Blog di Marco Castellani

Mese: Ottobre 2014 Page 1 of 2

L’amore ai tempi del Big Bang…

Certo è un interrogativo che ricorre spesso. Cosa c’era prima. Cosa c’era prima che ci fosse tutto. Ed è curioso come la scienza abbia permeato l’immaginario collettivo in maniera significativa, ormai. Tanto che non ci chiediamo cosa c’era prima che ci fosse l’universo ma cosa c’era prima del Big Bang. Così quello che è un modello scientifico, capisco che ha acquistato una popolarità enorme e inusuale. Di tanti altri modelli scientifici, pensateci, non sappiamo proprio un bel niente. E nemmeno ci interessano, più di tanto.

Ma questo sì. Il Big Bang  è appena un modello cosmologico, ma si presta benissimo ad essere ospitato nelle menti di sapienti e di meno sapienti, come intelaiatura fondamentale, schema essenziale di risposta alla domanda che non può che essere di tutti, sempre: come è nato quello che esiste, quello che vedo? Ben altra difficoltà riscontrano modelli differenti, come per esempio la dualità onda-particella, oppure il concetto di particelle indistinguibili. 

Ma sì. Perché per la loro intima complessità, sfuggono alla nostra mente. Mentre il Big Bang – quel grande scoppio  – si presta invece ad una rappresentazione mentale in maniera piuttosto diretta. E noi abbiamo bisogno di una struttura di risposta, di comprensibilità – scientifica o mitica – di come l’universo sia nato. L’uomo non può esimersi dal guardare il cosmo e lavorare come ad estendere su tutto una architettura di senso, non può non affacciarsi sul mistero con una ipotesi di lavoro di intelligibilità totale. 

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Photo Credit: laboratorio_recreativo via Compfight cc

In fondo la scienza è solo questo: un lavoro lento e progressivo di decrittazione del codice sorgente con il quale lavora il cosmo, come un pazientissimo reverse engineering di tutto quanto abbiamo intorno. Dai fenomeni, arrivare alla radice. Alle leggi unificanti. Alla profonda comprensione di come le cose funzionano. 

Come funzionano, appunto. Il perché funzionino così, non è compito della scienza dirlo.

Ma il Big Bang è preciso, dichiarativo, assertivo. E’ una teoria scientifica. Un modello. Tutto l’universo si comporta come se fosse partito da un punto. E uno potrebbe dire – ma prima? La ragione umana non si ferma, deve spaziare. 

Non ci sono domande troppo grandi, per la curiosità dell’uomo.

Cambiamo scena. Interno domestico. Sera. Luci calde, finestre illuminate. Fuori, il freddo sereno dell’autunno che inizia a stagliare i contorni delle cose, a rimarcare una più netta differenza dentro/fuori, tale per cui stare al riparo torna ad essere dolce, desiderabile. Anche lo scienziato che si occupa del Big Bang, anche l’uomo della strada (brutta dizione, ma rende l’idea), torna a casa e magari pensa con piacere ai volti cari da rivedere. In fondo, nonostante tutti i possibili problemi, tutti i tragici episodi di cronaca, c’è questo. Che – fino a prova contraria – ci si mette ad abitare insieme, si mette su casa, per amore. 

Così che l’amore viene spesso visto come un sentimento umano importante (anche socialmente), bello, bellissimo, ma ultimamente fragile. Che può l’amore, anche l’amore caldo che si respira magari in una casa, contro il freddo sconfinato del cosmo? Così magari  – azzardo – non ci accorgiamo di essere vittime delle nostre stesse proiezioni. Il cosmo può certo apparire certo freddo, ma anche un luogo mirabile, teatro di incredibili meraviglie. Dipende da come si guarda, ovvio. Dipende con quale cuore si guarda.

Però, questo è il mio punto, è come se l’amore non c’entrasse niente, in un certo senso. E qual è il problema, allora? Solo questo: che così, in fin dei conti, non siamo proprio contenti. E’ per questo che una ipotesi diversa, se ci può far più contenti, potrebbe anche essere presa in considerazione. Potrebbe insomma valere la pena esplorarla.

Mi viene da pensare alla recente frase di papa Francesco, pronunciata nella sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze: “L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore.”  

Ora quando uno nomina il papa, fuori da un contesto ecclesiale, si creano inevitabilmente degli schieramenti. Chi se ne va smettendo di leggere, chi esclama ecco la pensa come me! insomma si creano come delle fazioni. Non è questo il mio obiettivo, vorrei condurre un discorso che per quanto possibile unisca e non divida. Perché la portata di quanto dice il papa secondo me è veramente stratosferica, e ci unisce tutti. Come dice Marco Bersanelli, sono parole limpide e liberanti.

Un Principio supremo che crea per amore

Ditemi voi se non è la cosa più bellissima del mondo, che si possa pensare. Ma noi la disinneschiamo quasi sempre, portiamo il pensiero su tutte le nostre riserve, le nostre eccezioni: non c’è verso di nominare il papa senza che qualcuno se ne esca con frasi tipo ma la chiesa in tema di sessualità però… oppure ma nel  medioevo, la caccia alle streghe … e via di questo passo (mediamente a questo punto viene tirato dentro anche il povero Giordano Bruno) 

Non che tutte queste cose non vadano dibattute, per carità. Ma metterle qui ora, sapete che produce? Che ci si mette a parlare di altro, appunto. Che si rimane aggrappati a schemi difensivo-bellici dove ci si definisce innanzitutto per contrapposizione. E si perde la possibilità di valutare la portata di una frase di questo tipo

… che crea per amore.

Non sono necessarie precondizioni o appartenenze per fermarsi a pensare che – stiano le cose come stanno – è una ipotesi di lavoro bellissima, calda, confortante, capace di mettere speranza. Di riformulare la nostra idea del mondo, la nostra cosmologia personale. Vale la pena fermarcisi su. Ora non discutiamo della natura del Principio ma stiamo guardando appena gli effetti, se volete, il comportamento.

Che crea per amore.

Prendiamolo alla lettera. Così’, appena come esercizio mentale: non è senza conseguenze. Vi dico cosa appare a me. L’amore, viene rimesso al primo posto (addirittura prima del Big Bang). Non al termine di una catena infinita di contingenze meccaniche e fredde: l’universo viene creato, o comunque spunta fuori, si evolve, si fanno le stelle, i pianeti, le forme di vita, l’uomo… che poi si “inventa” anche l’amore (o lo gode, o lo subisce). No, affatto. In questo quadro, è come se l’ultimo termine venisse prelevato dalla catena e rimesso inaspettatamente al primo posto.

Il che – permettetemi – regala un gusto diverso a tutta la medesima catena. 

E non c’è bisogno di essere cattolici (o buddisti, o induisti) per considerare questa possibilità. Basta non essere dogmaticamente materialisti, per dire. Ammettere che esista qualcosa oltre ciò che possiamo toccare, o misurare. 

Ma per questo, basta rientrare a casa (o a volte, uscirne, andare a trovare qualcuno) in una di queste serate autunnali. 

Dove poi, alzati gli occhi al cielo, può capitare ancora di stupirsi perché ci accorgiamo che siamo tutti sotto un cielo  pieno di stelle… 

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Profumo … di cometa

Uno dei libri più “intensi” sotto molti punti di vista è sicuramente “Il Profumo” di Patrick Suskind. Il mondo che viene descritto è soprattutto olfattivo. Si sviluppa su questo senso e, se il protagonista si fosse trovato a passeggiare sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko avrebbe avuto il suo bel da fare, a individuare tutti i “profumi” emanati dai vari composti di cui la cometa è fatta.

Superficie della cometa ripresa dalla NAVCAM a bordo di Rosetta il 26 ottobre 2014 ad una distanza di 7,8 chilometri. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM

Oltre alle immagini di Rosetta che sono sicuramente affascinanti e che ci svelano, per la prima volta, un mondo nuovo, vorrei farvi stimolare con l’immaginazione un altro senso: l’olfatto. Vi siete mai chiesti che odore avvertiremmo se ci trovassimo seduti su una roccia del nucleo della 67P/Churyumov-Gerasimenko?

Non sarebbe un posto molto profumato, piuttosto un olezzo misto di vari aromi… Suskind si sarebbe divertito a descrivere quell’odore come simile a quello di uova marce (per la presenza di acido solfidrico, cioè idrogeno combinato con lo zolfo) e di stallatico, causato dalla presenza di ammoniaca. Oltre a questi elementi, vi è la formaldeide, l’acido cianidrico che può ricordare la mandorla amara, il metanolo che porta una buona componente alcolica e l’anidride solforosa che è simile all’aceto. Forse un buon vino diventato aceto? Con un po’ di solfuro di carbonio si tende a rendere più dolce il tutto.

Copertina del libro Il Profumo di Patrick Suskind. Edizioni TEA

Gli astronomi vanno oltre gli odori e anzi, la composizione della cometa è fondamentale per conoscerla più a fondo. Il “naso” che ha permesso di fare questo tipo di studio è lo strumento ROSINA-Rosetta Orbiter Spectrometer for Ion and Neutral Analysis. L’odore si percepisce anche a grandi distanze dal Sole, cioè molto prima che la cometa inizi la sua abbondante sublimazione a causa del vento solare. In realtà, bisogna tener conto che la densità di queste molecole è bassa, perché diluite nella chioma cometaria ricca di acqua gassata, ossia di molecole di acqua e anidride carbonica, mescolata con monossido di carbonio.

In definitiva, dovremmo avere un naso estremamente fine.

Però, con l’immaginazione ci si riesce, no?

Fonti:

ESA Blog – http://blogs.esa.int/rosetta/ e Media INAF: Sento puzza di cometa – http://www.media.inaf.it/2014/10/24/sento-puzza-di-cometa/

Il Profumo, Patrick Suskind, edizioni TEA.

Altre informazioni su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Il_profumo

Sabrina

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Tullio Regge, un inesausto ed ampio cercare…

“In ricordo di Tullio Regge, uno scienziato aperto e versatile, un grande fisico, ma soprattutto una persona speciale dotata di una grande mente, creativa ed aperta non solo alla comprensione delle teorie scientifiche ma anche agli aspetti sociologici dei nostri tempi…” Un appassionato profilo del grande scienziato appena scomparso, a cura di Stefania Genovese.

Il filosofo, specificatamente l’epistemologo a me concettualmente più vicino, come consonanza di idee, è sicuramente P.K.Feyerabend! Così, mi piace sempre ricordare che lui sosteneva quanto le nuove idee avessero bisogno di tempo, per evidenziare i loro vantaggi e la loro forza e per sopravvivere agli attacchi iniziali.

Grande pensatore, affascinato dal pensiero di John Stuart Mill, e «dialetticamente combattivo» nei confronti del suo «maestro» Karl Popper e del suo metodo, nemico di coloro che propugnavano i propri asserti con una inoppugnabile sicumera e con tronfia ed immobilista sicurezza, egli era più che convinto che i difensori delle nuove idee dovessero lasciar perdere i conflitti «prima facie» con la logica, l’evidenza ed i principi consolidati e lucidamente notava che «spesso i padri della scienza, illuminati dal carattere universale, inesorabile ed immutabile delle leggi fondamentali di Natura, ma anche circondati da comete, nuove stelle, strane forme geologiche, malattie sconosciute, meteore, stranezze celesti e metereologiche, non comprendevano che anche l’ascesa della scienza era dipesa da una cecità, da una ostinazione, esattamente dello stesso genere, e che queste varietà di esperienze fossero altrettanto degne di considerazione. I primi pensatori cinesi, invece prendevano più sul serio la varietà dell’esperienza, ed avevano favorito la diversificazione ed erano andati a caccia di anomalie invece di eliminarle, cercando di dare loro una spiegazione. E che dire di scienziati come Tycho Brahe che prendevano sul serio alcune idiosincrasie cosmiche, e di Keplero che nelle anomalie cercava di scoprirvi causazioni diversificate, mentre il grande Newton, sia per ragioni empiriche sia teologiche, vedeva in loro il dito di Dio?».

Tullio Regge in una foto presa dal web

Tullio Regge in una foto presa dal web

Ho sentito la necessità di questa premessa prima di descrivere l’incontro con un illustre scienziato, che, a mio giudizio, nella sua storia personale e nella sua carriera professionale, è stato tra coloro che ha saputo dimostrare quanto le concezioni di Feyerabend si basassero su considerazioni molte veritiere e fattive; il prof. Tullio Regge, recentemente scomparso. Fu per me un grande privilegio poterlo incontrare e relazionarmi con lui, discutendo di molte tematiche che, ancora oggi, mi inducono a riflettere su quanto il suo pensiero sia ancora straordinariamente attuale, non solo per le sue importanti teorizzazioni nel campo matematico ed astrofisico, ma anche per la sua lucida analisi della nostra società e del suo rapporto, purtroppo “distorto” e “superficiale” con la scienza.

Incontrai il Professore nella sua casa di Torino; a quei tempi era purtroppo già stato colpito da distrofia muscolare, ed ancora ora lo ricordo sofferente, ma dotato di una lucidità mentale e di una capacità di introspezione notevole. I suoi occhi denotavano una intelligenza vivida che lo avevano portato ad insegnare relatività e teorie quantistiche della materia al Politecnico di Torino e persino a lavorare all’Institute for Advanced Studies di Princeton, nonché a ricevere riconoscimenti internazionali e a formulare una teoria nella meccanica quantistica che appunto porta il suo nome, «i Poli di Regge».

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Un cielo, pieno di stelle

Poiché tu sei un cielo, un cielo pieno di stelle… 

Cause you’re a sky, ’cause you’re a sky full of stars

I’m gonna give you my heart

‘Cause you’re a sky, ’cause you’re a sky full of stars‘

Cause you light up the path

Così cantano i Coldplay in una notissima canzone (l’ho sentita l’altra volta in palestra… sì ogni tanto ci vado). Da astronomo, direi che è pane per i miei denti. E mi viene da pensare, ripensarci… Un cielo pieno di stelle. 

Una frase che da sola si presta ad agganciare molteplici sentieri, in un gioco di rimandi potenzialmente senza fine.

La prima analogia che mi viene da fare è con il celebre passaggio del film 2001 Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick. Nel capitolo quinto, che si svolge presso il sistema di lune di Saturno, il protagonista, Bowman, esce dall’astronave per inseguire l’enorme (celeberrimo) monolite, che però è strano, elusivo, gli sfugge. Non riesce a  prenderlo, a com-prenderlo, ma piuttosto ne viene come assorbito: vuole annettere, ed invece viene annesso, inglobato in qualcosa decisamente più grande di lui, della sua misura. Le ultime parole che arrivano sulla Terra sono di un Bowman assolutamente sorpreso e spaesato: “La cosa è vuota, va avanti per sempre… Oh mio Dio, è pieno di stelle!”

Le stelle sono associate allo stupore: una miriade di stelle, per la precisione. E’ pieno di stelle! 

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Viviamo in un cosmo pieno di stelle…Photo Credit: Paolo Neoz via Compfight cc

Pieno, ma quanto? Tornando in ambito musicale, una qualche stima la arrischiò qualche anno fa il nostro Francesco De Gregori: nella sua celeberrima niente da capire, ha questa entrata geniale (secondo me) dove cita un tormentone pubblicitario di qualche anno fa, per poi piegarlo inaspettatamente verso la sua storia

le stelle sono tante / milioni di milioni / la luce dei lampioni / si riflette sulla strada lucida

E ha ragione, dal punto di vista quantitativo. Solo che – a voler essere pignoli – ci si avvicina un po’ per difetto. Milioni di milioni… vuol dire, facendo due rapidi conti, dell’ordine di 10 seguito da 12-13 zeri (10 milioni di milioni, concediamolo). Il fatto è, per quanto sembri un bel numero… in realtà è ancora poco.

Le stelle sono molte, molte di più.

Quante di più?

Doverosa precisazione: ovviamente la risposta si può dare esclusivamente in termini statistici. Non è nelle possibilità umane seguire la dinamica dell’Universo in termini così precisi e comprensivi da poter sperare mai di avere il numero esatto (che tra l’altro cambierebbe continuamente, visto che ne nascono e muoiono continuamente).

Ok. Però una buona idea ce l’abbiamo.

Ma proseguiamo con le suggestioni artistiche, prima.

Potremmo perfino scomodare Dante, con il suo celebre e quindi tornammo a riveder le stelle, la prima evidenza – per  Dante – dello sbucar fuori dall’Inferno, il verso che chiude il canto. Ci pensate? La prima evidenza di essere fuori dalla parte oscura, sono proprio gli astri. Il cielo trapuntato di piccole luci, che tutti ben conosciamo (anche se a volte lo dimentichiamo, accecati dalle luci artificiali che ormai ci fanno compagnia, rischiarando indebitamente anche la notte).

D’accordo, è pieno di stelle. Ma quante sono le stelle, in realtà? E’ una domanda che si può formulare? Ha senso? Intanto, possiamo dire una cosa: non sono infinite. La materia stessa del nostro universo è uscita dal Big Bang in quantità finita – non c’è niente di infinito nel mondo fisico. La stima si basa su delle assunzioni, forzatamente. Una delle più importanti riguarda la specifica forma della funzione iniziale di massa (Initial Mass Function, IMF): in parole povere, come varia il numero di stelle che si formano, in funzione della massa. Vi sono diverse formulazioni di questa legge, che è stata ampiamente studiata nel corso degli ultimi anni. Chiaro che la forma della IMF influenza profondamente il computo del numero di stelle: anche perché quelle piccole sono anche le più elusive, potrebbero essercene moltissime e noi, non vederle.

A proposito di stelle piccole, una cosa interessante: sono molto, molto più numerose di quelle grandi. E vivono molto, molto di più. Fatto oltremodo positivo per noi: il Sole è una stella piccola (non si direbbe eh) e pertanto ha un tempo di vita di miliardi di anni. Fosse stata dieci volte più grossa (e ce ne sono, ce ne sono), l’avremmo probabilmente già salutata.

Così – dalla IMF e da una serie di altri parametri che sarebbe lungo dettagliare qui –  arriviamo alle stime del numero di stelle totali: siamo nell’ordine di  300,000,000,000,000,000,000,000 stelle, o – in forma più compatta – un 3 seguito da 23 zeri.

Dunque De Gregori è stato un po’ troppo cauto. Oserei dire che Dante e Kubrick (ma anche i Coldplay), privilegiando lo stupore rispetto alla stima quantitativa, forse ci hanno restituito la “giusta” attitudine verso il cielo stellato.

Quella, appunto, dello stupore.

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Una sorta di ricominciamento

Dopo tanto tempo di attività, sento il bisogno di capire quale è la direzione di rotta migliore per GruppoLocale.

Non è male, ogni tanto, azzardare una sorta di bilancio. O meglio, fermarsi un momento e vedere dove si è arrivati. E per farlo bisogna guardare alla strada percorsa.

Come un nuovo inizio...

Photo Credit: sierragoddess via Compfight cc

Siamo partiti ormai molti anni fa. E ogni anno è come un’era geologica, per Internet. Qui si vive in un posto dove tutto è accelerato, i cambiamenti avvengono su scala di mesi, se non di settimane appena. E siccome è un po’ di anni che siamo online, diciamo che ne abbiamo viste di cotte e di crude.

Tanto per dire, questo sito è attivo dal 2002. Pensateci: un secolo fa, per la rete. Basti dire che nel 2002 non esisteva Facebook (ebbene sì, è esistita un’epoca – probabilmente più produttiva – in cui Facebook non c’era).

Anche per quanto riguarda la divulgazione (specificamente in lingua italiana) la situazione era molto, molto diversa da quella attuale. L’offerta di buoni articoli nella nostra lingua era decisamente più povera. Di conseguenza, anche tradurre articoli dall’inglese, era una cosa utile, aveva un valore.

Ora ci muoviamo in un panorama radicalmente diverso. L’offerta di articoli di divulgazione di qualità è certamente assai più ampia. Per rimanere nell’ambito del mio ente di appartenenza, già la pagina Media INAF fa un ottimo lavoro per quanto riguarda l’aggiornamento sui risultati della ricerca astronomica. Fatti salvi casi particolari, non ha più molto senso inseguire le singole notizie, in modo asettico, per un lavoro che fanno già in modo eccellente.

Buon per noi, in fondo. E’ l’epoca della personalizzazione. Dobbiamo dare a questo blog una sua identità più specifica e definita. Possiamo prenderci il lusso di lasciare ad altri la presentazione delle notizie vere e proprie, mentre noi andiamo alla ricerca di punti di vista originali ed inediti, con i quali interpretare la ricerca sotto una luce nuova e molto specifica.

In realtà ricerca è un termine riduttivo, perché a noi interessa superare il polveroso schema delle due culture per riprendere invece il cammino di una conoscenza che sia unita e che non lasci fuori niente – un cammino dove lo stupore si coaguli come terreno d’intesa qualificante ed insieme garanzia di amicizia tra scienza, letteratura, musica, e – in definitiva –  ogni forma di umano sapere.

Fedeli al nostro motto Solo lo stupore conosce dunque cerchiamo di guadagnare una prospettiva diversa, di vedere le cose in modo che possano ancora stupirci, destare meraviglia. Mettendo l’umanità di chi fa ricerca o di chi la comprende, al centro del nostro sistema di riferimento. In poche parole, non ci interessa più il cosmo in sé stesso, ma l’uomo attraverso il cosmo.

Una sorta di ricominciamento, dunque. Perché l’avventura della scoperta dell’universo è anche e soprattutto una declinazione importante dell’avventura umana in quanto tale. Una epopea in cui – appunto – l’umanità delle persone può e deve venire alla luce, senza paura, con punti di forza e debolezze, con passioni ed emozioni, perché di tutto questo l’umano è fatto.

E per noi la ricerca verso lo spazio è anche e soprattutto una ricerca verso noi stessi.

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A passeggio sulla cometa?

Un dettaglio della superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ripresa dalla sonda europea Rosetta ad una distanza di soli 7,9 chilometri dalla superficie (9,9 chilometri dal centro). Crediti: ESA/Rosetta/NavCam

Un dettaglio della superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ripresa dalla sonda europea Rosetta ad una distanza di soli 7,9 chilometri dalla superficie (9,9 chilometri dal centro). Crediti: ESA/Rosetta/NavCam

A guardare questa foto sembra di essere lì, con gli occhi attaccati al vetro di oblò e nelle mani e nel cuore la tentazione di abbassare una maniglia, di aprire una porta, di uscire… Di uscire e farci una passeggiata.

-68 gradi centigradi. 7,9 chilometri dalla superficie. Mai stati così vicini.

Abituati come siamo dalle foto delle missioni Apollo, sembra un dettaglio del suolo lunare. Poi, però, a guardar meglio, l’orizzonte è troppo vicino, ci sono dei getti di materia, c’è del ghiaccio, molta polvere: non può essere la superficie del nostro satellite.

E in effetti è la superficie di una cometa. Per la prima volta nella storia dell’esplorazione spaziale là fuori c’è una sonda in viaggio da oltre dieci anni e mezzo, pronta per effettuare una delle missioni più spettacolari e quasi fantascientifiche per il genere umano: sganciare un piccolo robot sul nucleo di una cometa e rimanere lì, in orbita per oltre un anno a raccogliere informazioni, immagini, per scrivere qualcosa di più nel libro che racconta la storia e l’origine del nostro Sistema Solare.

Questa è la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, scoperta nel 1969 e che la sonda Rosetta ha iniziato ad osservare sempre più da vicino, da quando, il 6 agosto scorso è entrata in orbita attorno ad essa.
Non era la 67P/Churyumov-Gerasimenko il target della sonda Rosetta e del lander Philae, ma a causa di ritardo di un anno nel lancio della missione, la prima cometa scelta, la Wirtanen sarebbe mancata all’appuntamento con la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea. Dopo varie ricerche, si è scelta questa cometa dal nome insolito (e anche difficile da pronunciare).

Il modello del nucleo cometario, in scala 1:10.0000, è in bella mostra presso la Sala della Gran Guardia, a Piazza dei Signori, a Padova nella Mostra “Rosetta, cacciatrice di comete …e altre storie” che rimarrà aperta fino al 14 novembre 2014. Questo nucleo in miniatura (con me in foto)  è stato realizzato da Gabriele Cremonese, Marco Dima e Roberto Ragazzoni dell’INAF-Osservatorio di Padova sulla base delle immagini che ci sono giunte da Rosetta, a partire dal 3-4 agosto, quando la sonda si stava avvicinando alla cometa. A causa della rotazione del nucleo e della posizione del Sole rispetto alla cometa e alla sonda stessa, una parte del nucleo cometario non è stato ancora osservato: si tratta di circa un 30 percento che lo sarà a partire dai mesi di marzo, aprile e maggio.

Nonostante sia solo un modellino, tenere in mano il nucleo della cometa ha il suo fascino e un selfie è scappato! Crediti: Sabrina Masiero/INAF-Padova

Nonostante sia solo un modellino, tenere in mano il nucleo della cometa ha il suo fascino e un selfie è scappato! Crediti: Sabrina Masiero/INAF-Padova

Il nucleo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko non ha una forma sferica e non ricorda nessuno dei nuclei che sono stati analizzati da vicino da altre sonde. Vi sono due lobi, uno maggiore e uno minore, legati fra loro da un ponte di materia. Sembra di vedere un funghetto che ruota nello spazio. Nel lobo minore Philae atterrerà il prossimo 12 novembre 2014 alle ore 9.35 italiane. Ci vorranno ben sette ore di attesa dal momento dello sganciamento al momento del contatto (il touchdown).

Philae dovrà fare tutto da solo. Non ci sarà nessuno in grado di controllare il suo sganciamento, la sua lunga discesa e il suo ancoraggio sulla superficie della cometa. Il sito di atterraggio, denominato J dai ricercatori ESA sulla base delle lettere dell’alfabeto utilizzate per selezionare un sito ideale per Philae, è anche sufficientemente illuminato dal Sole in modo da permettere a Philae di ricaricare le batterie una volta sceso sulla cometa. Infatti, la sua autonomia è di sole 64 ore, dopodiché la strumentazione non avrebbe energia sufficiente per compiere alcun tipo di lavoro.

Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ripresa dalla NavCam a bordo della sonda Rosetta il 15 ottobre 2014. Crediti: ESA/Rosetta/NavCam

Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ripresa dalla NavCam a bordo della sonda Rosetta il 15 ottobre 2014. Crediti: ESA/Rosetta/NavCam

Dallo scorso 8 ottobre la sonda Rosetta è stata portata su un’orbita di soli 10 chilometri dalla sua superficie. La NAC, la Narrow Angle Camera a bordo della camera Osiris sta mandando a terra delle immagini a piccolo campo, molto dettagliate, ma a così a corto campo che non si riesce a capire che regione della superficie della cometa la camera ha puntato!

Se per Curiosity, il rover della NASA che si è posato sul suolo di Marte il 6 agosto 2012 si sono trattati di 7 minuti di terrore, qui, per Philae possiamo dire che ci saranno ben 7 ore di terrore.

Dita incrociate per Philae ! E voi, siete pronti per l’avventura?

Sabrina

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Un luogo di ricominciamento

Pazienza, perseveranza, umiltà e coraggio… L’ho segnato sul mio tablet, domenica mattina, cercando di trattenere qualche “indicazione operativa” per avviare il lavoro personale.
L’entusiasmo dell’inizio infatti, so bene come è, è bello e confortante – il luogo del ri-cominciamento ha qualcosa di magico e brillante, al suo interno – ma va nutrito e rinfocolato ogni giorno, altrimenti darsi pace rimane un bellissimo anelito ma il lavoro concreto rimane sempre “dietro”: dietro a qualcosa che appare sempre più urgente, foss’anche “girare il sugo” come diceva Marco (quando del resto s’era ormai fatta ora di pranzo…). Del resto con quattro figli, una moglie, un lavoro, uno gli impegni non se li va a cercare. Ti trovano loro: puoi stare tranquillo. 
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Come un possibile ritorno…
Lunedì mentre la mia Paola si sottoponeva al suo piccolo intervento in day hospital (tutto bene, grazie al cielo), ero lì in sala d’attesa: sotto di me una meravigliosa veduta di Roma che si svegliava pigramente alle prime luci del sole, accanto a me il mio volume Darsi Pace, rispolverato per l’occasione (vuoi vedere che stavolta il lavoro si fa veramente?), un po’ di sonno per l’alzataccia, ma tanta voglia di mettersi all’opera. E un senso sottile me piacevole, confortante: come di una nuova nascita. Come di un possibile ritorno.
Più riguardo a Darsi pace
Ritorno. Marco Guzzi l’ha scritto sulla lavagna, domenica mattina, come prima cosa: sulla lavagna della sala Zatti dell’Ateneo Salesiano. Primo incontro della prima annualità dei gruppi Darsi Pace. Così, La via del ritorno. E mi ha colpito subito, come fosse un messaggio personale, un codice cifrato rivolto specificamente a me. Il mio tentativo letterario più ambizioso, il mio romanzo, l’ho proprio chiamato “Il ritorno”. Non ci credo alle coincidenze, non ci credo più. Tutto ha un senso. Non in generale: un senso per me, adesso.
Il sole è ormai alto, Roma è sveglia. Da qui, da questa collina, è come se si abbracciasse tutta quanta. Si potesse quasi amare tutta, lei e le persone che la abitano. E lo stato di forzata attesa, favorisce quest’idea della lettura meditativa. Passare e ripassare sulle stesse frasi, fino a farne uscire il succo, a sentirne il gusto, percepirne – almeno un po’ – la carica terapeutica.
Passare e passare sulle stesse pagine: ma perché? Per una cosa di pura esperienza, perché in questo momento mi fa bene. Esperienza: di discorsi – anche giusti, soprattutto giusti – ne ho a sufficienza. Basta, basta per carità. Che poi uno sperimenta l’amarezza dello scarto tra i discorsi “edificanti” e il tono generale della vita, o di tanta vita. Basta discorsi. Esperienza, ci vuole.
E l’esperienza di avere questo libro vicino, da prendere e riprendere, durante l’attesa, è buona. Conforta, riscalda. Dona una prospettiva di senso, anche se ancora potenziale.
Poi l’attacco dei dubbi (lucidamente preannunciato da Marco) avviene, strisciante ma concreto: sono troppo vecchio, troppo giovane per questo lavoro? Sto troppo male (che direbbe la mia psicologa…), troppo bene? E il più destabilizzante, “ma quante complicazioni: non basta pregare?” Dubbi che mi trovo ad affrontare anche nel lavoro proposto dal movimento al quale mi sento prossimo, quel  luogo dove – nel lontano 1984 – ho inaspettatamente scoperto che la fede può essere una cosa interessante, e perfino conveniente.
Lavoro, che mi appare così, ora: vicino e compagno di quello indicato in Darsi Pace.
Una possibilità, l’inizio – appena – di una verifica, che andrà fatta nel tempo. Del resto, tutto richiede una verifica empirica, nei giorni: niente è acquisito una volta per tutte, niente risparmia dalla condizione di ricerca. Anzi ogni evidenza, ogni luce nel cammino, di solito fa questo, rilancia…
 
Un possibile ricominciamento. Datato domenica 12 ottobre, anno di grazia 2014.

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Il posto più freddo

Era stato veramente bello. Ma che freddo! Freddissimo tanto che ad un certo punto lei non vedeva l’ora di tornare a casa, al calduccio. Sì, finalmente al caldo. Le cime dei monti sono belle, bellissime, ma insomma ci vuole veramente una grande forza di volontà per andare in mezzo alla neve. Soprattutto poi, per ritornarci nel pomeriggio, dopo che hai mangiato. Certo la mattina era stato abbastanza facile, si era detto che si andava, c’era tutta l’eccitazione che viene nel fare qualcosa di diverso, di nuovo. Chi ci pensava ancora, al freddo!…

Sarà pure che questo ottobre romano è così caldo che non ci si raccapezza più (sì lo so, le ottobrate romane e tutto il resto, però qui sembra più agosto, in certi momenti). Sarà che alla fine il freddo uno lo attende quasi con trepidazione. Sarà che sto lavorando sul prossimo racconto della serie di Anita, e mi viene da ripensare alle parti già scritte, come questo incipit, tratto dal mio racconto Il posto più freddo nell’universo.

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Se questa è la vostra idea di un ambiente freddo, forse la dovrete rivedere…. 🙂

 Sarà comunque che uno quando pensa l’Universo lo immagina spesso come un posto freddo (a parte Anita, come potrete leggere). E ne ha ben ragione, dopotutto. La cosa è presto stabilita: lontano da fonti di calore, la temperatura è praticamente quella del fondo cosmico, ovvero 2,7 gradi kelvin.

Ovvero, meno di 270 gradi sotto lo zero Celsius.

Il che è parecchio freddo, non c’è che dire. 

Immaginiamoci un momento, dispersi in un punto imprecisato tra una galassia e l’altra. Godremmo non solo di una temperatura inferiore ai 3 kelvin, per l’appunto, ma saremmo anche persi nel vuoto totale. Vuoto, davvero: parliamo di pochi atomi di idrogeno per centimetro cubo. E’ impressionante, a pensarci bene: come l’atomo risulta per la maggior parte vuoto, così l’Universo –  che siamo abituati a pensare come affollatissimo – in realtà è formato (in volume) perlopiù da spazio galattico, assolutamente vuoto.

Ma certo, dipende da dove ti trovi. Puoi passare dai pochi kelvin della radiazione cosmica di fondo, a valori oltre il milione, tipici ad esempio delle corone solari: senz’altro uno dei posti più caldi.

Va bene, ma il posto più freddo qual è? Se lo chiede la nostra Anita, tornando da una gita in montagna. Fa così freddo sulla neve, che non sembra possibile trovare posti più freddi, proprio no. Ma guarda che vi sono posti dove fa molto più freddo, la avverte la mamma. E siccome la mamma studia l’universo, c’è da darle credito. E mentre il papà anela a conoscere i risultati delle partite, si sviluppa un dialogo, in cui si parla di temperatura dell’universo, ma anche del cuore.

Un dialogo che – se non lo avete fatto già – potere leggere e commentare su Scientificando, il blog di Annarita Ruberto.  

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