Blog di Marco Castellani

Mese: Marzo 2014 Page 1 of 2

La corsa pazza di ESO 137-001

La galassia a spirale si chiama ESO 137-001 ed è colta mentre sfreccia – letteralmente – attraverso il gigantesco ammasso di galassie Abell 3627, ad una distanza di circa 220 milioni di anni luce dalla Terra. Tra noi e la galassia, in questa bella immagine ottenuta componendo i dati dei telescopi spaziali Hubble e Chandra, si stagliano una serie di stelle della Via Lattea, verso la costellazione del Triangolo Australe.

CorsePazze

Crediti: NASA, ESA, CXC

La galassia spirale si muove a circa sette milioni di chilometri all’ora (in barba ad ogni considerazione di prudenza, potremmo dire…), ma lo fa pagando un caro prezzo: gas e polveri vengono impietosamente strappati via dalla galassia stessa durante il passaggio nel pur tenue mezzo interstellare. 

La materia dispersa dalla galassia è proprio quella responsabile della gigantesca “coda blu” che si prolunga fino all’angolo in basso a destra dell’immagine: l’estensione stimata dagli scienziati è di oltre quattrocentomila anni luce (per capirci, pariamo di una distanza dell’ordine dei quattro miliardi di miliardi di chilometri…). 

Dai dati di Hubble (in banda ottica) risulta evidente che lungo la tale coda blu, lasciata dalla galassia durante la sua corsa pazza, si sono formati veri e propri nuovi ammassi stellari, molto luminosi. Di converso, tutto il gas che la galassia ha perso e diffuso via, rende ormai difficile che si formino molte nuove stelle dentro la galassia stessa. E’ un po’ come se avesse disperso la “benzina” necessaria ad alimentare ogni processo di nuova formazione.

Sulla destra di ESO 137-001 potete osservare una galassia ellittica (l’addensamento color ruggine nell’immagine), decisamente più “tranquilla” di quella in fuga. A motivo della mancanza di gas e polveri, le galassie ellittiche non hanno significativa formazione stellare in corso: possiamo dire che sono come grossi pachidermi pacifici, che per lo più si lasciano “vivacchiare” senza mostrare grandi segni di esuberanza. 

Da chi corre e sperpera, a chi sta quieto e tranquillo, già contento del suo. Ma si sa, nello spazio c’è posto per tutti. 

Elaborazione di APOD 28.3.2014

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Universo al computer: l’arte moderna di simulare

Guardate bene l’immagine qui sotto. Straordinaria, nel suo livello di dettaglio, non trovate? Ebbene, se pensate che sia una parte dell’Hubble Deep Field o comunque una immagine reale dello spazio profondo, acquisita con qualcuno dei più grandi telescopi a terra o nello spazio, siete in errore (ma pienamente giustificati, viste le circostanze). La cosa notevole è che non state guardando una vera immagine dell’universo, ma una simulazione teorica. 

Visivo image 1 0

Settanta milioni di elementi per questa simulazione, che rende pienamente conto della varietà dell’universo: galassie ellittiche, nane, interagenti. E anche vuoti. E filamenti. Grazie alla potenza degli attuali elaboratori, il modello si avvicina sempre più alla realtà così come la osserviamo. Crediti immagine: Becciani U. et al.

Per la precisione, l’immagine mostra la bellezza di settanta milioni di elementi ed è ottenuta da una simulazione ad N corpi  creata attraverso VisIVO (Visual Interface for the Virtual Observatory). VisIVO è una collezione di software open source con il quale si possono realizzare immagini da dati astrofisica su larga scala. Con tale software – e con simili tecnologie informatiche – gli astronomi sono ora in grado di processare enormi set di dati, anche provenienti da diverse sorgenti, e combinarli in visualizzazioni tridimensionali, che risultano estremamente accurate.

Così l’universo osservato e l’universo simulato si avvicinano sempre di più, magari in un futuro arriveremo ad un livello di dettaglio ora impensabile… chissà, se noi stessi fossimo una simulazione molto ben realizzata, da qualche ignota civiltà? Scenario da fantascienza, abbastanza irreale ma comunque suggestivo, almeno dal punto di vista letterario!

Tornando… con i piedi per terra (ma il naso in sù come sempre), è interessante anche il fatto che il computing power che ha reso possibile questa simulazione sia tutto italiano: precisamente, viene dal Consorzio Cometa, una rete grid di computer (ovvero, una infrastruttura di calcolo distribuito, di solito usato per l’elaborazione di ingenti quantità di dati) sparsi su sette diversi siti, tutti localizzati in Sicilia. Cometa fornisce l’accesso alla bellezza di 250 CPU e ben due terabyte di spazio di memorizzazione.

Elaborazione di un post da Astronoming Computing Today

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Il primo sistema di anelli attorno ad un asteroide

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L’asteroide Chariklo in una rappresentazione artistica con due anelli. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger. Fonte ESO: http://www.eso.org/public/italy/images/eso1410c/

La grande scoperta è arrivata dall’ESO: il remoto asteroide Chariklo è circondato da due densi e stretti anelli.

Telescopi in ben sette luoghi differenti nel Sud Ameria, tra cui il telescopio danese di 1,54 metri e il telescopio TRAPPIST all’Osservatorio di La Silla dell’ESO in Cile sono stati utilizzati per fare questa sorprendente scoperta ai confini del nostro Sistema Solare interno, ossia oltre l’orbita di Nettuno.

Questo risultato suscita grande interesse e dibattito dato che Chariklo rappresenta il più piccolo oggetto, oltre che estremamente lontano, all’interno del nostro Sistema Solare ad avere un sistema di anelli. E’ il primo asteroide ad avere questa caratteristica a parte i quattro pianeti giganti gassosi: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

La scoperta è avvenuta durante un transito sul disco della stella UCAC4 248-108672 il 3 giugno 2013, visibile dall’America meridionale. La stella è svanita per pochi secondi quando l’asteroide è transitato davanti, una vera e propria occultazione. Lo stesso metodo che usa il Telescopio Spaziale Kepler della NASA per osservare pianeti extrasolari.
In questo caso i cali di luce sono stati due. Grazie alle osservazioni in punto differenti è stato possibile calcolare la forma, la larghezza e le altre caratteristiche degli anelli appena scoperti.

Si fa l’ipotesi che tale sistema di anelli si sia formato dai detriti lasciati da una collisione. Ma ora ci si aspetta che Chariklo abbia almeno una piccola luna che gli ruoti attorno.
I responsabili del progetto hanno provvisoriamente chiamato questi anelli con i nomi di Oiapoque e Chuí, due fiumi alle estremità Nord e Sud del Brasile.

Ulteriori informazioni su ESO-http://www.eso.org/public/italy/news/eso1410/ in italiano.

Fonte ESO: First Ring System Around Asteroid – http://www.eso.org/public/news/eso1410/
ESO Cast – episodio 64 First Ring System Around an Asteroid – http://www.eso.org/public/announcements/ann14022/

Sabrina

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Una sorpresa ai bordi del Sistema Solare!

Decisamente siamo in clima di annunci roboanti. Dopo quello recente sulle onde gravitazionali, ora il sito dell’Osservatorio Spaziale Europeo (ESO) ospita un comunicato capace indubbiamente di destare la curiosità dei più.

A quanto si legge, un team internazionale di astronomi, guidati da Felipe Braga-Ribas (Brasile)ha utilizzato una serie di telescopi posizionati in diverse zone del Sud America, tra le quali il “Danese” da 1.54 metri e il telescopio TRAPPIST (un 60 cm posizionato a La Silla in Cile, interessante acronimo per TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescope) per effettuare una sorprendente scoperta nella zona esterna del nostro Sistema Solare. 

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L’osservatorio ESO di La Silla, in Cile (Crediti: ESO website) 

Il comunicato non indulge in particolari: dice solo, in maniera squisitamente sibillina, che il risultato inatteso è destinato a risolvere diverse domande rimaste inevase e ci si aspetta che provochi un forte dibattito. 

L’uso di telescopi ottici e in particolare di TRAPPIST fa pensare a primo acchito, a qualcosa che ha a che vedere con pianeti o comete o corpi minori del Sistema Solare… ma ovviamente qualsiasi ipotesi, vista la penuria di notizie del comunicato, sarebbe davvero azzardata.

Non ci resta che attendere la conferenza stampa che sarà tenuta in Brasile, nella giornata di domani.

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Chiaroscuro marziano (e non)

Sono le ombre a creare un bellissimo e drammatico effetto di contrasto tra chiaro e scuro, in questa illustrazione ad elevato dettaglio della superficie del pianeta Marte. L’immagine è stata acquisita il 24 gennaio di quest’anno per mezzo della camera HiRISE che si trova a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter.

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La sonda (MRO, in breve) è stata lanciata dalla NASA nell’agosto del 2005, ed è concepita per realizzare osservazioni del suolo marziano ad altissima risoluzione. Interessante il fatto che MRO ha già compiuto da tempo la sua ‘ordinaria’ missione scientifica , e gode adesso di un ‘periodo esteso’ durante il quella viene usata allo scopo di disporre di un canale di comunicazione con la terra per  altri esperimenti scientifici.

La scena occupa circa un chilometro e mezzo in ampiezza e si estende attraverso una duna di sabbia all’interno di un cratere. E’ stata “catturata” quando il Sole era appena cinque gradi sopra l’orizzonte, in modo che soltanto le creste delle dune si vedono in luce piena.Con il lungo, freddo inverno marziano che si sta avvicinando nell’emisfero sud del pianeta rosso, si possono scorgere zone di ghiaccio su parte delle dune…

Terminiamo con un esempio eccellente di chiaroscuro:  l’immagine che vedete qui sotto si deve a Geertgen tot Sint Jans (circa 1490), e si chiama Natività di Notte. Come potete capire dal confronto tra le due, non sembra del tutto ingiustificato parlare di un effetto di chiaroscuro anche per le immagini di Marte… Uno dei casi non così infrequenti nei quali l’immagine scientifica acquista valenze indubbiamente – in un certo qual modo – “artistiche” …

Geertgen tot Sint Jans 002

Elaborazione da APOD del 22 marzo 2014

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La città di Londra (e il parco)

Lo sai che più si invecchia / più affiorano ricordi lontanissimi canta Franco Battiato nella stupenda Mesopotamia (qualche anno fa, per l’appunto). E chissà, chissà se è questo il motivo, od altro. Comunque nel godermi i miei quindici giorni di prova di Deezer (no grazie, penso che rimarrò su Rdio, soprattutto perché, cari miei, non avete lo stupendo catalogo di musica classica Naxos, una autentica delizia), dopo il quasi obbligatorio (per me) Man on the Rocks, mi sono scaricato per l’ascolto offline, anche London Town. Così, cercando cosa mettere sull’iPhone, mi è venuto da scegliere quello.

Lo so, lo capisco. I più giovani tra voi non avranno assolutamente idea di cosa stia parlando. Ebbene, London Town è un disco dei Wings, la formazione di Paul McCartney post-Beatles. McCartney, un tipo che occhio e croce ha fatto un buon pezzo di storia della musica popolare nel secolo scorso.

MarzoLondra

Non era proprio ben tempo, quei giorni di marzo dell’anno scorso, a Londra…

Ora, è evidente, c’è qualcosa davanti alla quale dobbiamo fermarci. Tutti.

C’è il fatto che dopo i Beatles non ci sono state opere così assolutamente magnifiche, coeve, meravigliose, brutali e compiute come quelle, da parte dei componenti del quartetto. Palesemente, non c’è stato un altro Abbey Road. Pur realizzando cose interessanti, belle, fighe, nessuno degli ex Beatles vi si è nemmeno avvicinato.

Non state ad eccepire. Sono abbastanza sicuro che sia così, oggettivamente.

Ma non sarebbe stato comunque facile avvicinarsi di nuovo ad un assoluto di tale meraviglia.. Penso, sono cose che ti vengono concesse una volta nella vita, forse.. quando tutti gli ingredienti – momento storico, momento personale, creatività, frustrazioni, situazione sociale, favore del cielo – congiura perché si arrivi a questo. Ad impastare il banale per farne il sublime. 

Che poi, in ogni caso, le registrazioni di London Town iniziano proprio ad Abbey Road. Guarda tu.

London Town non sarà un capolavoro. D’accordo. La parola la riserviamo ad altre cose, a ben altre opere. Epperò si deve almeno dire che pesca nella bellezza melodica e ci pesca a piene mani, senza lesinare. Me ne accorgo, come sempre, quando corro. Allora la percezione della musica è più vivida, meno velata. L’altro giorno correvo con la città di Londra nelle orecchie ed ero in mezzo al Parco di Aguzzano immerso nel verde preprimaverile, con tutte le sue seduzioni, ma ero anche – potenza della musica – catapultato a respirare gli odori e gli umori di Londra. Di una Londra che ancora mi parla, rivista pochi mesi fa, pur se di sfuggita, assaporata proprio… di corsa. 

Ora, sarà banale dire che ogni luogo è un luogo del cuore, è come una categoria. Nasconde un assoluto. Un modo specialissimo ed unico e fragrante di intendere le cose e i rapporti. Come se tutte le cose, tutti i significati, vengano segretamente rinegoziati in ogni specifica posizione del globo. Sì, ovvio, i nomi delle cose son gli stessi. Ma l’essenza delle cose prende un tono, un colorito, diverso, specifico. Ecco perché viaggiando si impara sempre molto. 

Corro nel parco ma anche su una banchina del porto di Londra (la sinistra, per la precisione). Complice il lavoro che in pieno accordo con il titolo, presenta in apertura una coppia di canzoni squisitamente geografiche, e musicalmente magnifiche, come appunto London Town, la title track, e Cafe on the Left Bank. Non conosco molte canzoni geografiche riuscite, ma queste senz’altro lo sono. Del resto il baronetto McCartney è inglese fino al midollo, e il suo gruppo è perfettamente credibile nel dipanare questo materiale verso le mie orecchie. 

E allora sei nel clima di Londra, puoi sentire la pioggia d’argento cadere sul  selciato sporco di Londra, oppure ti trovi di botto in un Cafè sulla Left Bank, sorseggi un vino comune, “toccando con gli occhi tutte le ragazze” (a volte capita, eccome se capita, siamo fatti di carne, dopotutto). Curioso, il senso di Londra mi arriva anche se non comprendo tutte le parole: è la musica, il tono di voce, gli attacchi e i ritornelli, è l’insieme che me lo porta. 

E’ nel mezzo di I’m Carrying (come Yesterday, come certo Battisti, ha bisogno di una chitarra e basta per rivelare la sua innervatura di semplice meraviglia) che mi prende come una folgorazione. Correndo mi si appiccica addosso una frase, che non avevo mai ascoltato bene

And if my reappearance lacks a send of style…

e invece stavolta mi colpisce come un’ombra poetica, come quando le parole si incastrano bene per evocare il mistero che sempre c’è dietro e che spesso la banalità del parlare uccide. Quello davanti al quale il cuore si calma e si meraviglia insieme.

Continuo a correre, alternando corsa vera e propria a passeggiata. Di solito nelle canzoni più belle riesco a correre di più, non sento la fatica.

London Town scorre e Children Children è un piccolo incanto che mi porge, una favola delicata cantata dal miglior affabulatore: dice che c’è spazio, c’è ancora spazio per la magia, per l’imprevisto, per la dolcezza trasversale nelle cose.

Girlfriend è easy listening di alta fattura (intanto sono arrivato al bordo del parco, dalla parte di San Gelasio, giro e torno giù), elegante e patinato anche se non pesca molto in basso, si accontenta di una navigazione di superficie. Si può anche ascoltare, con un sorriso.

Dopodiché le cose cambiano, improvvisamente. Attenzione, se siete arrivati fin qui, ecco il meglio. 

Qui le cose cambiano.

Famous Groupies e subito dopo Deliver Your Children sono un brivido continuo, una condizione estatica prolungata su diversi minuti. Grandissima arte, mestiere, perizia. Gioia delle note, gioia di fare musica. Li percorro correndo, bevendomi la musica che entra dagli auricolari, viene processata, va subito in circolo, allenta la tensione dei pensieri, scende nei muscoli, scioglie l’indecisione e contrasta il dubbio che avvelena, riporta energia negli arti. 

E’ pazzesco, a pensarci, che dopo le vette di Deliver Your Children arrivi un puro divertissement – esilissimo e divertito – come Name And Address. Non è certo ricco di sfaccettate profondità, il testo.. 

If you want my love, leave your name and address

Ma va bene, è un viaggio non solo dentro Londra, ma tra il sublime e il banale. Come in un vero viaggio, devi essere disposto ad incontrare tutto. Anche canzoni come queste sono comunque riscattate dal fatto che senti che si divertono, questi suonano e si divertono – e questo divertimento arriva fino a te, è contagioso.

Don’t Let it Bring You Down è una ballata dolce e suadente, quasi accorata nella sua dolce, insistente perorazione…

When the price you have to pay is high

Don’t let it bring you down

Ecco a questo punto accetto tutto, anche Morse Moose And The Grey Goose che chiude il disco, per dire. Beh se vogliono fare un pezzo così, vorrei dire, ne hanno facoltà. 

Io intanto smetto di correre, è ora di rientrare a casa. Lascio il parco dietro le spalle. Il parco che oggi era collegato con Londra, per questi misteriosi canali spaziotemporali che si aprono e chiudono continuamente.

Bizzarrie di un universo, come il nostro, ordinario solo in apparenza.

 

 



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L’impronta dell’onda gravitazionale. E la pazienza della ricerca

Potrebbe essere una scoperta epocale; la “firma” lasciata dalle elusive onde gravitazionali – predette dalla teoria, a lungo cercate ma fino a ieri senza successo –  in un universo veramente ai primi istanti della sua esistenza. Non mi dilungo qui perché la notizia è stata riportata in numerosi siti (potrete vedere una panoramica degli articoli più interessanti nelle notizie che appaiono oggi sulla nostra pagina Facebook). Per chi volesse una buona introduzione alla faccenda, segnalerei gli articoli apparsi su MEDIA INAF, su Sussidiario.net (dove si trova una intervista all’astrofisico Marco Bersanelli) e l’articolo di Leopoldo Benacchio sul Sole 24 ore.

A proposito dell’articolo di Leopoldo Benacchio (eccellente divulgatore, amico e soprattutto professore ordinario presso l’Osservatorio Astronomico di Padova) segnaliamo che l’autore si è reso gentilmente disponibile a rispondere a dubbi e domande relative alla clamorosa scoperta, presso il nostro “spazio BAR” dentro Facebook: a tale scopo è sufficiente lasciare un commento al post a firma di Leopoldo comparso alcune ore fa nel medesimo spazio. Consiglio di approfittarne!

Anche il sito APOD apre "ovviamente" con una immagine legata alla clamorosa scoperta, che corroborerebbe lo scenario dell'inflazione cosmologica. Crediti:  BICEP2 Collaboration, NSF, Steffen Richter (Harvard)

Anche il sito APOD apre “ovviamente” con una immagine legata alla clamorosa scoperta, che corroborerebbe lo scenario dell’inflazione cosmologica. Crediti: BICEP2 Collaboration, NSF, Steffen Richter (Harvard)

Anche i giornali “cartacei”, come d’obbligo, oggi dedicano ampio spazio alla notizia veramente “sensazionale”, annunciata ieri pomeriggio in una attesissima conferenza stampa presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics dai responsabili di una collaborazione di varie università ed enti di ricerca di Usa e Canada. Insomma una giornata “preziosa” in cui la scienza viene riportata con grande enfasi agli altari della cronaca.

Va appena ricordato che il risultato diffuso ieri è frutto di una ricerca e di una applicazione paziente e silenziosa durata diversi anni. Sarei tentato di sottolinearlo, la ricetta per ottenere un risultato che rimane nel tempo, nella scienza come altrove, è sempre quella che sappiamo: applicazione paziente, fiducia. E soprattutto, passione per il reale, disponibilità a stupirsi.

Ora, e ancora.

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E gira gira… il Sole

La Terra gira su se stessa, lo sappiamo bene. Quello a cui spesso non pensiamo, però, è che anche le stelle sono soggette ad un analogo moto di rotazione su se stesse. Come è ovvio, delle stelle lontane non possiamo ancora dire molto della loro rotazione, dal punto di vista osservativo. Sono comunque ormai molteplici gli indizi teorici che indicano come gli effetti delle rotazione influenzino l’evoluzione e la vita delle stelle, anche in maniera importante – tanto che la rotazione è ormai tenuta in debito conto nei modelli più recenti di evoluzione stellare

Del Sole però possiamo avere un quadro osservativo molto definito – ed anche abbastanza suggestivo – del suo moto di rotazione. Guardate ad esempio il video qui sotto, realizzato con dati dalla missione Solar Dynamic Observatory, lanciata nel 2010 con lo scopo di osservare la nostra stella per cinque anni almeno. I dati sono molto recenti, perché il montaggio si riferisce all’intero mese di gennaio 2014.

Video Credit: SDO, NASA; Digital Composition: Kevin Gill (Apoapsys)

L’immagine più grande a sinistra riguarda la cromosfera (in luce ultravioletta), mentre la prima delle più piccole, in alto a sinistra nel gruppo di sei, è proprio il Sole… come lo conosciamo, ovvero la fotosfera in banda visibile. Il resto delle immagini sono probabilmente meno familiari (ma non per questo meno interessanti) perché si riferiscono tutte ad emissione in banda X, ad opera di rari ioni di ferro presenti nella corona (in falsi colori, per evidenziare le peculiarità).

Forse quello che colpisce di più, osservando il video, è il fatto che il sole cambia in maniera vistosa durante la rotazione. Le macchie solari sono lo spettacolo principale, ma evidentemente tutta la superficie è in “subbuglio” continuo.

Le stelle  sono tutt’altro che quiete, insomma. Come tutto il nostro universo, a pensarci bene.

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