L2”, a circa un milione e mezzo di chilometri da terra. Nel corso dei suoi previsti cinque anni di autonomia, riuscirà a trasmettere a terra i dati di un elevatissimo numero di stelle. Inoltre, per maggiore precisione, ogni stella sarà osservata diverse volte: si pensi che dovremmo avere una media di settanta misurazioni per stella! Questo ci consentirà di raffinare la precisione delle misura a livelli finora impensabili, soprattutto per una quantità così grande di oggetti.
 
Quale è il tuo compito particolare in questa missione?
 
 
Per rispondere in maniera esaustiva, dobbiamo mettere l’occhio, sia pure rapidamente, a come viene concepita ed organizzata una moderna missione spaziale. Perché il progetto possa funzionare senza intoppi, è necessaria una divisione molto particolareggiata dei compiti, e un coordinamento preciso e puntuale tra le persone che lavorano nei diversi ambiti. Così ogni ricercatore si trova ad essere destinato ad una parte molto specifica del progetto, di cui è insieme massimo esperto e diretto responsabile. Il mio compito particolare, insieme con colleghi di Roma e di Teramo, consiste nel produrre e testare il software che si deve occupare di una situazione delicata ma frequente: l’estrazione dei profili stellari (ricostruire la “forma” delle stelle) dai dati, nel caso in cui le stelle risultino parzialmente sovrapposte sul rivelatore. Ci si aspetta che questo accada con grande frequenza, visto l’affollamento stellare della nostra Via Lattea (in particolare in zone come gli ammassi globulari, condensazioni di anche un milione di stelle in configurazioni a simmetria sferica, decisamente “impacchettate”).  La sfida è stata tutt’altro che banale, perché abbiamo dovuto soddisfare i requisiti di precisione con quelli imposti dal coordinamento, di velocità di esecuzione e di interfacciamento con le altre procedure. Il compito non era facile, ma pensiamo di essere riusciti a fare la nostra parte. Ora speriamo che GAIA… faccia la sua, e che – completate le operazioni tecniche di verifica – ci mandi a Terra i dati che tanto attendiamo!
 

GAIA potrà trovare anche pianeti in altri sistemi solari. Credi che ci sia vita nell’universo? in caso come te la immagini?

GAIA potrà certo trovare pianeti all’esterno del nostro Sistema Solare: al termine della missione, intorno al 2018, ci si aspetta un numero di circa 8000 pianeti rilevati, che non è affatto poco! Purtroppo per le caratteristiche del satellite, e per la difficoltà intrinseca di tale ricerca, non saremo in grado di dire se in alcuni di essi vi sia o vi sia stata la vita, comunque sarà un grande passo avanti per stimare la probabilità delle configurazioni planetarie più adatte alla vita. Come scienziato che si attiene ai dati, devo dire che finora non abbiamo nessun indizio di forme di vita intelligente oltre il nostro, nell’Universo. E’ vero che la vastità dell’universo fa ritenere a molti implausibile l’idea che la vita come la conosciamo si sia sviluppata solo sulla Terra. Tuttavia non sono ancora del tutto chiare le probabilità dei vari fenomeni che darebbero origine alla vita, e la stessa origine della vita rimane un mistero. In tale situazione, considerazioni filosofiche e metafisiche possono portare un ricercatore a ritenersi, in cuor suo, certo della diffusione della vita, e un altro a ritenere che la Terra possa essere il solo pianeta che la ospita. Se comunque vi fosse, non me la immaginerei molto diversa dalla nostra: dopotutto, gli elementi “base” per la costruzione delle forme di vita sono uguali in tutto l’universo, e anche i meccanismi biologici e chimici che la governano.

Marco in questa rubrica trattiamo di scienza ma anche di fede. La fede e la scienza hanno avuto nel corso dei secoli un rapporto dialettico. La domanda sorge spontanea: tu come vivi fede nel tuo ambiente di lavoro?
 
 
Ritengo che vivere la fede nell’ambiente di lavoro di uno scienziato non sia troppo diverso da quanto può capitare ad un qualsiasi credente in un diverso ambito lavorativo, sai come sfida che come possibilità. Tra gli astronomi (il campo dove posso più propriamente esprimermi, per la mia esperienza) si rintracciano difatti tutte le possibili posizioni dell’animo umano davanti alle sfida e alla portata della fede. Da chi non crede a chi è agnostico a chi è devoto e praticante, si possono incontrare scienziati  – anche di valore – che si fanno espressione di ognuno di questi atteggiamenti. Visto il momento storico, in ogni caso, mi pare che la sfida del cristiano sia di rendere ragione della sua speranza in un ambiente che, comunque, è ampiamente secolarizzato. La mia esperienza è che l’adesione alla fede renda più vivo e creativo anche il lavoro scientifico: Cristo non può non entrare in tutti gli ambiti! Vorrei citare al proposito un brano di Don Luigi Giussani, che intuì bene questa cosa già nella sua giovinezza “Una sera d’inverno in seminario, dopo cena (…), Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (…), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c’entra con la matematica?». Non avevamo ancora sedici anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. Quella domanda convogliò ad iniziativa organica tutto quanto, di pensiero, di sentimento, di operosità, la mia vita sarebbe stata capace di dare.” (da “Tracce“, marzo 2005.)
 
 
Si sente spesso dire che l’Italia è una patria di cervelli in fuga. Che in Italia non c’è spazio per chi vuole fare ricerca. Tu come vedi questa situazione italiana? 
 
 
Oggettivamente la situazione italiana dal punto della tutela e promozione di chi fa scienza o studia per farla, può sembrare sconfortante. E’ un dato di fatto che anche giovani di grande capacità sono costretti – per lunghi periodi o addirittura per la vita – a uscire dai nostri confini per trovare un posto di lavoro confacente alle loro abilità.  D’altra parte è la società contemporanea che comunque premia le persone elastiche e disponibili anche a dei sacrifici, per cui non è così difficile che una persona di buona volontà e di buona applicazione possa comunque trovare una sua strada, anche se comunque deve mettere in conto di passare dei periodi all’estero. Da questo punto di vista, la situazione sembrava migliore nel passato, e la crisi dalla quale stiamo tentando di uscire non ci ha certo giovato. Nonostante tutto l’Italia continua a sfornare scienziati di eccellenza e siamo presenti in tanti progetti importanti (non ultimo certo il caso di GAIA, che ha una presenza italiana importante). La speranza è che tutto questo ci aiuti a sollevarci, a ripartire con rinnovato entusiasmo, e soprattutto a dare più speranze anche ai giovani che scelgono di laurearsi in materie scientifiche.
 
 
Molti giovani leggono questa rubrica. Che suggerimento daresti loro riguardo al futuro? 
 
 
E’ una domanda delicatissima. Il suggerimento che mi sento di dare, in questo periodo di generale crisi che si esprime anche nel mondo del lavoro, è di mettersi in ascolto della propria interiorità, per capire il percorso al quale si è chiamati. Il criterio di scegliere un percorso di studi che “garantisca” il lavoro non è più un criterio valido, perché l’incertezza ormai raggiunge più o meno tutti gli ambiti. E’ piuttosto il momento di avere il coraggio di seguire la propria vocazione, fare silenzio dentro di sé e capire cosa veramente siamo “chiamati” a fare, per servire il Mistero e per servire, con la nostra opera, i nostri fratelli uomini. Sia che si faccia il lavapiatti, che si scriva, o che si indaghi l’universo primordiale; cosa che che dal punto di vista della dignità umana non fa assolutamente alcuna differenza.
 
 
Beh eccoci giunti alle battute finali. Marco, nella precedente puntata abbiamo parlato della cometa ISON. Come i lettori stessi avranno constatato nella notte di Natale non si è vista nessuna cometa nel cielo, segno evidente che la cometa non è riuscita a passare indenne il suo giro intorno al Sole che è avvenuto verso la fine di novembre 2013. Sarebbe stato sicuramente un bellissimo spettacolo! Ma se la cometa ci ha deluso, non è questa il solo astro che c’è in cielo. Penso di smuovere bellissimi ricordi tra i tanti tendopolisti facendoli ripensare allo spettacolo del cielo estivo sotto al gran Sasso: infatti l’esperienza comune per ognuno di noi guardando il cielo e le stelle, penso sia quella di percepire qualcosa che va oltre noi stessi. E per te? Che sensazione ti da guardare il cielo?
 
 
E’ proprio vero, ammirare il cielo è una esperienza affascinante. Il fatto che la cometa in larga parte sia stata purtroppo distrutta, non ci deve distogliere dall’esperienza incredibile che tutti dovremmo fare, almeno ogni tanto: rimettersi di fronte ad un cielo buio, magari lontano dalla città… per capire che, in realtà,tutto è, tranne che buio! Lo spettacolo della moltitudine di stelle, della fascia della Via Lattea, è qualcosa che fuor di retorica può essere solo provato, non certo descritto. Personalmente, rimirando la volta stellata, avverto un dolce senso di pace, e capisco che il creato è immensamente più ampio ed esteso di quello che di giorno avverto come “il mondo”. A differenza di altri, forse, non mi sento “perso” davanti all’immensità, piuttosto mi sento a casa. E’ meraviglioso pensare che Dio abbia creato tutto questo per noi… per me. Dal punto di vista umano, è una fantastica sfida alla logica di chi va “al risparmio”, negli affetti, nelle amicizie, nel dono di sé, nel “vivere intensamente il reale” (Giussani). E’ un Dio dell’abbondanza, quello che ha creato tutto questo, mi dico. E spero che il mio cuore spesso “in lotta” si apra definitivamente alla Sua più bella abbondanza, l’abbondanza della Sua misericordia e del Suo amore.
 

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