Forse la cosa che più è decisiva, per le nostre sorti e per quelle del mondo, è il silenzio. Dopo fatti come questo, dovrebbe esserlo. E’ sconfortante in un certo modo vedere come i social network si animino nei confronti tra teorie avverse e speculari su come sconfiggere il terrorismo, una volta per tutte. 
Se allora scrivo qui è soltanto per approfondire questo silenzio, benché appaia paradossale. Cerco parole che non aggrediscano questo silenzio necessario, ma possano accomodarvisi dentro, trovare spazio nella riflessione. Trovare un nido.
Sgombro il campo da equivoci. Non voglio dire cosa fare. Veramente, il lunedì ci svegliamo tutti allenatori. Questa volta ci siamo destati nientemeno che come esperti di politica internazionale. 
Quello che so come uomo, quello che sperimento, è l’esigenza di un senso più profondo, di una appartenenza più radicale. Per sconfiggere la paura, esattamente. La paura io la riesco a sconfiggere, a mitigare, soltanto in una relazione. Le forze non le trovo da me stesso: le mie sempre emergenti pretese di autonomia mi lasciano appena sensazioni di impotenza e strascichi di angoscia. La relazione con l’altro (affettiva, terapeutica, spirituale) mi rimette in pista, benché acciaccato. Ancora e di nuovo in corsa per una ipotesi di senso, di significato.

Cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della nostra vita è l’unico antidoto alla paura che ci assale guardando la televisione in queste ore, è il fondamento che nessun terrore può distruggere

In questa frase di Juliàn Carròn sento emergere una verità che preme perché io la riconosca. Che io la accolga come ipotesi di lavoro. Nella confusione totale, che ci fa tutti un po’ più infelici e rischia di farci anche diventare più cinici, è quello che sento contenga un punto di partenza reale. Di ripartenza
Da Parigi, Maddalena scrive “Ho bisogno di capire come stare di fronte a questa realtà che mi è data adesso, in questo momento in cui la mia priorità era riposare. Di una cosa sono certa, che questi fatti mi sono dati da guardare ora, proprio a me che pensavo di starmene tranquilla” 

Ecco, più che di analisi geopolitiche, ho prima di tutto lo stesso bisogno di questa ragazza, di capire come stare di fronte a questa realtà.
Riconoscere questo bisogno, riconoscere il mio immenso bisogno di tutto, può essere il mio primo passo, perché il senso si riaffacci sull’orizzonte terso delle cose, nella purezza di un desiderio su cui appoggia il mio cuore. Perché io possa tornare a prendermi cura (di me stesso, delle cose nel mondo, delle cose del mondo)La cura è anche riconoscere che il pensiero ragionante che si concepisce autonomo da tutto (quindi solo) non è palcoscenico neutrale, ma è forse già una scelta di campo, come diceva bene un certo Eugenio Montale già nel 1975:
Terminare la vita
tra le stragi e l’orrore 
è potuto accadere per l’abnorme sviluppo del pensiero
poiché il pensiero non è mai buono in sé.
Il pensiero è aberrante per natura. 
Era frenato un tempo da invisibili Numi, 
ora gli idoli sono in carne ed ossa
e hanno appetito.
Noi siamo il loro cibo. 
Il peggio dell’orrore è il suo ridicolo.
Noi crediamo di assistervi imparziali
o plaudenti e ne siamo la materia stessa.
La nostra tomba non sarà certo un’ara
ma il water di chi ha fame ma non testa.

Non si tratta qui certo di darsi croci addosso, ma di capire cosa possiamo fare per essere più felici. Così Marco Guzzi può scrivere quello che noi tutti spesso dolorosamente avvertiamo, nella vita ordinaria…

Siamo una civiltà che non ha più la testa. E da tempo ormai. Sballottata tra orrore e pubblicità..

E vi ritrovo pienamente abitante in queste parole il grido di senso di Maddalena, la domanda accorata di capire come stare di fronte a questa realtà.
E’ qualcosa di sommesso, a cui fare appello ora. E’ un silenzio che ritorna, che può tornare. Perché questo sangue non sia stato versato per nulla – ora lo dico – dobbiamo essere molto fermi e decisi: dobbiamo riprendere la poesia del mondo. E’ una ipotesi di un ritorno ad un modo diverso di guardare, di respirare. Di vivere, di dormire, di amare.
Qualcosa è già in opera, per questo, forse. Non si tratta allora di inventare qualcosa, ma di riconoscerlo già operante. Non dobbiamo essere cinici, ma aprici a qualcosa che forse già si muove. Qualcosa che deve essere poetico e risanante insieme. Risanante perché poetico. Chiude sempre Marco il suo intervento su Darsi Pace, con una frase che mi risuona dentro piacevole e delicata come un verso, un anticipo di questa poesia che deve venire, per la quale posso – forse – lavorare…

Altrove qualcosa di vivo riprende di notte a respirare… 

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