Il nostro piccolo esperimento sugli ammassi sonanti, di cui abbiamo fornito un resoconto abbastanza di recente, si arricchisce adesso di una parte più direttamente visiva, che accompagna efficacemente il “brano” sonoro. E con l’occasione fa il suo debutto su un apposito canale YouTube, la piattaforma video più diffusa… a livello planetario!

Attraversare un ammasso, ascoltandone "il suono"...

Gentili signore, pregiati signori, prego aprite le vostre orecchie e guardate…. si parte per il viaggio interstellare…

Per rendere più chiaro ed anche più facilmente fruibile l’esperienza sonora del “traversare un ammasso stellare”, della quale appunto vi abbiamo parlato, abbiamo iniziato a realizzare dei filmati (merito di Ivan Ferraro, in verità, come per tutto il resto), in pratica delle piccole animazioni, nelle quali possiamo osservare l’avvicinamento progressivo all’ammasso globulare, e dopo aver attraversato la affollatissima parte centrale, il progressivo allontanamento dalla struttura.

Sono filmati piuttosto brevi, allo stato attuale, però aiutano abbastanza a capire la dinamica di questo esperimento piuttosto peculiare, per il quale – si noti – il suono è costruito in maniera rigorosa e scientifica, risultando legato alle caratteristiche di posizione e magnitudine di un sottoinsieme di stelle rappresentative dell’ammasso in questione (a livello computazionale, il suono viene prodotto considerando i dati delle tremila stelle più luminose).

Così anche l’immagine, lungi dall’essere esclusivamente decorativa, in realtà veicola delle informazioni precise. Il colore e la grandezza delle stelle infatti sono strettamente legate alle caratteristiche fisiche delle stelle medesime – il colore mappa la temperatura effettiva dell’astro (la temperatura equivalente di corpo nero della superficie stellare) e  la magnitudine assoluta è proporzionale alla grandezza con la quale la stella viene rappresentata nell’animazione video.

La cosa spettacolare (e lo posso dire a cuor leggero, tanto non è opera mia), è che la scelta dei parametri con cui generare suono ed immagini, è fatta in maniera tanto accorta da far effettivamente risaltare la differenza tra un ammasso e l’altro. Sebbene non sia facile – per ora – identificare un ammasso da come suona, nondimeno su un campione ristretto di casi (provateci) si impara ben presto a memorizzare la firma sonora del singolo ammasso.

Che poi, a pensarci, è appena un esperimento per esplorare taluni parametri astrofisici (posizione, luminosità delle stelle) mappandoli in un sistema di riferimento  adeguato ai nostri recettori naturali.  L’organismo ha una straordinaria capacità di attraversare dati e rivestirli di significato specifico. Solo bisogna avere in qualche modo la cura di presentarli in ingresso in maniera adeguata, in maniera – diciamo – leggibile. 

E’ anche una faccenda di rinnovata attenzione al corpo, se vogliamo metterla così. Siamo entrati in contatto, in tempi recenti, con il concetto di data mining, intendendo con questo l’estrazione di un sottoinsieme di informazioni “utili” dalla enorme messe di dati tipiche degli esperimenti moderni. Qui ci muoviamo su un binario in un certo modo simile ma con una sua decisa specificità: si tratta qui – potremo dire – di proiettare in maniera accorta i dati su un insieme di autofunzioni che sia comprensibile ai sensori naturali che possediamo.

Ciò che rimane simile, è il paradigma che è sotteso a tutte queste operazioni: quando sono abbondanti i dati (e al giorno d’oggi sono… più che abbondantissimi), ecco che diventa urgente rappresentarli in modo adeguato, perché possano aprirsi ad una ipotesi di senso. Perché, insomma, ci dicano qualcosa.

Sorprendente che una volta che tale processo avviene, il semplice e nudo dato scientifico inizia a parlare alla nostra sensibilità. Si riveste di un significato nuovo, entra in maniera più vibrante e decisa nella nostra esperienza.

In fin dei conti, se volete, è appena un modo diverso di consultare i normalissimi cataloghi stellari. Ma ecco il fatto, che scorrere un catalogo con gli occhi – pur se pieno di informazioni raccolte e presentate con grande precisione – non restituisce alcuna sensazione particolare. Rimane una distanza tra me che guardo e l’oggetto che sto indagando. Con accorgimenti come questo, concettualmente semplici (un po’ più complessi nella effettiva implementazione, a dire il vero) tale distanza sembra potersi drammaticamente ridurre. Certo l’esperienza che si fa è di natura qualitativa, non è possibile negarlo. In un certo senso viene riportata alla condizione analogica, contro la fredda natura digitale del mero dato numerico.

Ed è come un’onda di ritorno. Dopo aver fatto tanto sforzo per adeguarsi al mondo, uscire da sé per adeguarsi a comprendere il reale, si torna a comprendere quanto il reale sia – da una parte – estremamente più complesso e sfuggente e poliedrico e multiforme rispetto alla pretesa cartesiana di conoscibilità per progressivo accumulo di dati e – dall’altra – di quanto la esistenza stessa dell’uomo (in maniera squisitamente quantistica, potremmo dire) influenza e definisce il reale stesso.

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