Blog di Marco Castellani

Mese: Settembre 2014

Il selfie di Rosetta e della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko

Rosetta ha fatto il suo primo selfie con la cometa. Crediti: ESA/Rosetta/Philae/CIV A

Rosetta ha fatto il suo primo selfie con la cometa. Crediti: ESA/Rosetta/Philae/CIV A

Un selfie se l’è regalato anche Rosetta, o meglio, ce lo ha regalato, inviandocelo a terra lo scorso 7 settembre. Il selfie è stato fatto con la camera CIVA a bordo del lander Philae che atterrerà sul nucleo della cometa il 10-11 novembre 2014. Si osserva una parte della sonda Rosetta (sulla sinistra), una dei suoi pannelli solari di 14 metri di lunghezza, e la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko sullo sfondo.

Per ottenerla sono state combinate due immagini prese con tempi di esposizione differenti.

Crediti: ESA/Rosetta/Philae/CIVA.

Fonte ESA: Rosetta Mission selfie at comet

Sabrina

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Un giorno molto verde

A volte sono le cose più minute che ti fermano. Anche un titolo. Sopratutto un titolo. Di solito dall’impasse non si esce pensando. Non si sbuca fuori a botte di riflessioni.

Come in tutto, del resto.

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Più uno pensa ad un dato problema più ci si incarta dentro, usualmente: vi si incellofana ben bene. Le situazioni si stratificano, si crostificano, si congelano. Più uno pensa più perpetua la condizione presente, impedendo ad altre forze di entrare in campo. Forze che possono agire più efficacemente profittando del nostro abbandono. Abbandono: non certo nel nostro affannoso disaminare tutti i lati di una situazione, i pro e contro di una decisione.

Lasciare andare, lasciare scorrere. Permettere che qualcos’altro entri in campo. Togliersi dal posto di guida, mettersi a guardare la propria vita dal lato passeggero. Smettere di cercare di guidare, per un po’. Non ti impicciare più della tua vita che non sono affari tuoi  cantava De Gregori molti anni fa, con felice intuizione

Sento che questo è vero anche ed in particolare per loro, per le cose dell’anima.

Tutte le volte che facciamo progetti per allontanarci dai disagi, puntualmente li rinforziamo. Pensare a una vita futura migliore di quella che stiamo vivendo, ci rende più incerti, fragili, impotenti. Si possono passare anni a compiangersi, a dirsi che il benessere verrà solo quando le cose cambieranno, quando le persone intorno a noi ci tratteranno meglio. Niente di più falso! Non è l’esterno a farci star male, ma il fatto che non ci affidiamo al nostro interno, che sa benissimo cosa fare per noi stessi e dove condurci.– Raffaele Morelli 

Così le cose si sistemano e si allineano quando uno finalmente, stremato, lascia.  Quando molla. Quando fa un passo indietro, e lascia agire, non pensa più di fare, stabilire, sistemare. Allora, solo allora l’imprevisto può entrare in campo.

E la vita ne sa più di noi, questo ce lo dimentichiamo sempre. La sorpresa viene oltre noi, in qualcosa che non abbiamo pensato. Nella forma che non abbiamo pensato.

Anche nelle piccole cose, lo vedo.Piccole: come in un titolo. Come nel titolo della raccolta di poesie e racconti che inizio ora a pubblicare su Wattpad. Stavolta voglio fare così: prima di tutto pubblicare piano piano le storie e le poesie online (alternate in capitoli pari e dispari),  poi eventualmente ragionare sulla pubblicazione in volume.  

Questo perché Wattpad mi intriga sufficientemente da suggerirmi questo approccio. E perché mi piace sperimentare, lo ammetto.

Ma il titolo. Appunto. Qualcosa a a che vedere con un parco, che è il vero centro gravitazionale di queste storie, e di queste poesie. Ma non mi soddisfaceva niente, niente di quello che pensavo. Forse appunto perché pensavo. Perché razionalizzavo. Perché – ultimamente – mi sforzavo. 

Fino a che, l’altro giorno, accade. Sono nel letto. Mi giro, guardo il comodino. Vi sono appoggiati molti libri, che usualmente sopravvivono in uno splendido spreco di entropia: in breve, si va da Jung a Leopardi passando per le lezioni di fisica di Feymann. Lo stato dei libri varia a seconda dei carotaggi effettuati dagli umani (principalmente, da me). Come in un magna, vengono a volte in superficie strati rimasti per diverse ere geologiche  a grandi profondità, e parimenti affondano elementi abituati da tempo alla superficie.

Ecco, poche ore prima c’era stato un tentativo (intrinsecamente semi-disperato, vista l’entità dello sforzo richiesto) di rimettere un po’ di ordine, che aveva provocavo qualche assestamento. Appunto.

Dicevamo. Mi giro, guardo il comodino. Ora c’è il libretto di poesie di una amica, Carla Cenci. Che ha guadagnato la superficie da poco, appunto. E che adesso mi guarda (intendo, il libro). Mi aspetta. Mi vuole dire qualcosa (ma io ancora non lo so). Lo guardo pigramente. Senza volere, mi faccio invadere passivamente dal titolo, Lo scombinio di un giorno molto verde.

… di un giorno molto verde…. 

Ecco. Un giorno molto verde. 

Ma sì. Un giorno molto verde! 

D’improvviso ogni cosa trova posto. E come è già accaduto per In pieno volo, il titolo stesso si sistema sul materiale scritto, lo vivifica, lo rende più appetibile, mi fa venire voglia di tornarci a lavorare. DI sistemarlo davvero.

Tutti segni che è quello giusto.

Carla non se ne avrà a male se le rubo tre quarti del suo titolo. Il fatto è che si adatta perfettamente. Sai quando provi mille vestiti e non te ne va bene uno? Troppo lungo, troppo stretto, basta, sono stufa, andiamo via… Poi qualcuno dice no aspetta prova questo  E tu provi sfiduciata e stanca, proprio per dare fiducia alla tua amica e … BAM! 

E’ perfetto.

Perfetto.

Come cucito intorno a te, su misura, proprio.

Allora il titolo è così, a posto. E’ un giorno, un giorno appena. Infatti. Vissuto attraverso tante storie, tanti scampoli di storie, che avvengono nelle case, negli ambienti che circondano il parco. Che si nutrono del suo verde, che vi si appoggiano. Che – inconsapevolmente – lo respirano.

E’ quel verde, scandito alle varie ore del giorno dai versi, che si introducono tra i vari racconti, quel verde. E’ lui il protagonista. Quel verde che dà un respiro in più, assicura un punto di fuga, una possibilità di respiro più ampio, più fondo. Una ultima cordiale amicizia, tra uomini. Che vivono. Che vivono perché – con tutta la loro sfavillante fragilità – la vivono. 

E’ un progetto antico e nuovo.

Antico nella sua iniziale concezione. Nel tempo, arricchito, maturato. E’ passato un romanzo, delle poesie. Intanto ha respirato:  ha respirato la stessa pazienza del parco, affondato nella terra il suo seme perché crescesse. E l’ora della sua maturazione si avvicinava. Ve lo dico: ogni volta che passavo nel parco – quasi ogni volta- mi tornava alla mente. Quando passavo vicino a quell balcone, che per me è quello di Carla (quadro secondo) sempre mi veniva in mente. Mi veniva in mente del progetto da terminare, da finire.

Ora viene piano piano alla luce, finalmente. E perciò stesso è nuovo.

 Appena questo, la cronaca di un giorno molto verde.

Spero vi possa piacere.

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Acrobazie spaziali (con domande)

Lo Shuttle e la Stazione Spaziale Internazionale, impegnati insieme in una sorta di maestosa e spettacolare danza cosmica. Sullo sfondo, la nostra Terra con le nuvole che coprono parzialmente l’oceano blu. Bella immagine: forse simbolo come poche dell’impegno dell’uomo verso la frontiera più moderna, più attuale: la colonizzazione dello spazio. 

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Dal APOD del 31 agosto: lo Shuttle e la Stazione Spaziale Internazionale, in un solo colpo. Crediti: NASA

Certo, un passo alla volta. Senza strattoni. Niente come gli scenari fantasmagorici relativi alla colonizzazione di altri pianeti. Magari, come la colonizzazione di Marte, da tanti anni nell’immaginario collettivo (e nei proclami di politici e presidenti). Questa immagine rilasciata dalla NASA fa capire bene come la colonizzazione di Marte sia da tempo entrata come sogno nel nostro pensare comune. Un po’ come era per la Luna, tanti anni fa.

Concept Mars colony

Elaborazioni artistiche a parte. Ci si potrebbe chiedere, come è stata presa la foto dello Shuttle con la Stazione Spaziale? Di solito le immagini dello Shuttle sono prese dalla Stazione Spaziale. E viceversa. Quindi stavolta ci vede essere dell’altro. E in effetti, la cosa è interessante, e ci riporta indietro all’ultima missione dello Shuttle verso la Stazione Spaziale, nel maggio del 2011. In quella occasione, una navetta con astronauti a bordo lasciò la stazione per avventurarsi nello spazio catturando anche una bella serie di intriganti immagini. Era la russa Soyuz TMA-20, che sarebbe atterrata in  Kazakistan poche ore dopo.  

Guardando la foto, il messaggio è chiaro, e si può anche sognare (ad occhi aperti, però): l’uomo ha bisogno di esplorare, di scoprire. Di portarsi alle periferie, di rivedere il mondo da là. Per comprendere sé stesso, anche. E il mondo più ordinario. Per trovare una risposta alle domande che più ci assillano, come dice benissimo Erwin Shrodinger, in un pannello esposto alla mostra Explorer ospitata al Meeting di Rimini di quest’anno, che ho avuto modo di visitare con grande piacere.

PannelloMeeting

 

 

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