Blog di Marco Castellani

Mese: Novembre 2014 Page 1 of 2

Partire insieme a Samantha

Samantha Cristoforetti, astronauta ESA, abbraccia la sua tuta spaziale. Un abbraccio dolcissimo! Crediti: ESA?NASA

Samantha Cristoforetti, astronauta ESA, abbraccia la sua tuta spaziale. Un abbraccio dolcissimo! Crediti: ESA/NASA

Due giorni al lancio. Un viaggio a 28 mila chilometri all’ora, a 400 chilometri dalla Terra, un giro del mondo ogni 90 minuti, 2 anni di addestramento in 3 continenti: Tokyo, Houston, Colonia, Mosca, Star City. Tappe fondamentali per Samantha Cristoforetti, astronauta dell’ESA e Comandante dell’Aeronautica Militare, per coronare il suo sogno: la permanenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per sei mesi con la missione Futura.

Ha un sorriso spontaneo, due occhi che luccicano come fossero due stelline e l’’amore per lo spazio nel cuore fin da bambina: “Ho sognato fin da piccola di fare l’astronauta, per cui qualsiasi tipo di carriera avessi seguito comunque ci avrei provato a diventare astronauta nel momento in cui si fosse presentata l’occasione giusta.”

Questa e’ Samantha. Determinata, con un entusiasmo coinvolgente e allo stesso tempo ammirevole. L’ultimo anno di training e’ stato sicuramente il più intenso per lei e i suoi colleghi. “Volare nello spazio e’ un po’, se vogliamo, come andare in barca” dice. “Da una parte c’e’ la possibilità di godersi nell’andare in barca, poi però ci sono tutta una serie di attività che sono necessarie per poterci stare, sulla barca”.

La ISS e’ davvero una grande barca. Un barcone. Una volta completata, le sue dimensioni hanno superano quelle di un campo di calcio arrivando a108,5 metri per 72,8 metri con un peso di 450 tonnellate. Se pensiamo alla nostra automobile come confronto, potremmo dire che dovremmo accumularne ben 450 per arrivare al peso della ISS.

“Andare nello spazio e’ il sogno di molti. In un certo senso e’ come se mi sentissi di portarmi dietro tante persone che avrebbero lo stesso sogno e che vorrebbero essere lì o insieme a me o, addirittura, al posto mio”.

Già. E’ stato anche il mio. Ora so che, per come sono andate le cose, non potrò realizzarlo (e non pensate, mai dire mai, Sabrina!), ma l’ho sognato tanto fin da bambina coi voli Shuttle della NASA. Ho iniziato a inchiodarmi davanti alla televisione col primo volo, nel 1981, chiedendo a mio padre che cosa stava succedendo, che cosa era quell’aereo messo in piedi che partiva in alto. Stavano andando sulla Luna?

“Intorno alla Terra per ruotarle attorno per alcuni giorni. Per studiarla. Non camminano lassu’, fluttuano nel vuoto”.

Oh, quante cose nuove da imparare!

Una prova della vestizione, Samantha Cristoforetti prova la sua tuta a pochi giorni dal lancio. Crediti: NASA?ESA, su Flickr.

Una prova della vestizione, Samantha Cristoforetti prova la sua tuta a pochi giorni dal lancio. Crediti: NASA/ESA, su Flickr.

Iniziai così ad inchiodarmi alla sedia come una piccola astronauta per guardare e riguardare i lanci e gli atterraggi. Quella voce dal Centro di controllo del Kennedy Space Center, quel Tminus ten, nine, eight, seven, six… quando arrivava era da batticuore. Tun tun tun, tuntuntun… il battito del mio cuoricino viaggiava più forte del countdown. Qualche volta il countdown si fermava, se la missione veniva abortita, e per me significava riposizionare la sveglia al mattino presto o farmi trovare a casa per non perdere un secondo di quella nuova avventura.

Capivo che volevo essere lì, volevo viaggiare a 400 chilometri di altezza, volevo vedere il mondo dall’alto e studiarlo. Five, the main engines start…four, three, two, one… and … non sedermi lì davanti alla tv su quella sedia ma volare, sì, volare. E Lift off con loro, per davvero! Quella spinta sul petto dovuta all’accelerazione era come se me la sentissi per davvero, come se mi inchiodasse alla sedia, facendomi immaginare anche le vibrazioni della capsula quasi fossero le vibrazioni dei muri della casa. E poi, tiravo un sospiro di sollievo quando quei due booster laterali venivano sganciati, sapevo che in quella fase del lancio, il peggio era passato e che mancavano pochi minuti per entrare in orbita attorno alla Terra. Aspettavo che quel bussolotto arancione, il serbatoio centrale, venisse sganciato. E poi, immaginavo.

Sognavo.

Samantha conosce a memoria le sensazioni fisiche che proverà domenica sera al lancio, con la Soyuz. “Ti siedi in questa capsula, ad un certo punto si accendono i motori, hai la spinta che è praticamente quattro volte il tuo peso che ti preme sopra il petto nel momento in cui i motori funzionano e, dopo un paio di minuti, si spegne il primo stadio e quasi hai la sensazione che si siano spenti completamente i motori, perché perdi più o meno quattro quinti della spinta. Però, stai continuando ad andare avanti. E questo succede di nuovo, perché si riaccendono i successivi stadi finché, dopo appena nove minuti, sei in orbita. Per la prima volta sei in questa sensazione di assenza di peso, quindi passi dalla sensazione di avere tutto questo peso che ti schiaccia contro il seggiolino ad essere completamente senza peso. Durante questa fase, si sono aperti i due petali che proteggono la capsula e inizi a guardare fuori. Il nostro sarà un lancio notturno, quindi, non so esattamente che cosa vedremo. Gireremo attorno alla Terra molto rapidamente e molto rapidamente sorgerà il sole e avremo modo di allentare le cinture, se tutti i controlli di tenuta saranno positivi, e di alzarci un po’, di guardare dall’oblo’ per cogliere una prima visione della Terra.”

“Per raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale oggi ci si impiega pochissimo: se tutto sarà nominale in quattro orbite, il che equivale a dire sei ore, perché un’orbita intorno alla Terra dura un’ora e mezza. Noi praticamente arriviamo vicini alla ISS e ci posizioniamo in un’orbita più bassa della Stazione Spaziale inseguendola. La si insegue per un po’ facendo alcune accensioni di motore di correzione dell’orbita e poi, ad un certo punto quando arriviamo abbastanza vicini, le nostre antenne e le antenne della Stazione Spaziale iniziano a vedersi e a parlarsi. Il computer di bordo da solo calcola una serie di impulsi per portarci in avvicinamento e, se tutto va in maniera nominale, il processo e’ automatico. Il nostro comandante, che si siede seduto in mezzo, può monitorizzare e, a una decina di chilometri, si inizia a vedere il puntino della ISS. All’inizio e’ davvero soltanto un puntino, poi diventa sempre più grande e … Credo sia eccezionale! Perché in questo ambiente buio, dove non c’e’ nulla, in un ambiente completamente ostile, hai un posto dove andare”.

Dopo il lancio, nei giorni seguenti, prendevo nota di quello che sentivo, registravo i servizi sulle oramai superate cassette e riguardavo il lancio. Sia detto per inciso: non ho buttato via niente. Poi, c’era la fase recupero degli articoli dai quotidiani e riviste. All’inizio mica funzionava tutto sul web come oggi, non c’era nulla di pronto con un clic. Non avevo immagini subito disponibili, articoli in inglese, pdf da scaricare. Prendevo nota su un block notes e poi, giorno dopo giorno, nei miei momenti liberi extra studio, ricopiavo e facevo pure dei disegni. Ero bravina, allora. Riprenderli in mano, per caso, qualche settimana fa, mi ha fatto tornare indietro di oltre trent’anni. E’ stato come essere seduta su un sedile eiettabile che mi ha scaraventata in un altro tempo. Era il mio tempo e quella grafia, quei disegni, erano i miei. Provare tenerezza con la bambina o il bambino che si e’ stati e’ disarmante. Capisci che hai avuto un’infanzia, anche se sembra passata una vita fa, e che quel tempo e’ ancora raccolto nei fogli leggermente ingialliti e nella scrittura che sai essere la tua, la riconosci, ma l’hai persa..

Tenevo anche un diario, proprio come Anna Frank, dove annotavo le mie imprese e le imprese spaziali. Un giorno decisi di disegnare a matita Sally Ride, prima donna astronauta americana a volare nello spazio. Volevo essere come lei, volevo essere al suo posto. Le parole di Samantha sono vere, fino in fondo alla vita. Fino in fondo alla mia adolescenza.

Disegnavo in gran dettaglio la tuta. Amavo i dettagli che scoprivo di volta in volta guardando le foto a grandi dimensioni sui quotidiani. Avevo avuto modo di vederne di simili, indossate dal personale militare dell’Aeroporto Militare di Istrana, Treviso, quando ero andata in visita con la mia classe di allora. Al tenente pilota che mi fece salire sull’F104 chiesi l’autografo e… avrei chiesto anche la sua tuta, come ricordo.

Samantha indosserà una tuta diversa, la Sokol, quella blu solo successivamente, al momento dell’apertura del portellone della ISS dopo l’attracco. “La Sokol, la tuta pressurizzata che indossiamo nella Soyuz, è fatta su misura per ogni membro dell’equipaggio: la mia tuta, per esempio, è la numero 422”, racconta Samantha. “A eccezione dei guanti, la Sokol è un pezzo unico e l’intera parte frontale (il petto e l’addome) può essere aperta con una cerniera lampo: è infatti così che la mettiamo. Indossarla può essere complicato quando la tuta, come dovrebbe essere, aderisce con poco margine in termini di lunghezza dal-cavallo-alle-spalle. E, sì, come potreste aver notato guardando gli astronauti camminare con la Sokol, non è veramente pensata per farvi stare in piedi in posizione eretta, così vi costringe a piegare in avanti la schiena: è perché si presume che diventi comoda quando siete stesi nel vostro seggiolino Soyuz, con le ginocchia piegate verso il petto”. [Su Avamposto 42]

Samantha Cristoforetti durante  una delle ultime conferenze stampa prima del lancio. Crediti: NASA?ESA, su Flickr

Samantha Cristoforetti durante una delle ultime conferenze stampa prima del lancio. Crediti: NASA/ESA, su Flickr

Oltre alla tuta, studiavo il logo della missione, quella sigla STS- e un numero, chi la capiva all’epoca, mica i giornali te lo spiegavano, mentre ora con un click, basta scrivere T minus ten e si apre pure il Countdown su Wikipedia. La mia ipotesi all’epoca era che, con grande probabilità neppure i giornalisti sapevano il senso di quelle sigle. Era consolante immaginare di sapere tanto quanto i giornalisti. Disegnavo accuratamente tutti i dettagli di quella tuta, tutto tranne… il volto dell’astronauta. Perché al posto del volto di Sally Ride disegnavo la mia chioma scomposta, i miei occhi e il mio sorriso. Volevo essere al posto di lei.

Imparavo i nomi dell’equipaggio, cercavo di capire che cosa fossero i booster, gli ugelli, il cargo, i motori che venivano accesi e spenti, il serbatoio a perdere color del sole al tramonto, che bello mi dicevo, imparavo a distinguere alcune parti e, pian piano un giorno, arriverò a capire tutto di questo grande uccello bianco che vola come un aereo di linea ma che atterra senza motori.

Alla sera guardavo in cielo immaginando lo Shuttle passare sopra di me. Con la Stazione Spaziale e Internet e’ stato più facile seguirne il moto. “La Stazione Spaziale Internazionale e’ visibile ad occhio nudo come un puntino molto luminoso che attraversa il cielo da orizzonte a orizzonte in una decina di minuti” racconta Samantha. “Guardate questo puntino luminoso e pensate che lassù ci sono sei esseri umani, sei uomini e donne come me, come voi che magari in quel momento, mentre voi li guardate, stanno guardando voi”. Ed io lo facevo, lo facevo ogniqualvolta se ne presentava l’occasione. Capitò perfino di osservare sopra il cielo del mio paesello l’attracco dello Shuttle (in una delle sue ultime missioni) alla ISS. Quella sera, due puntini vicinissimi ma distinguibili brillavano nel cielo come fossero due stelle doppie che si spostavano piuttosto velocemente nel cielo. Li inseguivo con gli occhi riscoprendo in ogni istante il fascino di quello che da 400 chilometri si poteva osservare, alle manovre delicate che degli esseri umani lassù stavano compiendo, alla grande possibilità; che mi veniva offerta dalla finestra di casa di ammirare un miracolo della tecnologia moderna, proprio dalla stessa finestra dalla quale avevo sognato a otto anni, di prendere lo scalone del nonno per salire a toccare le stelle.

Lassù, in quel grande armadio a 400 chilometri di quota, si sfruttano le condizioni di microgravità. L’assenza di peso, infatti, modifica molti fenomeni fisici e biologici rendendo possibile lo studio di alcuni meccanismi che sulla Terra, in presenza della gravità che ci incolla al suolo, non sarebbero facilmente isolabili. Si fanno studi di fisica, di fisica dei fluidi, di biologia, di medicina, di materiali, di radiazioni.

I membri dell'equipaggio della Expedition 42/43 al Gagarin Cosmonaut Training Center a Star City, Russia. Terry Virts della NASA firma il libro del cerimoniale il 6 novembre 2014 seduto accanto al collega Anton Shkaplerov dell'Agenzia Spaziale Russa, Roscosmos e a Samantha Cristoforetti dell'Agenzia Spaziale Europea. Crediti: NASA/Stephanie Stoll, ESA/ Flickr

I membri dell’equipaggio della Expedition 42/43 al Gagarin Cosmonaut Training Center a Star City, Russia. Terry Virts della NASA firma il libro del cerimoniale il 6 novembre 2014 seduto accanto al collega Anton Shkaplerov dell’Agenzia Spaziale Russa, Roscosmos e a Samantha Cristoforetti dell’Agenzia Spaziale Europea. Crediti: NASA/Stephanie Stoll, ESA/ Flickr

Gli esperimenti della Missione Futura spaziano negli ambiti più disparati, dai disturbi del sonno alla circolazione cerebrale, per un numero totale di 10. Sono esperimenti che avranno delle ricadute anche qui sul nostro pianeta, o in alcuni casi, realizzati per migliorare la vita sulla Terra, sono finiti nello spazio.

A fine ottobre ricorderete sicuramente l’esplosione del razzo Antares, il cargo della Orbital Science in partenza verso la Stazione Spaziale Internazionale. Il razzo Antares avrebbe dovuto portare in orbita il modulo da trasporto Cygnus che conteneva oltre 2 215 chilogrammi di materiale destinato alla ISS, tra cui cibo, acqua, hardware di bordo ed esperimenti scientifici (per una lista completa, Orbital CR-3 Mission Overview)

Mi sono chiesta che cosa aveva perso Samantha di personale: le scarpine rosa? Un po’ di cibo che era stato confezionato per i suoi sei mesi in orbita?

In uno dei suoi ultimi post su Avamposto 42, in modo sereno dice che “per quanto riguarda il “mio” bagaglio, non c’era nulla di troppo personale nel Cygnus. La piccola scatola che ho potuto riempire di cose personali, come calzini in più e alcune dotazioni per la comunicazione pubblica, sono già sulla ISS: il mio collega astronauta Alex ha perfino mandato una foto del materiale dall’orbita per rassicurarmi! E i ricordi che mi sono stati affidati in custodia dagli amici e familiari voleranno con me nella Soyuz. Cygnus trasportava effettivamente vestiti per noi per la parte finale della missione, ma c’è tempo per rimpiazzare quelle cose (e abbiamo perfino vestiti di riserva in orbita giusto in caso). Tutti i miei contenitori di cibo bonus (9 scatole) sono anche già in orbita e, per quanto riguarda il normale cibo della ISS, ci sono scorte per diversi mesi già stivate sulla Stazione!”

Quando andavo al liceo questa passione per il volo era molto forte, ma nessuno dei miei compagni di classe seguiva le missioni spaziali. Ero una ragazza sicuramente con la testa alla meccanica spaziale, al cielo e alle stelle, e un pochino mi sentivo “diversa”. Ai miei piedi immaginavo anfibi pesanti e percorrevo con l’immaginazione le piste di atterraggio, toglievo gli anfibi e con i calzini fluttuavo in assenza di gravita’ all’interno di un laboratorio spaziale.

E poi, arrivò il momento della sospensione dei voli Shuttle. Non c’erano soldi neppure in America per finanziare un progetto che era oramai vecchio di trent’anni. Fu un dolore enorme anche per me, oltre che per tutti i tecnici e il personale NASA che venne licenziato o dovette riadattarsi in altri lavori. Moriva un sogno.

Venne il tempo di guardare dall’altra parte del mondo, in un’altra rampa di lancio, in uno dei posti più freddi sulla Terra, la Russia. La cara vecchia Soyuz., Star City. Yuri Gagarin. Da quelle fredde regioni terrestri era arrivato Yuri Gagarin, il primo uomo a volare nello spazio, per poco, ma completamente solo.

Paolo Nespoli e Luca Parmitano ed ora Samantha Cristoforetti. Tutti addestrati ai rigidi inverni moscoviti, tra le montagne innevate, nei boschi, in centrifughe, in vasche enormi per ore e ore per imparare a manovrare bracci meccanici, arnesi, per muoversi con familiarità nelle loro nuove tute spaziali.

Dopo Paolo e Luca, ora tocca a Samantha entrare in quella capsula Soyuz per volare fin lassù a 400 chilometri di altezza. Fa provare un senso di soffocamento ma dicono di stare abbastanza comodi, forse perché il viaggio dura qualche ora, non giorni. Domenica sera entrerò con Samantha in quella capsula e ritornerò bambina per qualche momento, rispondendo alla mia domanda: quando la prima donna italiana nello spazio? Ho una data, ora. Il momento e’ arrivato.

Partiremo con Samantha anche noi domenica sera e sogneremo il nostro piccolo angolo di cielo seduti stretti accanto a Samantha. Non mancheremo di cercare lassù nei prossimi giorni quel puntino luminoso che entra nel campo di vista da orizzonte a orizzonte immaginando che, forse, in quel momento, due occhi luminosi come due stelline ci stanno guardando.

Per sognare ancora e capire che, per alcuni di noi, i sogni fanno parte della vita.

Samantha Cristoforetti all'interno della Soyuz il 12 novembre 2014. Crediti: GCTC, NASA, ESA, Flickr

Samantha Cristoforetti all’interno della Soyuz il 12 novembre 2014. Crediti: GCTC, NASA, ESA, Flickr

C’e’ il Diario di Bordo di Samantha Cristoforetti online che ha iniziato a tenere a 500 giorni dal lancio, prima su AstronautiNews  e poi, a partire dal luglio 2013 anche sul suo sito ufficiale Avamposto 42.

Anche sul sito dell’ESA Astronaut Class of 2009 vi e’ un blog curato dai vari astronauti selezionati nel 2009 dalla NASA-ESA per le missioni a bordo della ISS, dove Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti hanno lasciato le loro emozioni. Entrambi, infatti, sono stati selezionati nel 2009.

Le foto di Samantha Cristoforetti su Flickr mostrano gli addestramenti e i momenti ufficiali, i momenti piu’ personali con i familiari, le ultime ore prima del lancio e la la lunga preparazione degli ultimi due anni.

Link utili: 

Avamposto 42: http://avamposto42.esa.int/

RaiNews: Samantha Cristoforetti nello spazio, serata speciale sabato su RAI3 

Samantha Cristoforetti: la mia strada per le stelle – http://tuttidentro.eu/2014/10/10/samantha-cristoforetti-mia-strada-per-stelle/
Samantha Cristoforetti:; tutto e’ iniziato guardando le stelle – http://tuttidentro.eu/2014/10/07/samantha-cristoforetti-tutto-e-iniziato-guardando-le-stelle/
Avamposto42, guida galattica per terrestri in missione – http://tuttidentro.eu/2014/06/20/avamposto42-guida-galattica-per-terrestri-in-missione/

Sabrina

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Vedere la poesia

Vi sono diversi modi per fruire la poesia. E’ vero che da sempre la parola scritta ha ammesso ed anzi incoraggiato una serie di possibili ibridazioni e contaminazioni, nella tensione ad esplorare sempre nuove potenzialità espressive.

A mostrare nuovi colori, indicare nuovi sapori, rinnovate suggestioni. 

Tutto questo è stato comunque improvvisamente accelerato dall’avvento di Internet e del relativo globale rinnovamento, del nuovo inizio che ha portato nel mondo della comunicazione. In questo senso il primo Internet (1.0 diciamo), ha fatto del testo, della parola, la sua vera chiave di volta. Le immagini erano poche ed anche piccole, perché le velocità di trasmissione e le potenzialità tecnologiche di reti e computer non permettevano certo di sbilanciarsi sul fronte della multimedialità. Chi scrive se lo ricorda, per  averlo vissuto: è stato davvero un Internet della parola (scritta).

Una stagione con delle proprietà caratteristiche, ben definite. Che è ormai definitivamente tramontata.

Ora nelle nostre reti viaggiano – con pari rilevanza e dignità – parole e suoni, luci e rumori, immagini e filmati. Ma la parola ha sempre in Internet un suo ambito privilegiato: blog (come questo), email, social network… un ampio e articolato ventaglio di possibilità. Pensate a quanto passa ancora – nonostante il diluvio di immagini e filmati – attraverso la parola. A quanto sempre sarà la parola a trasportare la possibilità antichissima e sempre nuova di modulare, di comunicare, sul livello delle emozioni. Quel livello senza il quale la comprensione stessa della realtà (a quanto ci dicono anche studi psicologici rigorosi) è al più incompleta, parziale, inefficace. 

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Vedere quindi il tempo che si dipana / nel respiro dell’acqua / con una pazienza che non è la mia

Pure, la parola si può cercare di ibridare, di sposare, con ciò che è diversa da lei. Del resto, la parola evoca sempre immagini, sempre rimanda a qualcosa altro da lei. Quando leggo un romanzo la mente lavora, elabora colori, forme, decide paesaggi, crea delle stanze, abita delle situazioni. Mentre leggo, si può dire, la mente “riceve” la sceneggiatura e costruisce il suo film. Con tanto di colori, sensazioni, sapori, immagini. A volte lo fa anche meglio dei professionisti del settore. E’ quello che nasconde lo scambio di battute che avremo sentito tutti, prima o poi: “Ti è piaciuto il film?” “Sì, ma era meglio il libro”. Tradotto, vuol dire era meglio il film che ho costruito io rispetto a quello che ho visto al cinema. 

Giocare con queste possibilità vuol dire entrare in un campo aperto ed accessibile a chiunque.

Come scrittore, rimango curioso di come il verso possa intersecarsi ed ibridarsi con le immagini, di come insieme si arricchiscano e formino qualcosa di diverso: non appena una traduzione o al limite un tradimento dell’intento poetico originale, ma proprio una cosa nuova, che vive in un territorio altro, che è simile ma differente dalla poesia. 

Questo che vado a descrivervi è appena un esperimento. L’idea è mescolare le mie parole con delle immagini, per vedere – come diceva Jannacci – l’effetto che fa. Enucleare qualche verso, una breve sequenza, una minima scansione del testo, e accostarla ad una foto. Azzardare una suggestione, un possibile percorso interpretativo. 

Per questo esperimento ho scelto Pinterest, il social network che consente di pubblicare immagini con brevi commenti, organizzate tematicamente. Ho aperto un board dedicato, dove ho iniziato ad inserire dei pezzettini del mio recente volumetto di poesie “In pieno volo”. Ogni pezzettino, ogni brano, è accompagnato da una immagine. E’ appena una scelta, tra le diecimila che si potrebbero fare. Arbitraria e suggestiva e opinabile e godibile come ogni scelta. 

Follow Marco’s board In pieno volo on Pinterest.

Spero che questo spazio possa suggerire ipotesi di lettura intriganti, che possa magari spingere qualcuno ad incuriosirsi del volumetto, a decidere di leggerlo. Oltre a ciò, quello che mi piacerebbe è aprire anche ad altri la stessa possibilità: fare di questo spazio un ambito comune. Mi interesserebbe molto vedere che immagini e che brani del libro altri potrebbero selezionare. In un gioco di incastri potenzialmente illimitato, dove può essere il lettore – perché no – che fa scoprire qualcosa all’autore, che lo stupisce.

Che gli suggerisce risonanze ed evocazioni che lui, scrivendo, non aveva pensato.

Ma questa è la magia della scrittura. Non è una cosa a senso unico, una freccia che parte dall’autore e si ferma al lettore. E’ un gioco intrecciato di rimandi, è un processo creativo a molti poli. Dove ogni persona coinvolta apporta qualcosa.

Se volete, se avete letto il libro o lo leggerete, vi invito fin d’ora ad accompagnarmi attivamente in questo  progetto. Commentate il post o contattatemi su Facebook, vi abiliterò l’accesso al board. Scegliete dei versi da In pieno volo e condite con una immagine di vostra scelta. Sarò curiosissimo di osservare gli accostamenti. Di imparare qualcosa di nuovo dalla vostra creatività, e (anche) dai miei stessi versi.

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Rosetta, dieci anni dopo

I giorni appena trascorsi, lo sappiamo, sono stati magici sotto diversi punti di vista. Rosetta ha fatto meraviglie, certamente. Ma la prima meraviglia, a parer mio, è accaduta proprio qui, sulla Terra. Fateci caso.

Presi come siamo da tante cose da fare, da tanti problemi e perplessità – stretti ancora in una crisi che prima ancora che economica mostra spesso gli indizi di proporzioni più vaste, una crisi (ultimamente) di senso che ci corrode e – come per sopperire ad una qualche mancanza – ci irrigidisce in maniera non necessaria…  esperti e non esperti, siamo stati ugualmente catturati. Siamo stati catturati – dopo tanto tempo – dall’eccitante prospettiva di una avventura comune. Uno scatolone di metallo lanciato nello spazio si è rivelato molto più della somma delle sua parti meccanica (ed elettroniche).

Possiamo vederla così. Nei suoi dieci anni di viaggio la sonda Rosetta preparava pazientemente questo. Covava nell’ombra e nel nascondimento dello spazio, una prospettiva di fioritura cosmica di interesse planetario (il nostro, di pianeta). Qualcosa ha camminato, in questi dieci anni. Seguita con pazienza dai tecnici e dagli scienziati dell’ente spaziale del nostro continente (e con rispetto da quelli americani). Accudita, monitorata, messa a nanna e risvegliata, Rosetta proseguiva verso il suo obiettivo, verso la sua cometa.

Comet 67P on 20 October (A) - NAVCAM

Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM, CC BY-SA 3.0 IGO

Quello che in tanti non pensavamo, quello di cui non ci rendevamo propriamente conto, è che il suo obiettivo era il nostro obiettivo. Quello che il nostro ormai abituale cinismo non calcolava, era che dalla mattina di quel fatidico mercoledì 12 novembre, pur presi in mille cose e diecimila impegni, ci saremmo inaspettamente ricordati che esiste il cielo e che una sonda inviata da noi umani, stava per tentare un’impresa che – già sulla carta – avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque.

Diciamo la verità. Rosetta è andata lassù per regalarci un sogno. E il lander Philae ha fatto l’impossibile, per rilanciarlo, con estrema baldanza,  al di là di ogni calcolo di basso cabotaggio. Un sogno molto concreto, come tutti i bei sogni: come i sogni più veri. E’ arrivata lassù e ha fatto ciò che ha fatto, grazie ad una scienza e ad una tecnologia certamente sempre più sofisticata e complessa. Frutto di una necessaria iperspecializzazione tutta moderna, siamo d’accordo. Tuttavia è una scienza che – proprio all’apice della massima complessità – ha mostrato inaspettatamente un volto amico, e si è riversata con grande facilità ed efficacia nell’immaginario di ognuno di noi. La missione di una sonda di metallo su una fredda cometa ha intercettato qualcosa di caldo, di pulsante in ognuno di noi. Perché la complessità ha incontrato il desiderio di comunione e fratellanza umana, la voglia mai sopita di qualcosa di grande a cui partecipare tutti insieme. 

Così è stata come una grande partita, se vogliamo. Con la differenza, importante, che stavolta eravamo tutti dalla stessa parte. E’ stata l’articolazione paziente e realistica di un sogno. Non una guitezza improvvisata, uno scarto di furbizia, un prendere smagato, un gioire senza coltivare.

Affatto.

E’ stato piuttosto un coronamento di una gestazione paziente e senza scosse, perché tutto nasce dalla terra, dalla solidità. Anche dalla sofferenza e dalla frustrazione che una missione così lunga avrà riversato sulle persone che ci lavoravano.

“Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne.” scriveva Emmanuel Muonier (ben prima che si parlasse di sonde spaziali). E così questi giorni emozionanti che abbiamo appena trascorso sono il frutto di una solidità guadagnata nel tempo. Di una sofferenza sopportata, nel tempo. Una solidità che ci ha permesso di sognare. Di aprire le ali, spiegare i nostri pannelli solari, spesso atrofizzati, per riprendere energia.

Quanto vale questa cosa, come monetizzare un entusiasmo e un interesse planetario? Certo la missione ha i suoi costi, che è giusto che vengano discussi e vagliati (senza faziosità). Non sarà inopportuno ricordare che il senso di una impresa di questo genere, al di là delle ricadute tecnologiche importanti per la vita a Terra, ha una portata appunto ben più ampia, probabilmente con un valore ancora più decisivo. Ha il valore intrinsecamente pacifico e pacificatore di una grande impresa comune, di una possibilità rinnovata di poter guardare tutti dalla stessa parte.

La gioia dello staff ESA pochi giorni fa è stata la nostra gioia. Una gioia transnazionale, una gioia fiorita nonostante la crisi e le tensioni, una gioia che ci ha ricordato che noi siamo ben più che la somma dei nostri problemi.

Che noi siamo capaci di infinito.

E ci ha reso possibile  capire che l’uomo è fatto per questo, per grandi imprese. E ogni uomo ha la sua grande impresa da compiere, ogni uomo è in cammino per la verità della sua vita, e lo fa accettando anche la fatica, accettando i suoi dieci (venti, trenta, cento) anni di volo.

Necessari,  perché possa agganciare la sua cometa.

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Con gli occhi di Rosetta

Hello World!

Sono Rosetta, e sono una sonda spaziale. Mi ha costruito l’ESA, che è l’ente spaziale europeo. L’ESA è finanziata con i soldi dei cittadini d’Europa. E con quei soldi l’ESA che fa? Lei sogna, e cerca di realizzare quei sogni, o almeno quella parte che sembra più opportuno provare a realizzare.

Così con quei soldi, con i vostri soldi (per cui devo intanto dirvi un sincero grazie), sono nata io.  E sapete, sono nata nel 2004. Cioè in realtà sono stata concepita molto prima (so che voi terrestri avete circa nove mesi dal concepimento alla nascita, per noi sonde il tempo può variare), perché di qualcosa di simile si era cominciato a parlare dal lontano maggio del 1985. Eh sì. Voi direte: i mitici anni ottanta. Amati e odiati (anche a me non piacevano quei pantaloni a zampa di elefante, ho visto le foto, ma qualcosa della musica di allora io la salverei….. cioè la porterei nello spazio con me).

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Una vista ravvicinata della cometa, che ho preso pochi giorni fa; mi diverto parecchio a fotografare… (Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM, CC BY-SA 3.0 IGO)

Ma fatemi proseguire, senza divagare troppo (sarà che stando nello spazio ho imparato a fare enormi divagazioni, con tutto il tempo che avevo…): nel 1985 l’ESA aveva già proposto che una delle missioni più importanti per il futuro sarebbe dovuta essere una missione di prelievo di campioni cometari. Eh sì, con addirittura un ritorno a Terra, per consegnare la merce! Una cosa simile negli anni ’80, da non crederci!

Eh sì, se devi sognare, sogna in grande, direbbe qualcuno.

Certo i sogni vanno sempre confrontati con la realtà. Bisogna fare i conti con le circostanze: che nello specifico – soprattutto per le limitazioni di bilancio (mi dicono che giù da voi c’è la crisi, anche se qui le notizie arrivano con il contagoccie…) – non erano così favorevoli a missioni costosissime. E il ritorno a Terra avrebbe inciso in maniera significativa sui costi della missione. Per cui, per farla breve, si decise di progettare una missione che prevedesse l’analisi in loco dei campioni cometari, con l’utilizzo di un lander.

Ecco, in pratica stavo nascendo io (e perfino Philae): almeno nella mente degli scienziati e dei tecnici.

Sapete poi la storia interessante del cambio di obiettivo? Penso di sì., forse ve lo hanno raccontato. Comunque, in poche parole, il fatto è questo: io sarei dovuta partire il 12 gennaio 2003 per raggiungere la cometa 46P/Wirtanen nel 2011 (un bel viaggio, come vedete dal tempo necessario). Però qualcosa andò storto: il vettore Ariane 5, che poi era quello che mi avrebbe dovuto portare in braccio fino a consegnarmi allo spazio infinito, fallì un lancio nel 2002, poco prima della mia prevista partenza. Potete capire, gran marasma. Così anche la mia partenza fu rimandata. E anche l’obiettivo, per questo motivo, dovette essere riformulato.

Fu così che mi dissero che sarei dovuta andare verso la 67P/Churyumov-Gerasimenko. Tra l’altro, per me era uguale, io avevo solamente curiosità di vedere se riuscivo ad arrivare su una cometa, poi facessero loro: insomma possiamo dire che mi fidavo dei miei genitori.  Tra una cosa e l’altra, partii nel 2004 (sono pigra nel preparare le valigie, mancava sempre qualcosa. Poi non sapevo se portarmi tanta roba pesante). L’arrivo, come sapete, era previsto dieci anni dopo.

Che pazienza! Vi risparmio i dettagli del viaggio. Vi dico solo che ad un certo punto è diventato così noioso che mi sono addormentata. Così, anche per risparmiare le forze e l’energia.

Beh, il 20 gennaio di quest’anno, mentre ancora dormicchiavo beata, mi arriva un toc toc da Terra. Un po’ seccata (stavo sognando di esplorare altri sistemi solari, uno era popolato di essere verdi che saltellavano al mio arrivo, era veramente emozionante) chiedo cosa vogliono, e con sorpresa mi accorgo che sono quasi arrivata, che a Terra già sono tutti emozionati e contenti per il mio risveglio, che stiamo insomma per incontrare la cometa. Il viaggio decennale sta per finire.

Mentre voi stavate in spiaggia (il 6 di agosto) io sono arrivata a 100 Km dalla cometa (finalmente l’ho vista!)  e ho iniziato a cercare di capire dove poter far scendere mio figlio, il lander Philae… un bel chiacchierone, tra l’altro, mi pare anzi che vi abbia già raccontato qualcosa… figuriamoci, quello non resiste mai  a parlare di sé stesso… ma in fondo è una bravo ragazzo, pieno di entusiasmo e voglia di fare.

Il resto della storia è di questi giorni: il 12 novembre alle 17:03 è atterrato Philae (mamma… non ci crederai…  sono sulla cometa, sono sulla cometa!!). Quello scavezzacollo, sapete, non si è mica accontentato di atterrare (o accometare?) e basta, come gli era stato chiesto, ma pare abbia fatto addirittura due o tre rimbalzi, finendo in un punto non previsto. Così, tanto per giocare un po’ a nascondino. Ma io lo sapevo, nessuna sorpresa per me. Bastava che me lo avessero chiesto: lo conosco bene come è giocoso ed esuberante, non gli sarà parso vero potersi sgranchire un po’ le gambe dopo che per tanto tempo era dovuto rimanere aggrappato alla sua mamma, per non perdersi.

Al momento in cui vi racconto questo, non vi sono novità su dove si sia nascosto. Ma io ho fiducia nel mio ragazzo: è lì dove doveva andare, e sta facendo quello che voleva fare da una vita, da quando è nato.

Vi dico la verità: non ci avrei mica creduto di riuscire a portarlo fino lì. Tecnicamente è un’impresa incredibile. Voi di ESA, siete stati fenomenali. Ma non scordiamoci che in questa occasione, voi italiani, siete stati splendidi: passionali e professionali. Ho visto on air proprio i tratti migliori della vostra mediterranea umanità.

Ora vi lascio, fatemi risparmiare energia preziosa. Prima però voglio ringraziare di cuore tutte quelle persone che hanno seguito queste ore così eccitanti di una avventura mai tentata prima. In pochissime ora ho visto che il gli iscritti del mio account Twitter (@ESA_Rosetta) e anche di quello di mio figlio (@philae2014) sono veramente … saliti alle stelle! Non pensavo proprio, quando sono partita di diventare così famosa sui social network, ormai non faccio nemmeno più in tempo a leggere un messaggio che me ne arriva subito un altro. Dovete avere pazienza, considerate che io sono nata due anni prima di Twitter, tanto che mi sono davvero iscritta al volo!

Mi dicono i ragazzi di ESA che non possono dire come e quanto durerà la missione, al momento. Vada come vada, sono contenta: già così, essere arrivati in orbita attorno ad una cometa, lontanissimo da casa: un’impresa incredibile, per cui hanno lavorato in molti con grande dedizione. Ma – qui nello spazio, mentre orbito intorno alla cometa e butto l’occhio su questo buffo ma interessantissimo pezzo di roccia anche per cercare quel birbone di Philae – non penso solo a loro. Penso che ognuno di voi ha contribuito per un pezzettino: e ognuno di voi, guardando il cielo, stanotte e le notti successive, potrà rivolgere un pensiero a me e a mio figlio, all’impresa che stiamo compiendo per tutti voi. Che voi avete reso possibile. Ed esserne un po’ contenti. Ed anche essere fieri di essere uomini: una volta tanto, ve lo potete permettere.

Fatevelo dire da una sonda: vale davvero la pena essere uomini, per lanciarsi ancora in avventure così. 

 

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Siamo sulla cometa

Philae mentre sta per raggiungere la cometa. La foto e' stata scattata dalla sonda Rosetta. Crediti ESA/Missione Rosetta

Philae mentre sta per raggiungere la cometa. La foto e’ stata scattata dalla sonda Rosetta. Crediti ESA/Missione Rosetta

Philae si e’ seduto sulla cometa!

E’ con queste parole che Andrea Accomazzo, Spacecraft Operations Manager dell’ESA, ha dato l’annuncio al mondo. Erano le 17.05 italiane, o cosi’ segnava l’orologio del mio computer, quando ho sentito urla di gioia, ho visto braccia alzarsi al cielo e ho fissato nei miei occhi gli occhi degli scienziati che cercavano altri occhi, quelli dei loro compagni di avventura, che stavano vivendo da decenni un’avventura senza precedenti.

Siamo sulla cometa! ha poi aggiunto Andrea, festante, con l’emozione palpabile, e l’ha trasmessa a tutti noi, l’ha trasmessa al mondo intero che stava seguendo questa storica avventura.

Philae e’ ora sulla cometa. Gli arpioni, anche se sembravano ben fissi, non lo sono. Qualcosa non e’ andato come doveva e in queste ore i tecnici e ingegneri ESA sono al lavoro per capire il problema e tentare di risolverlo.

Un'immagine composta da quattro immagini riprese dalla NAV CAM a bordo di Rosetta che mostrano il sito dove atterrerra' Philae. Crediti e copyright: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Un’immagine composta da quattro immagini riprese dalla NAV CAM a bordo di Rosetta che mostrano il sito dove atterrerra’ Philae. Crediti e copyright: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Eravamo abituati a scendere con vari robot su Marte, Giove, Saturno, abbiamo mandato robot anche su Titano, la luna principale di Saturno, abbiamo sorvolato da vicino numerosi asteroidi, penetrando anche nella parte piu’ vicina al Sole, andando su Mercurio (senza far atterrare nessuna sonda, pero’) e anche su Venere, dove da decenni si studia la superficie di questo pianeta caldissimo.  Mai su una cometa. Un’impresa senza precedenti: colpire il bersaglio, colpire la zona di alcune centinaia di metri, far posare un oggetto piccolissimo su un altro privo praticamente di gravita’.

Mi mancano le parole. Riesco solo ad esultare con voi e a dire: siamo sulla cometa!

Grazie Philae! Grazie Rosetta!

Sabrina

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Nuovo indirizzo…

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Con gli occhi di Philae

Hello World!
Sono Philae, un piccolo esploratore spaziale con grandi ambizioni: atterrare qui:

Crediti ESA

su questo pezzo di roccia ghiacciato e polveroso chiamato Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko…  (E di fantasia in fatto di nomi, voi terrestri ne avete davvero tanta! Questa cometa e’ posto con tanta polvere e poco ghiaccio e con una temperatura di circa -70 gradi centigradi. Brrr, fa freddo per voi, vero? Non per me, ho un cappottino niente male e una macchina fotografica che fa invidia ai piu’ grandi fotografi terrestri!

Il posto dove posero’ i miei piedini e’ stato chiamato Agilkia con l’accento sulla seconda i e la g gutturale, e fa un certo effetto a vederlo da qualche chilometro di distanza e sta diventando, ora dopo ora, sempre piu’ grande sotto di me…

Un'immagine composta da quattro immagini riprese dalla NAV CAM a bordo di Rosetta che mostrano il sito dove atterrerra' Philae. Crediti e copyright: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Un’immagine composta da quattro immagini riprese dalla NAV CAM a bordo di Rosetta che mostrano il sito dove atterrerra’ Philae. Crediti e copyright: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Stamattina avete ricevuto la telemetria dalla mia mamma, la sonda Rosetta, e … anche da me!
La separazione da lei, dopo dieci anni di vicinanza e di contatto, e’ stata seguita da Terra e questa e’ la prima cartolina che vi mando:

Prima immagine di Philae dalla sonda madre Rosetta dopo la separazione. Crediti ESA ?Rosetta

Prima immagine di Philae dalla sonda madre Rosetta dopo la separazione. Crediti ESA ?Rosetta

Sono io, si’! Quello che vedete in questa foto sono proprio io!

Ora che mi trovo a pochi chilometri dalla superficie, sono nella posizione ottimale per scendere su questo pezzo di roccia ghiacciato. So il vostro entusiasmo e ne sono felice anch’io! Non solo: avete ricevuto un sacco di dati da tutta la strumentazione della sonda madre. Questo fara’ aumentare la vostra curiosita’!

Crediti Video ESA

E siamo solo all’inizio.
Manca poco al mio salto finale! Alle 17.02 italiane piu’ o meno.
Fate il tifo per me!!!!

Crediti ESA

Ah, non dimenticate di seguite in diretta il mio piccolo grande balzo sulla superficie della cometa dal sito ESA: http://new.livestream.com/esa/cometlanding

Sabrina

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Philae verso la Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko

Rosetta e Philae, il momento della separazione in una rappresentazione artistica. Credit ESA?Rosetta

Su Twitter il lander Philae ha gia’ promesso che mandera’ a Terra molte cartoline dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. E sicuramente il mondo che sta per andare ad esplorare non e’ mai stato osservato da occhio umano e le cartoline appariranno senza dubbio sensazionali.

Al momento, Philae sta fluttuando nello spazio per raggiungere la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. 22 chilometri e mezzo da coprire in 7 ore con una velocita’ di circa 50 centimetri al secondo. Dovrebbe toccare il suolo alle 17 ore italiane. Qualche tempo fa ho ricordato i 7 minuti di terrore per il lander Curiosity della NASA del 6 agosto 2012 quando tutto il mondo scientifico rimase col fiato sospeso in attesa di conoscere l’esito dello sganciamento del rover marziano. Qui oggi si tratta di ben sette ore di suspense per Philae e Rosetta!

La traiettoria della sonda Rosetta per lo sganciamento di Philae sul nucleo della cometa. Crediti ESA

Dallo Space Operation Centre (ESOC) a Darmstadt, in Germania stanotte non erano arrivate notizie molto confortanti. Per un po’ i tecnici e scienziati ESA si erano trovati nell’indecisione tra il GO e il NO GO di Philae, poi alla fine e’ arrivato l’annuncio: GO FOR SEPARATION!

Cosa era accaduto stanotte? Durante i normali controlli sullo stato di salute di Philae, si era notato che il sistema di discesa attiva, che fornisce una spinta per evitare il rimbalzo del rover una volta toccato il suolo, non poteva essere attivato. E’ andato tutto bene, e la separazione nello spazio e’ avvenuta regolarmente e puntualmente alle ore 8.35 GMT, le 9.35 ora italiana ma il segnale radio impiega ben 28 minuti e 20 secondi per raggiungere la Terra.

Rosetta Mission Control Centre, presso lo Space Operations Centre dell’ESA aDarmstadt, in Germania. Crediti: ESA TV

Cosa c’e’ di romantico in una missione come quella di Rosetta? L’aspetto umano, direi. Il lavoro di centinaia di persone, moltissimi precari e giovanissimi e’ stato sottolineato durante la conferenza di apertura della Mostra “In Orbita! Rosetta, cacciatrice di comete … e altre storie”, aperta a Padova fino al 14 novembre. Non solo. Il ventennio di preparazione, di sforzi comuni, il ventennio di idee, progetti, intuiti, precisione, dedizione, curiosita’ oltre che naturalmente la bravura e l’ambizione di voler arrivare li’, in quel sassolino che si muove tra i pianeti, un sassolino di circa 4 chilometri di diametro (anche se ha una forma molto particolare, a funghetto, quasi) che potra’ raccontare molto della storia del nostro Sistema Solare. Una sfida umana, tecnologica, una grande conquista della ricerca, che avra’ sicuramente grandi risvolti nella vita di tutti i giorni.

Si va o non si va? Questa e’ stata la domanda che i tecnici e scienziati dell’ESA si sotto fatti nella notte dell’11 novembre 2014 per la separazione di Philae dalla sonda madre Rosetta. Crediti ESA

Questo e’ il punto. In traguardo spaziale, scientifico e tecnologico, si va sempre al limite… Questo spingersi al limite aiuta a trovare nuove soluzioni, nuove idee, nuovi progetti, nuovi traguardi.

Le immagine dovranno aspettare ancora, questa sera. Al momento possiamo solo immaginare cosa sta succedendo la’ fuori, tra l’orbita di Marte e quella di Giove. Le batterie funzionano benissimo, i primi dati stanno arrivando e tutto sta procedendo bene. Alle 12.07 italiane Rosetta ha chiamato casa e anche Philae ha fatto sentire la sua vocina dopo il distacco.

Su Twitter potete seguire il dolce scambio di parole tra Rosetta e Philae.

Fonte Rosetta Blog: Rosetta and Philae go for separation: http://blogs.esa.int/rosetta/2014/11/12/rosetta-and-philae-go-for-separation/

Sabrina

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