Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2015

Astrosamantha impara a volare

Allora come forse saprete, Samantha Cristoforetti, la nostra simpaticissima inviata sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha scelto i Pink Floyd al posto di Vasco, per iniziare la giornata. La prima cosa che ho pensato, mi perdoni Vasco, ma è stato che donna

Perché insomma, ha anche mostrato carattere, nel rivendicare una sua scelta. E poi – lo ammetto – ne sono entusiasta anche e soprattutto perché la scelta è andata su una canzone che secondo me è oggettivamente straordinaria. Eh beh. Learning to Fly è trascinante, stupenda. Mette allegria questa chitarra che entra, da subito, tenacemente sognante… I primi accordi già sembra che ti tirino in alto, ti invitino a lasciare i tuoi crucci, almeno per un po’, e ad osservare le cose da un’altra visuale: una visuale ampia, ariosa.

Non c’è da fare i sofisti. I Pink Floyd, anche  senza Roger Waters (ahi ahi doloroso capitolo, per me), qui appaiono davvero in stato di grazia: a state of bliss, come dicono anche loro.

There’s no sensation to compare with this
Suspended animation, A state of bliss
Can’t keep my mind from the circling skies
Tongue-tied and twisted just an earth-bound misfit, I…

Deve essere bellissimo ascoltare queste note da lassù, dalla Stazione Spaziale Internazionale. Con la Terra che fa capolino dalla finestra. E’ giusta questa canzone, è propulsiva, è ottimistica senza essere fatua. E’ che dobbiamo sempre ricominciare, siamo sempre qui su questo pianeta stupendo per imparare a volare.

Non me ne vogliano i fan di Vasco (per certe canzoni, dopotutto, lo sono anch’io). Non che la canzone di Vasco non sia interessante, ma da come la vedo io, è più “normale”. Possiamo ammetterlo, Dillo alla luna è gradevole. Si può ascoltare, certo.

Ma ragazzi: non decolla come Learning to Fly. 

“Can’t keep my mind from the circling sky…”

Ecco. Una meravigliosa dichiarazione di impotenza. Alla fine ancora succede: alla fine vince lo stupore. Non riesco a distogliere la mente dai cieli che girano intorno

Neanche noi. E se lo facciamo, quando lo facciamo, abbiamo comunque sempre una possibilità. Tornare al circling sky, alla sua meraviglia.

Grazie Samantha, che ce lo hai ricordato.

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Il lungo viaggio di Phòs

Oggi vi voglio parlare di un lungo viaggio, del viaggio che facciamo (io e i miei collaboratori) dal centro del Sole fino ad inondare il vostro pianeta. Un bellissimo pianeta, lasciatevelo dire. Non se ne vedono molti così in giro per l’universo, parola mia. 

Per certo è che, senza di noi, non se ne vede proprio nessuno. Perdonate l’ardire, ma è proprio così: vedere qualcosa senza fotoni in giro, mi dispiace, ma proprio non è cosa. Dopo avervi raccontato un po’ di me (in breve, mi chiamo Phòs e per vivere faccio il fotone), in questa seconda puntata vi parlo di un viaggio veramente… allucinante (seguitemi – se ce la fate – poi mi direte se il termine è appropriato).

Spettacolare, ma... Avete idea di quanto ci mettiamo per arrivare in superficie? (Crediti: SDO, NASA)

Spettacolare.. Ma… avete idea di quanto ci mettiamo noi per guadagnare la superficie? (Crediti: SDO, NASA)

Insomma, se andiamo alla radice, dobbiamo partire proprio dal centro. Dal centro del Sole, intendo. Lì veniamo prodotti in gran quantità, dalla centrale atomica dislocata proprio nel centro della stella. In effetti la vostra stella, non so se ci pensate mai, è una enorme centrale a fusione nucleare sempre accesa, dove il rivestimento coincide con il combustibile stesso. Una cosa favolosa: se ne sta lì in mezzo allo spazio, appoggiata su se stessa,  non gli serve nulla ed è perfettamente stabile. Beh, almeno per qualche miliardo di anni, beninteso: fino a che questo combustibile non comincia ad esaurirsi, o meglio a trasformarsi… allora sì che le cose cambiano.

Ma vabbé, di questo ne parliamo magari un’altra volta. Però è interessante che il combustibile si trasformi, perché poi alla fine si creano gli elementi “pesanti”. Quelli di cui siete fatti voi, per capirci (no, io no, sono un fotone, tutta altra storia).

Comunque vorrei intanto che vi rendeste conto di quanto è enorme una cosa come il Sole. Questo bel tipino (molto focoso, dobbiamo dirlo) vanta un diametro di circa 1,39 milioni di chilometri. E risulta anche abbastanza “di peso”, perché la sua massa si aggira intorno ai 2000 miliardi di miliardi di miliardi di chili!

Con tutto ciò, se chiedete agli astronomi (se vi fidate…), vi sentirete rispondere che il Sole è una stella di piccola massa, che ci sono stelle grandi anche cento volte come lui. Accontentiamoci che sia piccolo, ve lo consiglio: il fatto di essere piccolo fa sì che voi ancora ne stiate a parlare. Fosse stato un po’ più grosso, sarebbe esploso già da tempo: credetemi, una cosa abbastanza seccante, capace di interferire con i vostri programmi per la giornata. Così invece ha davanti ancora un bel po’ di tempo, possiamo stare più che tranquilli.

Perché vi parlo tanto del Sole, mi chiederete.

Beh, ci sono affezionato. Io sono stato creato lì. Proprio al centro di questa struttura gigantesca. Sappiate che è caldissimo (centinaia di milioni di gradi) e pieno zeppo di tipi come me, che sbattono in tutte le direzioni (ecco il problema). Le caldaie lì lavorano a pieno regime e inghiottono ogni secondo montagne di idrogeno, trasformandolo in elio. In questa trasformazione sono nato io e tantissimi amici miei.

Magari ci torneremo. Ma oggi vi parlo di qualcosa di diverso.

Stavolta vi parlo di questo viaggio avventuroso. E lunghissimo. Pensate ad un fotone, uno come me insomma, che nasce all’interno del Sole e poi si muove via da lì. Perché vi dico subito che noi non possiamo stare fermi, noi ci muoviamo ad una velocità pazzesca, la più grande che c’è. Dicono gli scienziati che niente può muoversi più forte di noialtri: veramente c’è stato qualcuno che diceva che i neutrini (quei nanerottoli) ci battevano, ma poi hanno dovuto fare marcia indietro. Tutte balle! Noi siamo sempre i più veloci, lo dice la scienza!

Sì… i neutrini mi stanno sulle scatole, lo confesso. Sarà perché dove sono nato ne vengono prodotti in quantità incredibile e alla fine ti stufi di trovarli dappertutto. Cavoli, non c’è un posto dove puoi stare tranquillo, te li trovi sempre in mezzo. Anche a voi vi attraversano la mano, in un istante, miliardi di quei nanerottoli. E non sto esagerando, anzi! Considerate che ne vengono prodotti così tanti che a Terra, in ogni centimetro quadrato, ne passano ogni secondo ben cento miliardi. No, dico, cento miliardi! Cento miliardi di particelle che passano attraverso ogni centimetro del vostro corpo, ogni secondo, e voi nemmeno ve ne accorgete. E come potreste? Sono così minuscolini che praticamente attraversano il vostro corpo senza interagire per nulla.

Come se non ci fossero, proprio.

Non siete convinti? Guardate che questi sono capaci di percorrere perfino l’intero Sole senza mai imbattersi in nessuno, tanto sono piccolini, mentre noi si sbatte continuamente da una parte all’altra (i vostri scienziati che amano il linguaggio forbito, parlano al proposito di sezione d’urto trascurabile)!  E’ per questo che sulla Terra si dura una fatica da matti per riuscire a beccarne qualcuno, con tanto di esperimenti enormi e (secondo me) costosissimi! Beh una volta ve ne parlo, d’accordo.

Comunque la cosa che mi fa più rosicare (se posso esprimermi così) è che loro se la cavano in un attimo. In un attimo sono fuori: usciti dal Sole, nello spazio aperto. A spasso per l’Universo! Non sapete quanto mi da fastidio… perché noi ci mettiamo molto, molto di più!  Per noi si parla di migliaia di anni, addirittura.

Già, perché il problema è che loro vedono una autostrada vuota, esattamente dove noi vediamo un traffico colossale (tipo il vostro GRA nelle ore di punta, o anche peggio). Noi facciamo un passetto e subito andiamo a sbattere da qualche parte. Ecco che un elettrone ci sbarra la strada, ecco che un altro fotone si mette di mezzo!

Non c’è pace, non c’è proprio pace.

Tanto è vero (vi svelo un segreto) che in pratica nessuno di noi riesce ad uscirne vivo. Cioè, ora vi spiego. C’è come un meccanismo di staffetta. Noi si viene creati, si fa un passo o due, ed ecco che siamo riassorbiti. Può essere un elettrone, appunto, che salta ad uno stato eccitato (a nostre spese…), può essere sempre un elettrone che si libera dal nucleo del suo atomo (sempre, vorrei ribadire, a spese nostre), o appunto un altro fotone che ci sbatte addosso o addirittura che ci inghiotte (anche se per quest’ultima opzione – alquanto cannibalesca secondo me – deve esserci un nucleo atomico nelle vicinanze).

Detto tra noi, sono i meccanismi di interazione radiazione-materia, se volete approfondire.

Al dunque. I modi per farci fuori sono moltissimi, insomma. Ma quasi sempre riusciamo ad uscirne, in qualche modo. Ecco, non proprio noi, magari. Ecco, perchè qui dire “proprio noi” è tosto, c’è il fatto che nel mondo microscopico non è sempre facile distinguere chi siamo”noi” da chi sono gli “altri”: è il caso cosiddetto delle particelle indistinguibili. Dove “indistinguibili”, badate bene, non sta ad intendere che voi non riuscite a distinguerle: no, no. E’ una cosa molto più incredibile. Vuol dire che non è proprio possibile dire chi è una particella e chi è un’altra! Non so se vi rendete conto, per me ‘sta cosa ha una portata filosofica veramente enorme… Mi fa capire come la scienza veramente sfonda il senso comune in cui (abbiate pazienza se ve lo dico, io che nel mondo quantistico ci sguazzo) siete un po’ tutti immersi, e apre a mondi che ancora hanno bisogno di essere capiti, nella loro alterità veramente rivoluzionaria. 

Appunto. E’ la meccanica quantistica, ragazzi. Una cosetta che avete sviluppato nel secolo scorso e ancora dovete bene capire cos’è. Roba su cui ancora far luce (parola di fotone, che di luce se ne intende).

Avete ragione, stavo divagando. La cosa che volevo dire è questa. Pur se un fotone punta verso l’uscita, pur se è nella direzione giusta per scappar via, ebbene: questo non dura. Sbatte, viene assorbito e poi rilasciato, quello che volete. Il punto è che un attimo dopo il fotone sarà orientato a caso, in un’altra direzione. Ecco la conseguenza noiosissima dell’interazione: la strada giusta è già persa! E via di questo passo. Non vi dico quante volte.

Insomma siamo come ubriachi che puntano da una parte ma poi fanno un cammino molto arzigogolato, vagando qua e là in tutte le direzioni possibili. Capite che per arrivare fuori ci mettiamo una quaresima (termine quanto mai appropriato oggi, visto il calendario…).

Dunque, la morale eccola qui: nonostante noi si vada alla velocità massima (sempre a tavoletta, garantito), quei nanetti di neutrini ci battono alla grande, nella corsa verso l’uscita. Con loro perdiamo sempre, non c’è verso.

Dite un po’ se anche voi non girerebbero un po’ le particelle, per questo…!

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Imbrigliarti tutta

Pomeriggio, interno domestico. Sono lì sul divano. Sto leggendo una rivista di poesia  sull’iPad, quando rimango colpito da un componimento breve. La sua forza – e certo anche il tema – sono complici acché io non rimanga distratto. Anzi. Rimango colpito non soltanto dalla poesia in sé. C’è un fattore aggiunto, c’è che mi ricorda qualcosa. Nel mezzo della lettura mi viene in mente qualcosa. Qualcosa – tra l’altro – di molto più recente della poesia stessa. 

Di più recente ma di straordinariamente simile.

Ma perché io non proceda troppo chiuso… intanto, eccola.

Cavallina brada, perché sbirci me con l’angolo degli occhi

assassini e corri via? Non avrei doti, io, per te?

Attenta! Saprei perfettamente conficcarti il morso,

imbrigliarti tutta, farti fare la curva a fine giro

Vivi la prateria, scarti ariosa. Puledra, non hai 

chi ti pesa addosso, e che sa tutto di cavalle.

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Bene, bisogna dire subito che è una poesia antica,molto antica.  E’ stata scritta da un tale di nome Anacreonte, un poeta greco che visse ben cinque secoli prima di Cristo. La poesia mi colpisce per la metafora decisamente scoperta e (a parer mio) molto efficace. Vedete, ha qualcosa di decisamente moderno, nonostante i secoli che ci separano dal momento in cui fu composta. Come certi componimenti di Saffo, questa poesia risveglia la mia sensibilità con un accento integralmente contemporaneo. Non devo da fare alcuno sforzo per immedesimarmi, per attraversare i secoli.

La poesia è di adesso, accade ora. Del resto, tutto ciò che non accade ora in fondo non interessa, in fondo non esiste.

Ma dicevo, mentre leggo la poesia, un altro materiale mi viene a cercare. Degli altri versi mi risuonano in testa. La mente aggancia una analogia, trova una  corrispondenza, verifica spontaneamente  un intreccio. 

Così mi tornano in mente quelle parole. La canzone è breve, e possiede quella stupenda accorata introduzione che scende subito nel punto. Non c’è tanto da fare accademia, o indulgere in disamine filologiche del testo (come nella poesia di Anacreonte, peraltro), quanto di esprimere un desiderio, anzi – potremmo dire – un bad desire… Qualcosa che tiene sulla graticola, che scotta. 

Hey little girl is your daddy home

Did he go and leave you all alone

I got a bad desire

Oh, I’m on fire

Qualcuno l’avrà riconosciuta: è I’m on Fire, di Bruce Springsteen. Non sono un particolare fan del Boss, ma sono un fan sfegatato di questa canzone. Così diversa e così sincera, ha un taglio intimistico affascinante.

Ma quello che mi colpisce adesso è la strofa successiva

Tell me now baby is he good to you

Can he do to you the things that I do

I can take you higher

Che potremmo ardire di tradurre  come

Dimmi bimba se lui è bravo con te

Se può farti quel che ti farei io

Io posso portarti più in alto

Che ricalca – in pratica – qualcosa scritto appena 2500 anni prima….

Saprei perfettamente conficcarti il morso,

imbrigliarti tutta, farti fare la curva a fine giro

Che possiamo dire. La modulazione dei sentimenti umani è quella. Cosa aveva l’uomo di due millenni fa uguale a quello contemporaneo, se non il fatto stesso di essere uomo, quel nucleo di speranze e desideri, bisogni ed evidenze elementari dai quali ultimamente si riconosce e che la letteratura elabora e rispecchia? E la poesia è come schianto che percorre i secoli, i millenni. Ed è sempre e continuamente moderna. 

Poesia è il dire anti-retorico per eccellenza. E’ il dirsi sincero e perennemente rivoluzionario. Anche quando parla di amore, anche quando alza il velo sui bad desires. Sulla poesia la retorica non prende: scivola, slitta via, non fa presa. Le poesia celebrative di quel partito o di quella ideologia sono poesie – prima di tutto  – brutte. Sono versi violentati. Forzati a qualcosa che non vogliono fare. A qualcosa che non possono essere. Ad un giro che non vogliono e non possono compiere.

La parola spurgata dalla costruzione retorica torna al suo alveo originale. E’ parola che guarisce. Che sfida e converte ogni costruzione egoica iniettando un devastante siero che richiama tenacemente l’uomo a (ri)scoprire se stesso, la sua umanità. Lo costringe a lasciare la presa, lo prende di sorpresa, sbriciola la sua inesausta pretesa di costruirsi una sua sicurazza, di fabbricare un proprio idolo, di formularsi autonomamente uno schema di salvezza. Per riconsegnarlo, spogliato di tutto ciò che non è essenziale, alla sua profondità infinita, al suo infinito bisogno.

E’ davvero un ricostituente planetario, come indica Marco Guzzi nella bella poesia Dal parlatoio.  

Credimi!
E’ forte la parola che ti mando.
La guarigione
Passa per gocce
Medicamentose, per idee.
Scrivile
Tu.
E’ il ricostituente
Planetario.
Non c’è armamentario
Che ti serve. Va’ come sei.
Spargi il mio contagio.

Per questo la poesia non è di questo mondo: è in questo mondo ma non appartiene alle strutture di questo mondo. E’ sempre rivoluzionaria e perennemente guaritrice. E’ qualcosa che scalpita dentro ogni architettura precostituita e perciò stesso già stantia: qualcosa che non puoi domare, non puoi imbrigliare. 

Ma dalla quale, se appena ti lasci prendere, appena inizi a darti pace, sei imbrigliato.  

Cioè, sei liberato

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Osserva il cielo e disegna le tue emozioni

Galassia a spirale. Davide, 10 anni. Concorso 2014, Osserva il Cielo e disegna le tue emozioni. Crediti: INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania/Giuseppe Cutispoto

Galassia a spirale. Davide, 10 anni. Concorso 2014, Osserva il Cielo e disegna le tue emozioni. Crediti: INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania/Giuseppe Cutispoto

In collaborazione con Giuseppe Cutispoto

Sono tanti i bambini che nel corso degli anni hanno partecipato a questo divertente concorso, Osserva il cielo e disegna le tue emozioni, organizzato dall’INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania nell’ambito delle proprie attivita’ divulgative per l’anno 2015.

Dal 2007 ad oggi il numero di partecipanti e’ stato davvero molto alto, arrivando nel nel 2013 con ben 683 elaborati.

Disegno da una parte, fascino del cielo dall’altra. Sono sicuramente due aspetti che danno grande entusiasmo ai ragazzi perche’ mostrano il loro desiderio di “rappresentare” il loro cielo da una parte e, dall’altra, anche il loro divertimento nel colorare e disegnare.

Per questo concorso possono partecipare tutti gli studenti delle scuole primarie. E’ possibile realizzare un qualsiasi disegno che abbia come tema un soggetto di carattere astronomico (il Sole, il Sistema Solare, la Terra, le stelle, le galassie, l’universo, l’esplorazione spaziale, ecc.) con pastelli, o acquerelli, o a matita, seguendo i propri gusti. La cosa importante e’ che il disegno venga fatto su un foglio di formato massimo A4.

Ogni bambino potrà presentare al massimo un solo elaborato. I lavori di gruppi potranno coinvolgere bambini fino ad un massimo di tre.

Alla fine, una volta inviato il proprio disegno, una giuria farà una preselezione dei vari elaborati, e ammetterà alle fasi successive solo gli elaborati che saranno ritenuti idonei, ossia quelli che avranno come tema un soggetto di carattere astronomico.

Gli elaborati verranno, come negli anni scorsi, pubblicati sul sito dell’INAF-Osservatorio Astrofisicio di Catania: http://www.oact.inaf.it . Una giuria di esperti nominata dal Direttore dell’Osservatorio di Catania scegliera’ 8 elaborati ritenuti piu’ originali e/o ben realizzati.

Questi sono i due aspetti fondamentali per poter essere tra i vincitori, cari bambini! Originali e ben realizzati … Ma so che vi impegnerete a fondo, ne sono sicura! E molti di voi avranno gia’ partecipato al concorso, vero?

Altri 4 elaborati verranno scelti con una votazione via email. Non ci sara’ un vincitore unico ma tutti gli 8 bambini verranno considerati a pari merito e premiati durante una cerimonia che avverra’ nel mese di giugno 2015 in giorno e luogo ancora da definirsi.

Gli elaborati potranno essere inseriti all’interno di un CD-Rom realizzato in collaborazione con associazioni per la ricerca in campo medico e/o a protezione dei bambini ed eventualmente in un calendario per l’anno 2016, anch’esso a scopo benefico.

Una bella iniziativa, davvero.

Attenzione. Il disegno potra’ essere inviato solo entro il 16 aprile 2015 (fara’ fede il timbro postale) all’indirizzo:
INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania – Concorso “Osserva il Cielo e disegna le tue emozioni” – Via S. Sofia, 78 – 95123 – Catania.

Insieme all’elaborato occorrerà inviare, pena l’esclusione dal concorso, una scheda informativa dello studente (che si trova allegato al bando e che potete scaricare qui) e che dovra’ essere firmata da un genitore. In caso di elaborati realizzati da più studenti occorrerà inviare una scheda per ciascuno di essi. I dati personali non saranno resi pubblici, sul sito web della manifestazione e sul CD-ROM apparirà solo il nome di battesimo e l’età dell’autore. Gli elaborati resteranno di proprietà degli studenti, se ne potrà chiedere la restituzione entro il 30/07/2015; dopo tale data sarà facoltà dell’OACT utilizzarli a scopi non di lucro.
Si incoraggiano gli insegnanti a svolgere funzioni di “tutor” di uno o più studenti, svolgendo opera di collegamento tra la scuola e l’OACT durante tutte le fasi del concorso.
Per ulteriori informazioni: 095-7332312 – divulgazione@oact.inaf.it

Bando di partecipazione: http://www.oact.inaf.it/visite/Files/Concorso_Ele_2015.pdf

INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania – concorso – http://www.oact.inaf.it/visite/Concorso_2015.htm

Sabrina e Giuseppe

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Salve, sono Phòs

Mi presento: mi chiamo Phòs, che è il nome greco per Fotone. Io e i miei amici riempiamo l’Universo di luce, proprio quella che vi permette di vedere i fiori, gli alberi, il sorriso di una ragazza, la corsa di un bimbo. Tutto perché ci mettiamo di mezzo noi, e vi portiamo le informazioni fino sulla superficie dei vostri occhi. Siamo proprio noi che urtiamo i vostri sensori biologici, dopo aver sbattuto sulle cose che vi stanno intorno, e vi portiamo informazioni sul mondo circostante.

Lo facciamo continuamente, e non ci stanchiamo neanche troppo. 

Forse visto che siamo così importanti (parere personale), vorreste avere qualche informazione in più su di noi? Sono qui per questo, in effetti mi piace parlare un po’ di me.  Ora vi dico giusto due cose, poi magari approfondiremo. Ecco, iniziamo da qui: magari non ci pensate spesso, ma la prima cosa che fate la mattina, appena aprite gli occhi, è quella di avere a che fare con noialtri. Senza di noi miagolereste nel buio, direbbe qualcuno. Anche per leggere queste parole, dopotutto, avete bisogno di gente come me.

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Certo che siamo bravi, a farvi vedere che spettacolo è il mondo… 

Intanto diciamo subito che noialtri non pesiamo nulla. Letteralmente, non abbiamo massa. E questo magari già sconcerta alcuni di voi, quelli che dicono se non tocco non ci credo. Perché il fatto è questo, noi non ci si può toccare, ma proprio per niente. Eppure siamo reali, molto reali. Provate a spegnare la luce (o chiudere la finestra). Siamo tanto reali che se noi ce ne andiamo, non sapete proprio come muovervi, dite la verità!

A proposito di movimenti, vi confido che noi non possiamo stare fermi, ahznzi ci muoviamo ad una velocità pazzesca, la più grande che c’è. Davvero, giuro. Dicono gli scienziati che niente può muoversi più forte di noi, nessuno può nemmeno pensare di batterci. Va beh veramente c’è stato qualcuno che diceva che i neutrini (quei nanerottoli!) ci battevano, ma poi hanno dovuto fare marcia indietro: sembra fosse tutto un problema di connessione di un cavo. Tutte balle! Noi siamo sempre i più veloci, lo dice la scienza! Pensate che in appena un secondo facciamo poco meno di trecentomila chilometri. 

Siamo anche capaci di fare degli ottimi scherzi. Il migliore è quello di aver fatto impazzire la comunità scientifica già dall’inizio del novecento. Proprio quando pensavano di aver sistemato quasi tutto, nel loro modello della fisica… ma è stato davvero divertente, lasciatemelo dire. Più cercavano di capire come siamo fatti, meno si raccapezzavano. Onda o particella? Come sei veramente, potrebbe chiederci qualcuno.. Beh, Il dibattito su come siamo è durato per parecchi anni: alla fine hanno dovuto arrendersi: siamo onde e particelle insieme.  Ovvero, secondo alcuni esperimenti ci comportiamo come onde, secondo altri ci comportiamo come particelle. E non c’è verso, una sola interpretazione non va bene, non spiega le cose.

Non che a tutti abbia fatto piacere, questa inattesa grana. Gente smagata come Einstein ce la mise tutta per risolvere questa imbarazzante dualità, in un senso o nell’altro. Imparò un sacco di cose, su di noi e sulla natura.

Ma non ci riuscì.

Del resto, noi siamo dispettosi. Siamo proprio noi che abbiamo scosso alle fondamenta il determinismo ottocentesco a cui era approdata la scienza fisica. Quello per cui si pensava, se conosco bene le premesse, posso capire l’evoluzione di un sistema, con la precisione che voglio.

Eh no, le cose sono un pochino più complesse… e un pochino più libere, se mi permettete.

Tanto è vero che alla fine pure i fisici più tenaci si sono arresi: il mondo non lo puoi capire tutto con il ragionamento. E hanno dovuto piegarsi a cose come la probabilità. Ovvero, non dicono più se siamo qui o là, ma dicono con che probabilità possono trovarci qui o là. Sembra poco, ma è cambiato tutto. A me (parola di fotone) tutto questo non dispiace: in fondo in fondo, si può vedere come un bagno di umiltà che hanno dovuto fare questi vostri scienziati, piegandosi al fatto che la realtà è sempre più misteriosa di tutti i loro ragionamenti. Da qualche parte, sempre sfugge qualcosa. Un po’ di mistero rimane sempre, e per alcuni questo non è un problema, anzi è ciò che dà il gusto al loro cercare.

Ma non vorrei diventare troppo filosofico, in fondo sono solo un fotone. Ora scappo, anzi. Lo sapete, fermo non ci so stare. Ma prima vi anticipo che tornerò a parlare di me. Già ho in mente una prossima bella storia da raccontarvi: vi parlerò del lungo e avventuroso viaggio che quelli come me, nati al centro del Sole, devono fare prima di arrivare davanti ai vostri occhi. Un viaggio lungo e articolato, con mille pericoli e diecimila insidie… sapeste chi di noi arriva nella vostra stanza, cosa ha dovuto superare! E quanta strada, quanto tempo… ma di questo ne parleremo poi. Anzi potrebbe essere la prima di una serie di avventure, tutte degne di essere raccontate. Pensate, il mondo visto da Phòs, un semplice fotone. Illuminante, è il minimo che si può dire (passatemela questa, dài…). E poi si può parlare di quelli come noi che arrivano da molto lontano, che ci portano informazioni sull’universo primordiale.. e poi ancora, buttarci sui colori ( quando diventiamo artistici noi siamo senza rivali)…

Vi piace l’idea? Lasciate un commento in fondo al post, così – con il nostro aiuto – verrà visto da quel tipo che riporta sul blog le nostre avventure, magari è la volta che riusciamo a farlo lavorare davvero… 🙂

Per ora, scappo!  Sapete come sono fatto… 

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Portali e multiversi

C’è il fatto che non ho scelto di avere un cane. Siamo d’accordo. Mi è stato consegnato a casa, dalla figlia maggiore. Questo è un fatto, appunto. Come è un pure fatto che – all’inevitabile momento in cui io e mia moglie abbiamo ceduto al nuovo ospite – io abbia specificato tutta la serie di condizioni (di prammatica) che il mio copione mi indicava, ovvero il mio fermo rifiuto di ogni corresponsabilità nella gestione del quattrozampe, sia essa di tipo veterinario sia e sopratutto di tipo passeggiativo (se così si può dire).

Come è nell’ordine delle natura, vi sono dei grandi proclami fatalmente destinati ad essere disattesi, nel tempo. Alle volte, in nemmeno molto tempo.

Questo, se non si era ancora capito, ne è proprio l’esempio perfetto. 

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Le accoppiate cane-padrone possono essere della più grande varietà. Solo formandone una tu stesso inizi ad accorgertene… ma ti  avviso: ti serve un cane, per questo

Così nel volgere dei mesi – non troppi – mi sono ritrovato a fare lunghe passeggiate nel parco, in compagnia di Poncho (il cane). E ho scoperto una cosa. Ho scoperto – o meglio riscoperto – che vi sono sempre più sorprese nella realtà che nelle proprie proiezioni mentali. Che osservare è meglio che ragionare, spesso. Ad esempio io avevo bene in mente che, essendo in sei in casa, non avendo il giardino, e avendo balconi di grandezza così indecente da non poter essere considerati tali da nessuna persona con un po’ di senno, il cane non ci poteva stare. Proprio no. 

Quello che non avevo in mente erano gli sviluppi. Era che avrei perfino trovato (non mi senta mia figlia) dei vantaggi nell’avere il cane. Ed hanno molto a che fare con il parco. E con gli strati di realtà.

Ora mi spiego (in arrivo tirata filosofico-esistenzialista).  Per me la realtà è qualcosa di complesso e multiforme, di troppo complesso e multiforme: con una serie di livelli e di strati che possiamo cogliere solo parzialmente. Che cogliamo se abbiamo una chiave, un pretesto, un punto di ingresso, un codice. 

Anche un quattrozampe può essere un codice. Un punto di ingresso, un portale. 

Così ho scoperto un mondo che non conoscevo, o non ricordavo. Un mondo che non mi sarebbe stato accessibile, altrimenti.

Del resto, anche il parco è più di un semplice luogo. E’ un multiverso (parola molto di moda, ma permettetemi di usarla). 

E’ un posto dove se ci vai col cane accedi ad uno specifico strato. Lo strato abitato da quelli come te. Che altrimenti non avresti notato, e che ora invece intercetti. Ora – tu con il cane, appunto – hai la giusta sezione d’urto. Ora sei entrato nel portale.

Così vedi cose che altrimenti non avresti potuto vedere (magari potevi tecnicamente, ma tanto non avresti posto attenzione). Ti accorgi – adesso – di quello che accade nella tua fettina di realtà, in quella dove sei appena entrato. 

Intanto, ti accorgi degli altri cani. E dei loro padroni. 

Dopo un po’ che percorri il parco con il cane, la tua mappa di sensazioni e attenzioni è mutata. Mentre cammini sondi l’ambiente per capire se e dove sono altri cani, a che distanza, se sono legati oppure liberi.

Progetti il percorso in funzione delle mutue distanze.

Di solito io cerco un percorso che renda massima  la distanza dagli altri cani. Tanto per non avere problemi. Ma dipende anche dal padrone del cane, dal grado di piacevolezza racchiuso nell’ipotesi di avviare una conversazione: le giovani donne si possono anche intercettare, ad esempio (non vi sto a spiegare perché, ma come potrete capire, sono motivi squisitamente filosofici).

Se il cane in vista è uno solo è facilissimo. Se sono diversi, la soluzione può essere complessa o anche impossibile.

Ovvero si può dover violare la DiMiNoI. La Distanza Minima di Non Interferenza è una nozione introdotta da me stesso (esattamente, in questo post), e si può definire come la distanza minima sotto la quale il cane A (il tuo) e il cane B (presente nel parco) smettono di agire come elementi isolati e reagiscono in funzione uno dell’altro. La valutazione esatta della DiMiNoI dipende da una serie complessa ed articolata di fattori biologici e geografici, tra cui posso citare – in modo certo non esaustivo – tipo di cane e sesso del medesimo, condizioni meteorologiche e segnatamente del vento, momento del giorno, stato emotivo e ricettivo del quadrupede, condizioni del terreno, presenza di rumori estranei, etc…

Nel complesso, però, l’attività di portare il cane è essenzialmente meditativa. Perché per molto tempo siete voi due insieme (e lui non parla molto). Sei lì nel parco e col il fatto di portare il cane hai il permesso di essere lì, ne hai una giustificazione di fronte a te stesso e agli altri. Il cane va portato, non c’è verso. E quindi ti ritrovi di colpo con uno spazio per camminare, pensare, osservare. Uno spazio tutto per te. 

Così inizi anche a capire che aver finora rinunciato a questo spazio tutto per te, questo spazio meditativo, nell’illusione di fare più cose, non è stato affatto un guadagno, ma una perdita. 

Capisci che – qui o altrove, con il cane o senza – questo spazio ci vuole. Se l’abbiamo perso, bisogna riprendercelo, difenderlo, proteggerlo.

Qualcosa da fare per stare meglio noi. Dunque essenzialmente altruistica, perché va direttamente a beneficio di tutti quelli che ci stanno intorno. 

Incluso il cane, ovviamente.

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