Si chiamava “The Great Moon Hoax”, ovvero “La grande burla della luna”.  Si era nel lontano 1835 e la conquista della luna era ancora nel campo della pura immaginazione.  Così come quello che si sarebbe potuto trovare lassù. Il quotidiano New York Sun, a partire dal mese di agosto, pubblicò una serie di articoli riguardanti – nientemeno – che la scoperta della vita e della civiltà sul nostro satellite. L’autore delle scoperte sarebbe stato nientemeno che John Herschel, astronomo famosissimo al tempo. 

Ora, è chiaro che doveva trattarsi di articoli satirici. La cosa piuttosto impressionante, a ripensarci ancor oggi, è il fatto che vennero presi in tutt’altro modo. Per diverso tempo vennero presi sul serio. Tanto da essere tradotti in altre lingue. Perfino in italiano, con l’uscita a Napoli, l’anno successivo, di un libretto intitolato Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel.

Litografia della Great Moon Hoax di un “anfiteatro di rubino” per il New York Sun, 28 agosto 1835

Pur trattandosi di una burla, appunto, pianificata probabilmente anche con lo scopo di aumentare la tiratura del giornale (e in questo, ebbe pieno successo) è illuminante per farci comprendere al giorno d’oggi a noi – smaliziati uomini del secolo XXI, avvezzi a ragionare delle profondità cosmiche più lontane – di quale enorme curiosità e quale senso di possibili meravigliose scoperte fosse avvolto il nostro satellite. Ora sappiamo che la realtà è molto meno suggestiva, in un certo senso. La luna – l’unico satellite naturale di cui disponiamo – è fredda e piuttosto desolata. Ce lo hanno ben testimoniato anche gli astronauti.

Pensate però a che nuvola di mistero ancora la circondava, per l’uomo di inizio ottocento. Quali civiltà, quali meravigliosi esseri popolavano questo satellite? Chissà quanti ragionamenti arditi nelle notti di luna piena, quante elaborazioni fantastiche, quanti tentativi di immaginare cosa potesse davvero esserci. Ecco, gli articoli ebbero così tanto successo perché venivano incontro a questa curiosità diffusa: in un certo senso, rispondevano ad un bisogno culturale.  Come noi oggi ragioniamo intorno al possibile destino dell’Universo, alla sua remota origine, ci perdiamo nella nozione intellettuale degli universi paralleli, così gli uomini allora, probabilmente, si chiedevano quali creature popolassero la nostra  luna.

Gli articoli del New York Sun interpretavano questo bisogno, rispondevano ad una curiosità diffusa.

Con il trucco di attribuire le scoperte ad uno scienziato famoso (il quale ovviamente non aveva mai osservato nulla del genere), tali articoli non difettavano certo in immaginazione, perché descrivevano minutamente una topografia lunare alquanto intrigante, con foreste, mari interni, piramidi di quarzo di colore lilla. Non era tutto. Altro che sassi. La luna era decisamente popolata. Bisonti, unicorni blu, creature anfibie nei fiumi, tribù primitive che abitavano delle capanne, uomini alati che vivevano in una sorta di pastorale armonia in un suggestivo tempio dal tetto d’oro.

Furono decine di migliaia le copie vendute dal New York Sun prima che qualcuno si rendesse conto che era … fantascienza, non scienza. Tanto per capire la proporzione, considerate che già l’edizione con la seconda puntata vendette la bellezza di diciannovemila copie, ottenendo la diffusione più ampia di qualsiasi altro quotidiano su tutto il pianeta.

La bufala si estese in maniera virale, anche (dettaglio non trascurabile) tra gli scienziati, prima che qualcuno capisse che si trattava di una completa invenzione. Del resto, la scienza ufficiale non viaggiava molto lontano da quanto l’articolista (forse tal Richard Adams Locke, nella realtà) aveva osato immaginare. A ulteriore conferma del fatto che la scienza non è mai avulsa dal suo tempo e – lungi dal costituire  una sorta di indagine asettica del reale – incarna e fa propri gli aneliti e i desideri più propriamente umani caratteristici di ogni epoca.

Come pensare altrimenti, se consideriamo infatti che un docente di astronomia presso l’Università di Monaco, Franz Von Paula Gruithuisen, aveva pubblicato nel 1824 un documento che si intitolava “La scoperta di molte distinte tracce di abitanti lunari, in particolare di uno dei suoi edifici colossali” (già il titolo farebbe sobbalzare sulla sedia qualsiasi scienziato odierno) nel quale sosteneva di aver osservato diverse tonalità di colori sulla superficie del nostro satellite, che lui correlava – disinvoltamente, diremmo oggi – con diversi climi e differenti zone di vegetazione? Arrivando perfino a correlare linee e forme geometriche da lui osservate con la probabile esistenza di muri, strade, città e fortificazioni? Va detto che un margine di eccentricità doveva comunque essere percepibile anche allora, perché probabilmente – al di là dell’aumento di tiratura – teorie come quella di Gruithuisen erano proprio il bersaglio dell’operazione satirica.

Consideriamo comunque che queste teorie – per quanto eccentriche ci sembrino oggi – erano il prodotto accademico di scienziati professionisti. Certo non tutti erano così fantasiosi, non tutti azzardavano ipotesi così rischiose, ma tant’è. Sorprende, forse. Ma solo a chi non comprenda come la scienza sia molto, molto più umana (e dunque molto, molto più interessante) di come tanta cattiva cultura, ancora permeata di influssi crociani, ci porta a pensare. Quella “cultura” che vede la scenza appena  come misuratrice della realtà.

No, la scienza è molto di più. E anche questi episodi “minori” ce lo insegnano.

La scienza è legata intimamente alle altre attività culturali dell’uomo (ove l’uomo ricerca la natura e il senso di sé nel mondo), è iscritta a pieno titolo nel suo tragitto culturale e di scoperta.

E’ insomma parte integrante dell’avventura umana. 

(Elaborazione dalla voce di wikipedia Great Moon Hoax, alla quale si rimanda per approfondimenti e link.) 

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