Blog di Marco Castellani

GAIA, un anno dopo

La prima impressione è quella di esclamare, ma come, già un anno? Eppure è così, da quando il satellite GAIA è stato lanciato, è passato esattamente un anno. Ora che ci penso, ora che rileggo le considerazioni scritte a ridosso del lancio, mi ritrovo improvvisamente a realizzare quanto tempo sia passato. 

Ripensandoci, capisco ancora di più l’eccitazione del team di Rosetta all’arrivo alla cometa, dopo dieci anni di attesa. Il fatto è questo, è che siamo diventati complicati. Direi, inevitabilmente complicati. E una missione spaziale contemporanea richiede, tipicamente, anni ed anni di lavoro ancora prima che venga assemblato un solo pezzo. Così quando arrivi al momento del lancio – come arrivammo noi che lavoriamo in GAIA, il diciannove di dicembre dello scorso anno – hai già alle spalle una quantità di lavoro svolto, di riunioni, di meeting, di contatti e collaborazioni… Tutta una vita il cui fulcro, in pratica, è costituito da quel piccolo oggetto che sta per giocarsi la sua vera fatidica scommessa, che sta per essere lanciato nello spazio. Improvvisamente ti accorgi di quanto sia vulnerabile, di fronte all’immensità dello spazio, alla grandiosa sfida del suo stesso compito.

E ti rendi conto che il rischio che qualcosa vada storto – nonostante tutta la cura nei preparativi – è tutt’altro che accademico. E’ un rischio reale. Mi vengono alla mente i pensieri pre-lancio che occupavano spesso la mia testa, allora. I discorsi che si facevano a mezza bocca nei corridoi, durante i meeting. O quello che si aveva solamente paura di dire. E se il lancio andasse male? Era la domanda che aleggiava inevitabilmente dove più persone si riunivano a lavorare su Gaia, sopratutto nei mesi immediatamente precedenti al lancio. No, no, non dobbiamo nemmeno pensarci! mi disse in una di queste occasioni, una stimata collega dell’Osservatorio di Bologna.

Qualcosa a cui non pensare. Ma siccome siamo umani, succede questo: più non ci devi pensare, più la mente ci va…

Così il momento del lancio è stato anche il punto fatidico di un progetto che era già una vita, per molti di noi. Ed è andato bene, è andato benissimo. Con alcuni colleghi, abbiamo organizzato, per quella fatidica mattina, una proiezione della diretta nella sala seminari dell’Osservatorio di Roma (dove lavoro). L’idea, che è stata apprezzata, era di fare qualcosa che coinvolgesse tutti, scienziati e personale amministrativo. Perché in fondo, sia pure con diverse competenze, siamo qui per questo: per questo ci alziamo dal letto, con qualsiasi clima, per questo affrontiamo le file sul GRA, per questo ci presentiamo qui – perché cose di questo tipo possano andare avanti. Perché vogliamo sapere cosa c’è dopo, cosa c’è oltre. 

Io son quello in piedi che guarda lo schermo con celata trepidazione (grazie a Francesco Massaro per la foto)

Io son quello in piedi, che guarda lo schermo con celata trepidazione (grazie a Francesco Massaro per la foto)

Siamo qui – in una sinfonia di specifiche competenze ed incarichi – per umana curiosità e perché, in fondo in fondo, la voglia di stupirci non ci ha ancora completamente mollato.

Perché, grazie al cielo (letteralmente), non siamo ancora completamente cinici.

Siamo qui per la stessa idea che animava Galileo quando puntava il telescopio verso le stelle, cercando le risposte nel libro della natura, e non (soltanto) in qualche grande saggio del passato. Siamo qui per l’idea affascinante ed inesausta che l’universo fisico si fa capire, se opportunamente investigato. 

Un’idea non nostra, ma che ci precede ormai di molti secoli. E un’idea di una fecondità incredibile, che non terminerà mai, probabilmente, di mostrare il suo potenziale.

L’universo insomma si fa comprendere. Una opportunità da non perdere. “L’opportunità di comprendere l’Universo è la ragione per cui è meglio essere nato che non esistere affatto” osava dire Annassagora (in tempi decisamente non sospetti di entusiasmi esagerati per la scienza).

Il satellite GAIA è in cielo per questo. Per lo stesso motivo di Rosetta, pari pari. Perché Anassagora, magari un po’ radicalmente, aveva espresso un’idea che fa parte tuttora del nostro modo di vedere il mondo, di vederci vivi.

Nei dodici mesi che ci separano ormai da quella fatidica mattina, molte cose sono state fatte, sia in cielo che a terra. GAIA ha viaggiato per qualche settimana, verso il punto Lagrangiano 2, dove è destinata a fare la sua scienza (un milione e mezzo di chilometri da qui, mica bruscolini). Ha poi iniziato il periodo di test e messa a punto, di alcuni mesi: durato un po’ più del previsto, anche a motivo di alcuni problemi (una percentuale di luce diffusa sugli strumenti e presenza inaspettata di ghiaccio d’acqua) che hanno dato qualche preoccupazione e del lavoro imprevisto. Insieme a questo, sono arrivate già le prime soddisfazioni, come la scoperta di una supernova effettuata dal satellite.

Ma se l’avessi detto un anno fa, non so se ci avrei creduto. Poter provare il nostro software con dei dati reali provenienti dalla sonda, come finalmente stiamo facendo, qui a Roma (e come stanno facendo, nelle rispettive competenze, da molte altre parti in Europa), è una cosa davvero particolare. Specialmente quando vedi che le cose funzionano, che quello che per anni hai elaborato basandoti – necessariamente – sulle simulazioni, è adeguato per interpretare i dati che GAIA sta iniziando ad inviare. Va bene, c’è da lavorare ancora, le cose sono molto complesse. Si può e si deve puntare a migliorare. Ma i risultati – e proprio in questi giorni lo possiamo dire con soddisfazione – sono molto incoraggianti.

I dati che prende GAIA sono buoni e il software predisposto “risponde” bene. Ed è il secondo regalo di Natale per noi, che lavoriamo a GAIA. Il primo fu ovviamente la confortante perfezione del lancio, segno di un lavoro che proseguiva e che apriva prospettive nuove, attese ma ancora misteriose.

Così gli auguri per il compleanno di GAIA sono anche di contentezza per una missione europea che vede un importante contributo italiano. Perché nei miliardi di stelle che ci farà conoscere c’è qualcosa che ci proietta prepotentemente nel futuro, nella conoscenza formidabile della Via Lattea che ci è promessa, ed insieme qualcosa che ci lega in maniera forte e robusta al passato.

A quando un uomo di nome Galileo Galiei, fisico, filosofo, matematico e astronomo, puntò per la prima volta verso la volta celeste: un apparecchio strano ideato appositamente per raccogliere la luce delle stelle.

Un telescopio, appunto.

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14 Comments

  1. Genuino, spontaneo, pieno di affetto, Marco. Si sente l’attesa, la speranza, la paura di un cuore, l’emozione del lancio, l’euforia, il desiderio che tutto proceda bene nel corso del tempo della raccolta dei dati (perché non basta progettarlo, costruirlo e mandarlo nello spazio quell’oggettino incantevole). Bello. Davvero.

    Il desiderio di conoscenza ci spinge a varcare confini sempre più distanti, quello che era il nostro orizzonte oggi diventerà una nuova terra, un nuovo pianeta, una nuova stella domani. E avremo un altro orizzonte ancora da varcare. E’ come dare la mano a Galileo oggi e camminare con lui nel percorso immaginario (immenso) della conoscenza. Domani qualcuno che verrà dopo di noi potrà dare la mano a noi, mentre noi stringeremo ancora quella di Galileo. Una bella catena umana di conoscenza sempre più in là nell’universo (che non ha un centro!) 🙂

    • mcastel

      Vero, verissimo Sabrina! E fai bene a dire che stringeremo ancora la mano di Galileo, perché… è così! E’ la stessa attitudine, lo stesso atteggiamento di fronte alla realtà (come tu sai bene) che aveva il grande pisano: non è cambiato, dopo tanti secoli, ed è questa la vera meraviglia.. che spero un po’ di aver delineato nell’articolo. E’ proprio una catena di scoperte che penso non avrà mai fine, ed è iniziata proprio così, facendo cadere un sassolino dalla torre di Pisa (più o meno), vedendo come cadeva…. puntando un sistema di lenti verso le stelle… e non facendo grandi ragionamenti astratti! L’umiltà, la voglia di capire, viene premiata, ora e sempre… 🙂

      • E’ una catena umana che mi hai ispirato tu, Marco, leggendoti 🙂 Da quel lancio del sassolino dalla torre di Pisa (o lancio o forse il pensiero del lancio, ma al momento poco importa) abbiamo solo cambiato direzione, abbiamo lanciato in alto il sassolino e… a dire il vero, (come dici tu nell’articolo), è stato Galileo stesso a fare questo cambiamento: a puntare in alto quel giocattolo che veniva usato per “portare vicini gli oggetti lontani”. Prima di lui gli oggetti erano quelli della nostra quotidianità, con lui invece si fa il grande balzo. Si passa ad oggetti del cielo. Forse, qualcuno dopo di lui avrebbe fatto lo stesso prima o poi, ma il bello è che sia stato proprio lui, con quel suo modo di fare tipicamente da scienziato moderno, con il suo intuito e la sua voglia di capire. Ed è stato premiato, eccome! 🙂

  2. franco

    Bella Marco !
    Ho un piccolo,piccolissimo pezzo di me stesso in quell’apparecchiatura,e da quando un anno fa è partita sono un pò partito anche io
    E non l’avrei creduto che è passato un anno,sembra ieri,e domani ultimo dell’anno sarà ancora “ieri”
    Buon anno alla sete di conoscenza !

    • mcastel

      Grazie Franco!

      Perché non ci dici due parole su quel “pezzettino” di te legato a GAIA? Penso che sarebbe interessante, per me ed i lettori di questo blog 🙂

      Carissimi auguri di buon anno… e sempre avanti con la curiosità e la voglia di sapere!

  3. Lionello

    Bell’articolo. Sentimenti sulla ricerca della verità: compresi e condivisi.

    • mcastel

      Grazie Lionello!

      • Lionello

        E’ un piacere. Non sono mai diventato quello che avrei voluto diventare, ma la passione rimane ed è forte. Buon lavoro e continuate così.

      • mcastel

        Grazie per i complimenti. Speriamo di fare del lavoro di ricerca nell’universo una avventura sempre più appassionante e soprattutto condivisa, al di là delle specifiche competenze e dei vari saperi. Si può, sono certo che si può.

      • Lionello

        Ne sono certo anche io… Ma è necessario qualche volta abbattere barriere culturali e di pregiudizi molto forti.

      • mcastel

        Questo è vero. Non è facile, non è affatto facile: è più facile far volare un satellite, in verità. Però ci vogliamo provare.

        Il giorno 19 dicembre 2014 16:37, Disqus ha scritto:

      • Lionello

        E’ necessario, è nel nostro destino. Siamo pezzi di Universo che stanno iniziando a capire sé stessi, perché è questo che siamo veramente.
        Quando però inizio a discutere di tali argomenti con le persone non addentro, mi rendo conto che spesso la reazione è di allontanamento e di ritrosia. Comunicare certi concetti non è affatto semplice ed è per questo che siti come questo devono continuare ad esistere e a portare le persone a farsi qualche domanda in più.

        Ma soprattuto ad alzare la testa più spesso. Il cielo è molto più interessante del proprio ombelico.

      • mcastel

        Hai assolutamente ragione. E’ quello che cerchiamo di fare, come si può, come ci riesce. In particolare noi qui usiamo il nostro “bar virtuale” per cercare di rompere qualche barriera: se non ci sei già ti invito a venirci a trovare, come invito volentieri tutti quelli che si sentono di condividere questa “missione”, info a http://www.gruppolocale.it/bar/

      • Lionello

        Volentieri.

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