Decisamente, un weekend diverso dal solito. Piacevolmente diverso. Un momento in cui scopri come il lavoro e la passione abbiano una zona di intersezione più grande e rilevante di quanto pensavi, di quanto avresti valutato.

Sono andato a SpaceUp Rome 2015 questo fine settimana, perché mi era stato chiesto di parlare un pochino della mia esperienza di insegnante per il progetto Astrofisica su Mediterranea, di cui ho scritto qui in diverse occasioni.

Eccomi qui, mentre parlo di cosa vuol dire insegnare astrofisica in barca!

Eccomi qui, “on stage”, mentre parlo di cosa vuol dire insegnare astrofisica in barca!

Ma cos’è mai uno SpaceUp? A guardare sul sito, non è chiarissimo, almeno per chi non vi sia stato. E’ forse più chiaro ciò che non è, in squisitissimo sapore montaliano

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Difatti il sito recita, “An unconference is not a conventional conference, but it is a participant-driven meeting.” Il che non chiarisce ancora compiutamente la faccenda. Uno si chiede, infatti: cosa si intende con questa enfasi sul partecipanti? Non è che sarà qualcosa magari splendidamente auto-organizzata ma all’atto pratico, un po’ (diciamolo pure) inconsistente?

Il fatto che non sia chiaro dal sito, azzardo, è quasi inevitabile. In qualche modo lo SpaceUp è un’avventura iniziatica. Non nel senso di esclusiva o ermetica. No, tutt’altro. Nel senso che è qualcosa che compiutamente comprendi solo vivendola (il canone supremo dell’esperienza iniziatica è notoriamente definita dall’ultima canzone del duo Mogol-Battisti, e sfolgora nella frase cristallina lo scopriremo solo vivendolo  che tutti giustamente conoscono a memoria).

Ci sono infatti forme di conoscenza che implicano quale elemento di necessità, una convivenza con il dato in oggetto. Una sorta di immersione in essa. I mistici, ad esempio, lo sanno bene. Non puoi comprendere compiutamente un percorso spirituale da fuori. Potremmo perfino scomodare la meccanica quantistica, sul ruolo dell’osservatore come necessaria parte in causa del fenomeno osservato. Ma anche tornando più direttamente al nostro argomento, vorrei dire che anche uno SpaceUp non può essere compiutamente descritto, ma va vissuto.

Tutto questo per dire, insomma… che qui non ve lo descrivo! Una sorta di diario alquanto soggettivo – e sfacciatamente e faziosamente incompleto –  l’ho peraltro già compilato e inserito su Storify, relativamente al giorno di sabato 24 ottobre e a quello successivo.

Qui per non dilungarci, per non ripetersi, c’è forse modo soltanto di registrare qualche impressione generale. Anzi, di focalizzarsi appena su qualche hashtag. Sì, diciamo qualche parola chiave. Come all’inizio del meeting ci è stato – simpaticamente – chiesto di presentarci con due o tre hashtag, così in puro spirito SpaceUp possiamo forse azzardare qui.

Il primo che mi viene è passione.

La passione e il divertimento di fare le cose era percettibile in ogni momento, durante la due giorni del meeting romano. Una passione che redimeva anche dai timori di non essere in grado, dalla paura che le cose non andassero bene (e quella pure c’è stata: essendo abbastanza a contatto con gli organizzatori, ve lo posso dire con cognizione di causa). Una passione che si trasmetteva – niente si trasmette così facilmente tra gli uomini, peraltro – a chi era lì anche solo per assistere. Insomma: non per fare il romantico esaltato, ma c’era davvero qualcosa di diverso da un normale meeting. Tanto per dire, non sono riuscito ad annoiarmi praticamente mai (e non posso dire lo stesso per tanti prestigiosi congressi infarciti anche di famosissimi scienziati). La passione che è fiorita in diverse circostanze e ci ha fatto sentire tutti parte di qualcosa di speciale, la passione poi messa direttamente in oggetto di interessantissime relazioni come quella di Adrian Fartade di Link2Universe.

Il secondo forse è varietàMa non una varietà confusionaria e nostalgicamente anarchica, come temevo di incontrare. No, tutt’altro. Ho trovato una varietà propositiva per cui alla fine, pur se spaziavo erraticamente tra relazioni sul live tweeting alle conferenze, a modellini di sonde spaziali, al modo di insegnare astronomia oggi, tutto poi andava a comporre armonicamente qualcosa, nella mia testa. Qualcosa che mi suggeriva dolcemente che il mondo è più vasto ed articolato di quanto penso di solito. E questo è importante, perché non è una constatazione generica, ma riguarda specificamente la mia professione. Perché una visione ampia è necessaria come il pane, per lavorare bene.

Poi direi competenzaAnche su questo, qualche mio timore è stato prontamente fugato. I quattro invited talk lunghi sono stati tutti di ottimo livello nel contenuto e vivaci e saporiti nell’esposizione. Davvero. E la competenza non si è certo ristretta a questi quattro relatori. Tutt’altro.

SpaceUpAllTogether

Foto di gruppo! Ci sono anch’io, anche se trovarmi – lo ammetto – può essere un compito piuttosto impegnativo 😉

Mi fermerei con incompletezza (e infatti anche gli hashtag listati lo sono). Nel senso positivo e gioioso. Quello per il quale per cui una cosa troppo compiuta diventa anche impermeabile al nuovo, a ciò che è altro da sé. Diventa autoreferenziale, in maniera fastidiosa. Qui no, c’è una insanabile incompletezza, che capisci che è benefica.

“Niente combacia ci sono crepe / E dalle crepe passa un pò di luce” e i lettori non si allarmino se passo agevolmente da una poesia Montale ad una canzone di Jovanotti (bruciandomi splendidamente il tentativo di post autorevole), ma esprime molto bene quello che intendo dire.

C’è che tanti argomenti si possono accennare e non certo esaurire. C’è ‘che molte cose rimangono spunti di, si fermano a spunti per. Per un lavoro che devi probabilmente fare anche e sopratutto  fuori da SpaceUp, penso.

Un lavoro che è personale, un interrogarsi sul modo di condurre la tua professione che interpella direttamente te stesso, ti chiama a nuove responsabilità, a seguire con più passione e decisione quello a cui ti senti chiamato, nella modalità specifica in cui più parla al tuo cuore.

Non male, per un qualcosa che non è nemmeno una conferenza. Proprio no, non si può chiedere di più.

Se non di tornarci.

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