Sono sempre più persuaso che la rivoluzione vera cominci dall’interno. Dall’interno di noi stessi parte un rinnovamento che poi investe il modo di rapportarci con le altre persone, con il mondo. La rivoluzione di oggi comincia dalla persona. Ed è certamente la più complicata: comporta infatti un lavoro su se stessi. Comporta l’abbandono dell’ego violento e l’inizio di un modo nuovo di vedere se stessi e il mondo. E’ un lavoro prima di tutto di sapiente costruzione, non di pura distruzione.

A proposito di rivoluzione Mentre sono all’Auditorium per la sesta di Mahler, mi viene in mente un post di qualche tempo fa. Sì perché qui avverto serpeggiare istanze di sovversione dell’ordine stabilito, più sottili ma più efficaci di quelle magari altrove esplicitamente proclamate. 

I tempi stanno cambiando. Vero. Eppure. Ci sono modi e modi di portare una nuova coscienza dei tempi.  C’è un modo che è pure dirompente (il nuovo è nell’aria, non lo puoi fermare: la stasi è velenosa, mortifera) ma insieme pieno di rispetto e di amore per la tradizione con la quale sei cresciuto. Il materiale sonoro della sesta è così, così nuovo e insieme così radicalmente innestato nella tradizione.

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Foto di Gaia Cilloni. Licenza fotoAttribuzioneNon commercialeCondividi allo stesso modo Alcuni diritti riservati 

A pensarci è una cosa incredibile, impressionante. Questo è ciò che fa Mahler, usa degli strumenti espressivi che ha ricevuto, che ha studiato, che ha imparato a maneggiare. Che ha amato ed ama. E li porta, seguendo le regole interne alle estreme conseguenze, quasi fuori da loro stessi, in un processo di straniamento ed insieme di novella illuminazione. Così sono le stesse regole formali a mostrare i limiti, ad essere forzate ad aprirsi alla novità, senza che si debba rinnegare niente di quello che è stato fatto fino ad ora.

Quello che in questo approccio manca totalmente – ascoltando Mahler uno se ne rende conto bene – è l’ansia di fare tabula rasa per ripartire con il nuovo. Niente di questo, nella sua Sesta. Si avverte invece un grande rispetto per l’esistente: ti dice vedi fin dove ti posso portare lungo questa strada… Ci vuole sapienza per allargare la strada, padronanza di mezzi e confidenza per imboccare sentieri nuovi con l’equipaggiamento consueto. Ed è una vera rivoluzione, perché crescendo lo capisci, la rivoluzione vera non passa solo per il messaggio ma deve abbracciare la forma. Perché non si tratta di un ulteriore contenuto mentale da immagazzinare, da assommare agli altri, ma è una forma di sentire diversa. Non è infatti una accumulazione, è una conversione. Ecco, forse qui può aprirsi il contatto con quel lavoro su se stessi, di cui si diceva in apertura.

La rivoluzione quando è vera? Quando si innesta nei cuori, lascia traccia, crea un luogo dove si può tornare, si può tornare a frequentarla ed appare comunque – anche a distanza di tempo – piena di ragioni. Per rimanere a Mahler, oggi si può ascoltare la Sesta, la deliziosa Quarta, la intrecciata e mirabolante Quinta, la struggente e misteriosa Nona (per non parlare di quella avventura emozionante che nasce dalla ricostruzione degli appunti della Decima, la cui vera prima deve essere avvenuta davanti al Mistero) e deliziarsi del fatto che questa musica ancor oggi è tutta piena di ragioni. Ovvero, è piena di risonanze con l’intreccio doloroso e misterioso ed emozionante della propria interiorità. Risonanze che scendono e vanno negli strati profondi: come pesciolini di profondità, i grappoli di note illuminano zone che sembravano nascoste, celate. Ed è una procedura salutare, come sempre l’arte. Ricompatta, rende ordinati, più robusti, più pazienti, più capaci di stare saldi, con i piedi per terra.

Attenzione dunque: Mahler #6 ha la rivoluzione inclusa. Di quelle non violente. Di quelle che fanno respirare.

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