Ci voleva probabilmente questo. Rimanere fermi in autostrada. Un suocero, un cane, la moglie, due figlie (non in ordine di importanza). Tra Valle del Salto e Tornimparte, per la precisione. Nemmeno questo, nemmeno riuscire ad arrivare al casello, portarsi fuori dall’autostrada.

Per la cronaca, alla partenza tutto a posto. Però l’aghetto della temperatura dell’acqua, dopo un po’, inizia a muoversi spiacevolmente verso le alte temperature. Strano. Sarà il traffico. Allontanandosi da Roma le macchine si sgranano, si cammina più spediti. Bene. Mi aspetto che la temperatura si riallinei a valori più tranquillizzanti. E invece no. Che strano. Mi fermo e rabbocco acqua. Il benzinaio mi rassicura, mi dice di farla raffreddare un po’ e ripartire. Così va tranquillo fin dove deve arrivare.

Prendete nota. Non è sempre bene fidarsi di chi ti rassicura.

Infatti si riparte ma è soltanto, come si suol dire, l’inizio della fine. La situazione precipita, l’acqua bolle come in un pentolone per la pasta (ma la pasta non c’è, il sugo nemmeno), la spia dell’olio si accende pure lei, tanto per fare compagnia e partecipare alla festa.

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Photo Credit: Rossco ( Image Focus Australia ) via Compfight cc 

Ok, non proprio così, ma quasi… 😉

Siamo in caduta libera ormai. Tocca fare del nostro meglio, subito.

Falling, falling… 

Five miles out

Just hold your heading true

Got to get your finest out

Climbing Climbing

Mike Oldfield, Five Miles Out

Ok, calma. Tra poco siamo al casello. Si esce, ci si ferma, e si ragiona sul da farsi. Dieci chilometri, cinque… l’acqua scalda sempre più. Sudo freddo. Siamo al collasso. Un beeeep beeeep mai sentito prima a bordo, segnala che l’automobile – o la sua parte elettronica – giudica inaccettabile proseguire in queste condizioni, e spegne tutto.

Faccio appena in tempo a mettermi in corsia d’emergenza.

Vi risparmio il seguito. Carro attrezzi, officina, prospettiva di costi esorbitanti, rientro tramite pronto (e generoso) soccorso del cognato. D’altra parte, è una cosa che capita a molti. Peraltro, non è questo che mi preme di raccontare.

E’ quello che è capitato dopo. Il giorno dopo.

E’ domenica. Mi ritrovo inaspettatamente a casa (quando avrei dovuto essere in montagna). Mi ritrovo inaspettatamente senza un programma di cose da fare. Se il mio umore già  il giorno prima non era dei migliori (per varie vicende), quel giorno è a pezzi. Quello che mi preoccupa di più è che non ho nemmeno un fondo di voglia di reagire. Sai quando ti ritrovi a pensare ci mancava solo questa e se uno ti dicesse ma che altro c’è che va male? tu sei pieno di eccezioni e rimproveri verso questo e quello ma in fondo sai che è il tuo atteggiamento che è sbagliato. Dopotutto il guasto ad una macchina non è la fine del mondo. E non si è fatto male nessuno.

D’accordo. Ma sono a terra, comunque. A torto o ragione è così. Lungi dal volare alto, sono a terra.

Volare alto. Volare. 

Got to get your finest out …

Mi ricordo che c’è un progetto pronto al 99% dentro al MacBook. Al 99%, proprio il momento in cui è più difficile completare, c’è sempre il demonietto bizzarro che ti dice ma non ti esporre, non vale la pena, perché rischiare, se poi non piace… 

Chi scrive lo sa. Chi è artista in qualsiasi modo lo sa. La maledetta paura di esporsi, di svelarsi, di sentirsi dire appena un non mi piace.

Che poi è strano. Almeno per me. Mille mi piace molto non riescono a temperare lo sbigottimento doloroso che provo davanti ad un solo non mi piace. Orgoglio? Probabilmente. Sta di fatto, come ho detto anche alla psicologa varie volte, i complimenti li prendo e metto via, li depotenzio abilmente, con qualche pretesto (mi vuole bene, lo dice per compiacermi, etc…), le critiche – legittimissime, per carità – mi colpiscono e mi affondano come quei cacciatorpedinieri a battaglia navale: non so se avete presente, una volte indovinate due caselle, il resto è inesorabile, come l’inabissarsi.

Ma sto divagando. C’è quel progetto fermo in dirittura d’arrivo. Mancherebbe pochissimo, verificare il file, la copertina, fare il volume e farsi mandare la prova di stampa. Ci siamo, Marco, ci siamo. Non puoi mollare ora. Non puoi abbandonare. E’ solo orgoglio, abbandonare.

Riconoscere i limiti di ciò che facciamo, senza abbandonare stizziti il gioco, significa maturare. Questa è la vera umiltà: tornare ogni giorno sull’opera, perfezionarla, invece di disperarsi perché non è già perfetta.

Marco Guzzi

Allora, inizio.

Mi rimetto all’opera. Dove manca la convinzione, c’è la paura. La paura del senso di nonsenso che arriverebbe inesorabilmente nel rinunciare. Che poi va così. Superata la paura, fatto quel fatidico salto, poi le cose si riallineano. Stai facendo quello che ti piace, Marco, quello a cui ti senti chiamato, e questo sistema tante cose. Sì, perché non ti opponi al flusso, non fai inutile resistenza. 

Smetti di pensare, di sollevare eccezioni. Fai quello che devi. E la ricompensa psicologica è immediata. 

Ti senti meglio. Davvero meglio (e non hai assunto psicofarmaci, come valore aggiunto).

Non sei più in panne. Puoi ripartire. Piano, senza strappi, senza esagerare. Ma riparti.

Vedi, stai viaggiando. Piano piano potrai pensare anche di alzarti in volo. In pieno volo. 

E ti accorgi che lavori tutta la mattinata. E non ti pesa. Così il volume di poesia è pronto. Fatto, sistemato il testo. Trovata la copertina. Ordinato.

Pieno Volo

La domenica è salva, io mi sento un po’ meglio. 

La verità è così sfacciatamente semplice, che io non la voglio mai vedere (perché ci sguazziamo così bene nelle complicazioni?). Se non scrivo non sto bene. Punto. Lo so e non lo voglio sapere. Fosse per me, per la mia endemica insicurezza, scriverei solo dopo avere avuto certificazioni in carta bollata che sono proprio bravo. Non procederei senza le debite autorizzazioni, gli indispensabili permessi. Con il nulla osta di un qualche autorevole comitato. 

Ma è così, c’è poco da ricamare. Non posso decidere.  Devo saltare. 

Così per quella domenica è come se fossi passato vicino ad un abisso di desolazione, e l’avessi scansato per un pelo. Non male come risultato.

E non è tutto qui. Perché dopo qualche giorno, quando inaspettato arriva il pacchettino con il libro, è una soddisfazione profonda dolce e indescrivibile. Toccarlo, aprirlo, leggere. Vedere che sono riuscito a dire quello che volevo dire, riconoscere che (almeno in qualche parte) sì, ci sono riuscito. Quello che rischiava di rimanere per sempre dentro di me è affiorato, ha preso dimora sulla pagina. E non ha perso i suoi colori, ancora li trattiene. 

Questo è commovente, è delizioso, è un bagno di fiducia. Questo fa gioire il cuore.

Così ora è a voi, se vorrete. Io sono sollevato. E’ come se avessi fatto una strada difficilissima e avessi corso il rischio di fermarmi mille volte. Con tutte le spie accese. E il motore in panne, che sbuffa e fuma. Ma è anche come se, quasi miracolosamente, fossi riuscito a ripartire. Prima a camminare, poi a correre. A volte, per qualche attimo almeno, a spiccare il volo. A trovarmi, appunto, in pieno volo.

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