E’ curioso, a pensarci, ma sembra proprio che ogni epoca abbia un suo alfabeto, una sua concordanza di segni, di modalità espressive, che si riverberano in discipline apparentemente distanti. Riverbero che sottolinea in maniera molto persuasiva il pensiero che tutto sia legato da qualche “misteriosa” forza, da qualche sottesa concordanza.

E ribadisce l’evidenza – più volte sottolineata anche in questa sede – che il percorso della scienza non si svolga su un binario asettico e sganciato dalle vicende propriamente umane, ma ne sia invece pervaso tanto da informarne ogni specifica modalità espressiva, arrivando a impressionanti similitudini anche nella stessa forma con la quale i vari contenuti vengono veicolati.

Sembrerebbe insomma di poter dire che ogni epoca ha un suo proprio codice espressivo, una sua specifica tavolozza di “colori”, ed essa attingano sia le discipline artistiche quanto quelle propriamente scientifiche. Una tavolozza che va modificandosi pian piano che la stessa coscienza umana, che interroga il cosmo e se stessa, viene modificandosi e arricchendosi.

Riprendo deliberatamente  il discorso che ho voluto introdurre nel post Le figure della scienza; in quell’occasione a colpirmi fu la notevole similarità tra un plot scientifico di un esperimento in corso (la missione GAIA) e un quadro di Paul Klee. Come se diverse modalità espressive sfociassero in uno stesso codice, parlassero circa la medesima lingua.

Ora è un contesto acustico che desta il mio (e spero il vostro) stupore, relativo ad un esperimento un po’ pazzo in cui sono direttamente coinvolto, e che vi voglio brevemente raccontare.

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Attraversare un ammasso di stelle è un’esperienza – anche – sonora!

Tutti sappiamo cosa siano gli ammassi globulari, questi agglomerati di centinaia di migliaia di stelle (se non milioni, in certi casi) che orbitano a varie posizioni all’interno della Via Lattea (e parimenti dentro le grandi galassie, ellittiche o a spirale che possano essere). Sono fondamentali per ricavare informazioni preziose sulle galassie stesse e sull’Universo nel suo insieme, e al loro studio si devono moltissime acquisizioni dell’astrofisica contemporanea. Ce ne siamo occupati spesso anche in questo blog.

Però non tutti sanno che possono cantare. 

O meglio, possiamo farli cantare noi. Se li interroghiamo nel modo giusto. Se ci prestiamo cioè ad accogliere un suono dai dati che abbiamo raccolto finora. E’ un esperimento interessante e forse opportuno: nell’epoca dei Big Data l’enfasi e l’obiettivo della ricerca non è più tanto – come sappiamo – quello di raccogliere più dati possibile (ce ne sono già molti in attesa di elaborazione), ma quello di trovare strategie ottimali per interrogarli utilmente, cioè per estrarre da questi dati il più pregnante significato. A volte interrogare opportunamente un grande set di dati è più difficile che raccoglierli. E la profondità dell’interrogazione è funzione della coscienza umana, ovvero della articolazione della domanda.

Dunque, non è infrequente che attraversando i dati in un modo nuovo, si ricavino informazioni inedite ed importanti. Allora mappare in frequenze audio un ipotetico “attraversamento” di un ammasso globulare, come abbiamo provato a fare (va detto che l’idea originale e gran parte del lavoro si deve al Dott. Ivan Ferraro, collega dell’Osservatorio Astronomico di Roma), è proprio un modo diverso di mappare certe informazioni adeguandole al tipo di segnale ricevuto – in questo caso –  dal nostro apparato uditivo.

Eccoci. Immaginate dunque di attraversare (del tutto ipoteticamente) un ammasso globulare: passarlo da parte a parte, proprio, in linea retta e transitando per il suo centro. E nel cammino, associare ad ogni stella in cui ci imbattiamo, un suono specifico, un timbro, una durata. Legando le qualità acustiche e gli accidenti ai parametri fisici di posizione, luminosità, e così via. Ci siete? Immaginate anche di farlo in maniera stereofonica, per giunta: con calcoli diversi (ma non troppo) per ognuno dei due canali. Ecco, ora ci siamo davvero: adesso avrete un suono caratteristico per ogni ammasso attraversato.

L'ammasso globulare 47 Tucanae (crediti 2MASS)

L’ammasso globulare 47 Tucanae (crediti 2MASS)

Questo insomma è stato fatto nel nostro piccolo esperimento, i cui primi risultati sono stati appena inseriti in gclusters, un database dei parametri degli ammassi globulari della nostra Galassia. Rendendolo così un po’ più frizzante, probabilmente eccentrico e piacevolmente multimediale. Sullo stesso sito potete trovare (in inglese) una pagina con maggiori spiegazioni e qualche dettaglio tecnico sull’esperimento stesso (che al momento coinvolge poco più di sessanta ammassi, ovvero una buona frazione del totale conosciuto per la nostra Galassia).

Naturalmente non si può dire che il suono di questi ammassi sia musica in senso proprio. O almeno, non nel senso al quale siamo abituati per il gusto corrente.

Prendiamo ad esempio l’attraversamento sonoro dell’ammasso 47 Tuc,

oppure ancora, quello dell’ammasso NGC 6101

Notate già le percepibili differenze nelle due… ehm, composizioni. Differenze acustiche che, per la costruzione stessa dei suoni, riflettono le differenze nei profili di densità stellari, nella conformazione generale dell’ammasso, nella distribuzione di luminosità stellare. Differenze acustiche, cioè, che esprimono differenze fisiche. Così, in pratica, è come una impronta sonora dell’ammasso. Diversa per ognuno e – all’orecchio attento – probabilmente riconoscibile.

Interessante, certo. Ma al contempo, diciamo così, non vi è alcun pericolo che diventi un disco per l’estate, ne converrete. La vera musica è un’altra cosa, direte anche.

E qui arriviamo al punto. Ovvero alle concordanze “misteriose” cui accennavamo prima. Perché, e se la vera musica dei tempi moderni (intesa come musica colta, prendendo un momento per buone queste semplici classificazioni di genere) in realtà fosse, almeno in qualche sua declinazione, simile al suono prodotto da questo esperimento?

Chissà.

Impossibile, dite voi?

Forse. Però, chi ha visto e amato il film 2001 Odissea nello Spazio, magari si ricorderà di un certo brano, un pezzo del compositore Gyorgy Ligeti (1923-2006)  😉

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