Blog di Marco Castellani

Mese: Ottobre 2015

Un astrofisico a SpaceUp Rome 2015

Decisamente, un weekend diverso dal solito. Piacevolmente diverso. Un momento in cui scopri come il lavoro e la passione abbiano una zona di intersezione più grande e rilevante di quanto pensavi, di quanto avresti valutato.

Sono andato a SpaceUp Rome 2015 questo fine settimana, perché mi era stato chiesto di parlare un pochino della mia esperienza di insegnante per il progetto Astrofisica su Mediterranea, di cui ho scritto qui in diverse occasioni.

Eccomi qui, mentre parlo di cosa vuol dire insegnare astrofisica in barca!

Eccomi qui, “on stage”, mentre parlo di cosa vuol dire insegnare astrofisica in barca!

Ma cos’è mai uno SpaceUp? A guardare sul sito, non è chiarissimo, almeno per chi non vi sia stato. E’ forse più chiaro ciò che non è, in squisitissimo sapore montaliano

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Difatti il sito recita, “An unconference is not a conventional conference, but it is a participant-driven meeting.” Il che non chiarisce ancora compiutamente la faccenda. Uno si chiede, infatti: cosa si intende con questa enfasi sul partecipanti? Non è che sarà qualcosa magari splendidamente auto-organizzata ma all’atto pratico, un po’ (diciamolo pure) inconsistente?

Il fatto che non sia chiaro dal sito, azzardo, è quasi inevitabile. In qualche modo lo SpaceUp è un’avventura iniziatica. Non nel senso di esclusiva o ermetica. No, tutt’altro. Nel senso che è qualcosa che compiutamente comprendi solo vivendola (il canone supremo dell’esperienza iniziatica è notoriamente definita dall’ultima canzone del duo Mogol-Battisti, e sfolgora nella frase cristallina lo scopriremo solo vivendolo  che tutti giustamente conoscono a memoria).

Ci sono infatti forme di conoscenza che implicano quale elemento di necessità, una convivenza con il dato in oggetto. Una sorta di immersione in essa. I mistici, ad esempio, lo sanno bene. Non puoi comprendere compiutamente un percorso spirituale da fuori. Potremmo perfino scomodare la meccanica quantistica, sul ruolo dell’osservatore come necessaria parte in causa del fenomeno osservato. Ma anche tornando più direttamente al nostro argomento, vorrei dire che anche uno SpaceUp non può essere compiutamente descritto, ma va vissuto.

Tutto questo per dire, insomma… che qui non ve lo descrivo! Una sorta di diario alquanto soggettivo – e sfacciatamente e faziosamente incompleto –  l’ho peraltro già compilato e inserito su Storify, relativamente al giorno di sabato 24 ottobre e a quello successivo.

Qui per non dilungarci, per non ripetersi, c’è forse modo soltanto di registrare qualche impressione generale. Anzi, di focalizzarsi appena su qualche hashtag. Sì, diciamo qualche parola chiave. Come all’inizio del meeting ci è stato – simpaticamente – chiesto di presentarci con due o tre hashtag, così in puro spirito SpaceUp possiamo forse azzardare qui.

Il primo che mi viene è passione.

La passione e il divertimento di fare le cose era percettibile in ogni momento, durante la due giorni del meeting romano. Una passione che redimeva anche dai timori di non essere in grado, dalla paura che le cose non andassero bene (e quella pure c’è stata: essendo abbastanza a contatto con gli organizzatori, ve lo posso dire con cognizione di causa). Una passione che si trasmetteva – niente si trasmette così facilmente tra gli uomini, peraltro – a chi era lì anche solo per assistere. Insomma: non per fare il romantico esaltato, ma c’era davvero qualcosa di diverso da un normale meeting. Tanto per dire, non sono riuscito ad annoiarmi praticamente mai (e non posso dire lo stesso per tanti prestigiosi congressi infarciti anche di famosissimi scienziati). La passione che è fiorita in diverse circostanze e ci ha fatto sentire tutti parte di qualcosa di speciale, la passione poi messa direttamente in oggetto di interessantissime relazioni come quella di Adrian Fartade di Link2Universe.

Il secondo forse è varietàMa non una varietà confusionaria e nostalgicamente anarchica, come temevo di incontrare. No, tutt’altro. Ho trovato una varietà propositiva per cui alla fine, pur se spaziavo erraticamente tra relazioni sul live tweeting alle conferenze, a modellini di sonde spaziali, al modo di insegnare astronomia oggi, tutto poi andava a comporre armonicamente qualcosa, nella mia testa. Qualcosa che mi suggeriva dolcemente che il mondo è più vasto ed articolato di quanto penso di solito. E questo è importante, perché non è una constatazione generica, ma riguarda specificamente la mia professione. Perché una visione ampia è necessaria come il pane, per lavorare bene.

Poi direi competenzaAnche su questo, qualche mio timore è stato prontamente fugato. I quattro invited talk lunghi sono stati tutti di ottimo livello nel contenuto e vivaci e saporiti nell’esposizione. Davvero. E la competenza non si è certo ristretta a questi quattro relatori. Tutt’altro.

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Foto di gruppo! Ci sono anch’io, anche se trovarmi – lo ammetto – può essere un compito piuttosto impegnativo 😉

Mi fermerei con incompletezza (e infatti anche gli hashtag listati lo sono). Nel senso positivo e gioioso. Quello per il quale per cui una cosa troppo compiuta diventa anche impermeabile al nuovo, a ciò che è altro da sé. Diventa autoreferenziale, in maniera fastidiosa. Qui no, c’è una insanabile incompletezza, che capisci che è benefica.

“Niente combacia ci sono crepe / E dalle crepe passa un pò di luce” e i lettori non si allarmino se passo agevolmente da una poesia Montale ad una canzone di Jovanotti (bruciandomi splendidamente il tentativo di post autorevole), ma esprime molto bene quello che intendo dire.

C’è che tanti argomenti si possono accennare e non certo esaurire. C’è ‘che molte cose rimangono spunti di, si fermano a spunti per. Per un lavoro che devi probabilmente fare anche e sopratutto  fuori da SpaceUp, penso.

Un lavoro che è personale, un interrogarsi sul modo di condurre la tua professione che interpella direttamente te stesso, ti chiama a nuove responsabilità, a seguire con più passione e decisione quello a cui ti senti chiamato, nella modalità specifica in cui più parla al tuo cuore.

Non male, per un qualcosa che non è nemmeno una conferenza. Proprio no, non si può chiedere di più.

Se non di tornarci.

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Esclusivo: l’intervista a Phòs!

Eh sì. Alla fine i nostri amici di Fisicast ci sono riusciti. Sono riusciti laddove i più avrebbero desistito. Si sono spinti fino agli estremi confini della fisica, valicando limiti ritenuti insuperabili. Sì, e ci sono riusciti in pieno. Parliamo davvero di un risultato incredibile: sono riusciti ad intervistare Phòs, il nostro elusivo ma luminoso amico, che già aveva preso spazio in varie occasioni su questo sito.

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Il nostro Phòs, ne ha da dire

Sì non stiamo scherzando. Phòs è un tipo chiacchierone, l’avrete già notato, ma è anche un po’ sfuggente, se si parla di “acchiapparlo” per potergli addirittura parlare. C’è riuscita Chiara Piselli, coadiuvata dall’ottimo team di FISICAST (il podcast di fisica di cui ci siamo già occupati in diverse occasioni), e l’ha sufficientemente ammaliato tanto da potergli parlare un po’, e farsi raccontare qualcosa di sé.. finalmente dalla sua stessa voce!

La puntata di FISICAST in cui Phòs svela un tantinello dei suoi preziosi segreti è la numero 38, ed è appena stata pubblicata sul sito ufficiale, pronta per essere ascoltata online o liberamente scaricata (Autori: Marco Castellani, Gianluca Li Causi. Voci: Marco Castellani, Chiara Piselli. Regia: Edoardo Massaro, Collaborazione: Riccardo Faccini, Giovanni Organtini, Giovanni Vittorio Pallottino).

Concedetevi dunque questo viaggio con Chiara e Phòs: in meno di mezz’ora attraverserete, insieme a loro, una bella parte di fisica vecchia e nuova, toccherete le sponde ardite della relatività generale e quelle scoscese e bizzarre della meccanica quantistica, ritroverete concetti intravisti ma bizzarri, come lo scambio di particelle virtuali e sopratutto… ne sentirete anche di cotte e di crude sulla rivalità accesa tra Phòs e i suoi ancor più elusivi cuginetti, quei neutrini “colpevoli” di aver sottratto – con il recente Nobel – i riflettori a Phòs ed ai suoi amici, proprio nell’Anno Internazionale della Luce!

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Ne ha da dire Phòs, anche del lungo viaggio dal Sole alla Terra… suo e dei suoi piccoli amici. Andate ad ascoltarlo…!

Beh ora basta parlare, Phòs vi aspetta. Ringraziamo ancora l’appassionato e competente team di FISICAST che è riuscito laddove molti nemmeno si erano mai cimentati: far parlare un fotone.

Una ultima cosa, prima di partire con l’ascolto. Non è escluso che in futuro si tenti di acchiapparlo di nuovo, così non trascurate di far sapere se questa chiacchierata vi è piaciuta e se Phòs ha potuto “illuminarvi” un pochino su qualche concetto di fisica. Soltanto, una preghiera: non glielo dite che altrimenti si monta la testa. Sapete bene come è fatto, ormai!

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Tuona di già…

Non c’è niente da fare. Oggi mi rientra nei neuroni continuamente. E’ quel grumo di note e parole che definisce la mia giornata, la identifica e la separa dalle altre.
 
 
 
Complice il tempo che su Roma è veramente di diluvio accentuato, complice anche il fatto che l’ho risentita stamattina in automobile, venendo al lavoro.
 
Complice soprattutto il fatto che, sotto la scorza un po’ difficile, come quella tipica delle canzoni del Battisti “secondo periodo”, si schiude dopo qualche ascolto una tenerezza bellissima. E si rivela per quello che è, una stupenda ed appassionata canzone d’amore.

 


Così un amore, un fatto apparentemente privato, assume una rilevanza immediatamente cosmica, totalizzante.

 

Perché un amore non può assumere nessun’altro tipo di rilevanza, dopotutto.

Altrimenti non è niente.

“Tuona di già / stai buona…”

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Ripartire dalle emozioni

Due cose mi vengono in mente, dopo aver assistito alla proiezione di Inside Out. Due cose diverse ma abbastanza congruenti, assolutamente compatibili. Una più generale, ed è posta alla  radice stessa – mi sembra – del percorso di realtà come Darsi Pace: quel “ripartiamo dalle emozioni” che segna tanto il primo paragrafo dell’omonimo testo di Marco Guzzi, quanto percorre in sottotraccia tutto l’arco di questa deliziosa pellicola. Ecco, ripartiamo dalle emozioni, e ripartiamo da tutte le emozioni. Senza censurare nulla. 
Così mi pare che il messaggio di Inside Out sia duplice, essenzialmente. Non solo ripartire dalle emozioni, ma anche, non escludere niente a priori. Tutto ha la sua funzione: perfino la tristezza. Addirittura la rabbia, serve, è utile. Senza voler svelare nulla, possiamo senz’altro dire che è piuttosto scoperto il ruolo che queste emozioni apparentemente “negative” (dalle quali fuggiamo in ogni modo, appena si può) rivestono nel cooperare affinché la gioia di vivere possa ritornare ad avere dimora stabile nella mente dell’uomo (della piccola Riley, in questo specifico caso). 
Rabbia, disgusto, gioia, paure e tristezza… tutto serve, se ben composto.
E’ vero che le emozioni non sono tutto. D’accordissimo. L’ideale sarebbe un interscambio virtuoso tra ragione ed emozione, un dialogo continuo ed amichevole che informi e guidi la percezione del mondo e le scelte conseguenti. E’ pur vero, però, che veniamo da un lungo periodo in cui, direi tristemente, si è posto molto l’accento sul razionalismo anche in molti processi conoscitivi e segnatamente scolastici. Identificando totalmente l’essere umano con la sua parte logica, raziocinante, spesso (con molte virtuose eccezioni…) trascurando o anche censurando la sua parte emotiva, si è proceduto – spesso senza intenzione – a produrre delle persone fragili, essenzialmente impaurite dal proprio oceano emotivo interiore, rimasto alla mercé di sé stesso, assolutamente ineducato.

Avverte Marco Guzzi, in apertura appunto del libro Darsi Pace, come “dal punto di vista emotivo la nostra umanità sembra sempre più fragile e infantile, sembriamo spesso inconsapevolmente posseduti da flussi emotivi, da passioni mai seriamente indagate, come diceva Jung, che possono diventare tempeste collettive quando si scaricano sui teatri ormai planetari della storia.”

Ben venga dunque un richiamo a riprendere familiarità con i nostri stati emotivi. A cercare di riprenderli, riabilitarne la dignità, comprendere come servono alla vita, alla vita vera. Un primo atto di riconciliazione con sé stessi, che è anche inevitabilmente un atto sociale e politico, nel senso che incide radicalmente nella percezione che abbiamo di noi e degli altri, e dunque inevitabilmente sui rapporti più risanati che diveniamo capaci di intrecciare.

Una seconda cosa che mi è tornata in mente, in relazione al film, è un passaggio della bella canzone Fango di Lorenzo Cherubini, “L’unico pericolo che sento veramente, è quello di non riuscire più a sentire niente…” Ecco. Questo nel film è palese, scoperto, manifesto. Il momento più terribile, direi quasi orribile, non è affatto uno di quelli nei quali la simpatica protagonista agisce dominata da una emozione magari “sgradevole” (rabbia, disgusto, paura, tristezza). Assolutamente no. E’ invece quello in cui lei stessa perde il contatto con le sue emozioni. Di qualsiasi tipo possano essere.

Scrive assai lucidamente Claudio Risé, in un articolo su Tempi, che ” …il guaio oggi non è lo strapotere delle emozioni, ma il fatto che non ci siano quasi più. Nessuno che prenda a pugni un tavolo come fa Rabbia (rosso, basso e inquartato, grande casinista), o che sia gioiosamente pazzoide come Gioia, radicalmente pessimista come Paura (che a un certo punto esclama: «Ottimo, oggi non siamo morti»), schifato come Disgusto davanti al broccolo, esausto e contagiosamente melanconico come Tristezza (che quando tocca un bel ricordo, lo rompe). Tutti neutri, beneducati, che non si capisce cosa pensino. Un vero guaio, anche per la psiche. Che senza emozioni si spegne.”

E’ quello il momento davvero pericoloso. E’ lì che si perdono i colori del vivere. Per il resto mi sono accorto che sono uscito con un senso di pace. Come se già riconoscere le emozioni, accettarle, fosse già una azione, una minima azione, terapeutica.

Riconoscere che la salute mentale è anche nel permettere l’avvicendarsi delle emozioni (senza “bloccare” per forza quelle che non ci aggradano) vuol dire essenzialmente volersi bene.  E’ l’inizio di una insurrezione benefica, un cammino nuovo di amicizia con la vita, dopo tanto freddo esercizio di logica. Eccole qui: rabbia, disgusto, tristezza, paura, gioia. Le prime quattro le bandiresti dal tuo orizzonte interno, potendo. Vorresti essere un uomo migliore, una donna perfetta: concederti queste passioni non è bene, non è adulto. Non si fa… Eppure sono proprio loro che  – in uno splendido gioco di squadra – renderanno possibile il ritorno della gioia nella vita di Riley.

Davvero tutto coopera a rendere colorata la vita, a vivere sempre intensamente il reale (per riprendere una bella frase di Luigi Giussani), se davvero niente si censura, nulla si esclude.

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Nobel 2015 al neutrino? Roba da matti…!

Una cattiva idea. Assolutamente una cattiva idea. Se chiedete la mia opinione, una pessima idea. Senza esitazioni. Parola mia, di Phòs il fotone. Insomma quella (splendida) particella luminosa che vi ha già intrattenuto negli ultimi tempi con le sue avventure, le sue mirabolanti (parere spassionato) peripezie.

Abbiate pazienza, ma il mio umore non è dei migliori, in questi tristi momenti. Lo so, lo so che ho cercato nelle precedenti occasioni di mantenere un tono leggero, a volte anche spiritoso, per parlarvi delle mie imprese. Oggi però non riesco, non riesco proprio. Capirete, con queste notizie che arrivano, ma come si fa! Ma non crediate, non è mica solo un problema mio. Noi fotoni siamo tutti infuriati. E ne abbiamo tutte le ragioni.

Perché il motivo di tutta questa acredine, dite voi? Ve lo dico subito. Ecco qui, uno va bello bello su Twitter, il pomeriggio del sei di ottobre, e si trova davanti ad una cosa come questa…

Il premio Nobel per la fisica ai neutrini? Ma è uno scherzo, per caso? Qualcuno lassù tra voi umani ha pensato di giocare con i nostri sentimenti? E con quale ardire, peraltro!

No dico. Già con i neutrini c’è questa conflittualità, da tempo (e tutto per colpa loro ovviamente), ora però pure voi umani vi ci mettete. Quelli così si gasano a tal punto che nessuno li ferma più (già mi dicono che fermarli sia piuttosto complicato, a motivo della loro piccolissima sezione d’urto).

Ed è colpa vostra. Dico, ci mancava anche questa. Ci mancava il Nobel. Ma vi rendete conto? Assegnare ai neutrini il Nobel per la Fisica 2015! Quando me l’hanno raccontato non ci potevo credere. E proprio adesso, proprio nell’Anno Internazionale della Luce. Quando sotto i riflettori avremmo dovuto esserci noi, noi fotoni, e nessun altro! E poi per cosa? Per questa faccenda (saputa e risaputa) che i neutrini cambiano sapore (secondo me non sanno di nulla, e se proprio hanno qualche sapore… deve essere francamente disgustoso).

Peraltro, che fantasia, chiamarli sapori…. Solo per dire che questi neutrini, per fare gli spendidi (e dare fastidio a noi fotoni, ci giurerei), si presentano in giro in tre differenti versioni, ovvero neutrino elettronico, muonico taonico). Siccome poi non si accontentano, riescono pure a passare da una versione… ops, da un sapore ad un altro, secondo quel fenomeno chiamato oscillazione del neutrino (banale trucco da prestigiatore di serie B, secondo la mia spassionata opinione).

Al di là della fisica, comunque, non so se vi rendete conto della gravità della faccenda. Per tutti i decadimenti beta! Non sono ormai il trasformismo è stato sdoganato come atteggiamento, ma viene addirittura elogiato e premiato. Ditemi voi se la cosa ha un senso! A parte il fatto che questi qui, con il fatto che nel tragitto tra il Sole e la Terra cambiano sapore (nemmeno avevo voluto parlarvene, speravo la cosa rimanesse un po’ nascosta, ma tant’è), vi hanno fatto impazzire per decenni.

Eh sì, per decenni. Ormai ne possiamo parlare, tanto con questo fatto del Nobel la cosa è veramente arrivata alle orecchie di tutti. Il problema dei neutrini solari, lo chiamavano. Me lo ricordo bene. Vi ha tenuto intrigati per un sacco di tempo!  In poche parole, il vostro modello del Sole prevedeva un certo tasso di neutrini (purtroppo) e invece sulla Terra ne arrivavano meno di quanto vi attendevate (meno male, avrei detto io: quelli, meno sono meglio è). Ce ne è voluto di tempo, di esperimenti e congetture, per capire che la colpa non era del modello solare, ma era tutta loro. Sì, dei neutrini.

Perché loro hanno questa innata tendenza molto opportunista a cambiare sapore, e voi – lasciatemelo dire – non l’avevate capito bene (cioè, il vostro Bruno Pontecorvo l’aveva capito già negli anni ’50, a dire il vero). Che poi insomma è una cosa fondamentale, perché se cambiano sapore vuol dire – per le complesse regole della meccanica quantistica – che hanno massa. Cosa di cui voi dubitavate, fino a qualche tempo fa: per quanto mi ricordo, il vostro cosiddetto Modello Standard prevedeva proprio un neutrino senza massa. Non una previsione molto azzeccata, lasciatemelo dire.

A noi fotoni, che di massa non ne abbiamo proprio, era invece evidentissima la loro ciccia. Anzi, ci faceva ancora più impazzire il fatto che pur essendo infinitamente più pesanti di noi (si può ben dire, visto che noi non pesiamo proprio nulla…) riescono ad uscire dal Sole molto molto più velocemente. Roba da non crederci.

Il fatto che dal cambiamento di sapore deriva che abbiamo massa, non dovrebbe stupirci più di tanto. I fisici dicono che dipenda da qualche legge di conservazione per cui, se vuoi cambiare sapore (che ne so, passare dal cioccolato alla fragola…), devi avere massa (ad esempio noi fotoni siamo molto più affidabili: non avendo massa, rifuggiamo da simili cambiamenti). A me sembra molto elementare peraltro. Provaci tu a capire quale sia il gusto di una cosa senza massa! Un gelato senza massa, per esempio? Ti farebbe gola? No grazie, davvero! 

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Al “sapore” dei neutrini c’è chi – come Phòs – preferisce quello dei gelati (con massa, ovviamente…)

Beh, a parte gli scherzi, ho deciso di parlarvi perché sono veramente indignato. Per colpa di questi due umani, Takaaki Kajita Arthur B. McDonald, pioneri nello studio delle oscillazioni dei neutrini, questi ultimi ora si sono guadagnati le luci della ribalta.

Che poi, quando si parla di luci, dovremmo essere proprio noi, in ballo.

Niente, sono davvero indignato. Ora mi ritiro in un algido silenzio. Mi faccio risentire quando questa cosa mi sarà un po’ sbollita. Voi che siete attraversati da miliardi di neutrini ogni secondo, fatemi un favore. Se riuscite a schiacciarne qualcuno, non esitate: secondo la fisica è impossibile, certo. Ma a me farebbe tanto piacere…

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