Blog di Marco Castellani

Mese: Febbraio 2016 Page 1 of 2

Il libro che non c’è (ancora)

Devo dire che è davvero una bella opportunità, un magnifico regalo, quello di essere stato selezionato per il laboratorio di scrittura creativa Rai ERI Il libro che non c’è. La materna dedizione e l’intelligente passione di Paola Gaglianone (editor di professione) e l’ironia frizzane e l’attenzione amichevole di Alessandro Salas (giovane autore), si intrecciano insieme in un connubio felice e sovente “virtuoso”, per contemplare alla fine quello che comunque rimane un mistero, ovvero l’arte di scrivere.

Perché scrivere certo rimane un mistero. Esiste cioè un quid che non si presta ad essere investigato in modo analitico, che sfugge e chiama sempre ad un di più rispetto ad una qualsiasi possibile piana delucidazione. Che sfugge ad ogni compiuto srotolamento in parole. Dunque in un certo senso, qualcosa che non è accessibile a nessun corso, a nessun laboratorio.
E tuttavia – come mi sto sempre più rendendo conto, l’utilità di un laboratorio di questo tipo è fuori discussione. Ragionare insomma sul libro che non c’è, affondare le mani nell’oceano delle possibilità, pensare a ciò che ancora deve prendere forma, a come deve farlo, al modo più efficace per farlo sviluppare. Tutto questo è utilissimo. Paradossalmente, tanto più utile quanto ancora  e sempre, il nucleo pulsante rimane protetto nel suo guscio di mistero. 

Sì, perché se è vero che al fondo dell’arte di scrivere bene, come ogni arte, c’è un mistero che non accetta volentieri di essere guardato, indagato a parole, intorno a questo nucleo pulsante c’è pure un esteso territorio in cui si può e si deve ragionare. Che può essere lavorato. Per rispetto di chi scrive, e di chi legge, parimenti.

Assai significativamente, stiamo scoprendo, nel laboratorio (ormai arrivato alla quarta lezione, in un ciclo già ricco che ha incluso anche un interessante incontro con Dacia Maraini), come il gesto dello scrivere sia un gesto di ricerca di senso e dunque un gesto completamente e propriamente umano. Solo da questo è possibile poi lanciarsi nell’analisi più tecnica delle modalità del narrare, dello scegliere il punto di vista, della prima o terza persona, e così via, secondo tutte le declinazioni del caso.

Solo dopo, dunque. Niente tentazioni sterilmente strutturalistiche, in questo laboratorio (grazie ai cielo). Impariamo invece, contro ogni freddo riduzionismo, come alla fonte dell’impulso creativo vi sia sempre e comunque la ricerca di senso, che è poi il mestiere fondamentale dell’uomo. Ciò per cui è nato. Ed ogni declinazione tecnica può e deve essere compiutamente sviscerata, perché anche scrivere ha le sue regole, le sue tecniche (da conoscere e da superare, se è il caso).

Ma il senso viene prima, come atto visceralmente umano. L’unico interessante, l’unico probabilmente che valga la pena raccontare: in un libro che ancora non c’è. Ma che potrà esserci.

Mi viene da dire, imparare questo, ancora e di nuovo, non ha prezzo.
Grazie Paola, Alessandro. Grazie di questa opportunità.

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Spunti per… onde nuove

E’ stato un simpatico trappolone quello che mi hanno teso i simpatici e bravi Alessandro e Gabriella, all’incontro dell’associazione Darsi Pace che è avvenuto ieri mattina. Complici anche loro: le famose onde gravitazionali finalmente (ri)trovate, dopo tanto affannoso cercare. 
Proprio giovedì scorso è stato dato infatti l’annuncio ufficiale, che queste elusive increspature dello spazio-tempo, previste da un certo Albert Einstein addirittura un secolo fa, sono state finalmente rilevate. Ed è certo una conferma di grandissima importanza per la teoria della relatività generale:  una cosa non proprio ininfluente, perché (andando per le spicce) è proprio la teoria sulla quale si impernia la nostra conoscenza dell’universo, così come lo comprendiamo ora
Diciamo in pratica che ci siamo accorti ancora una volta che l’universo risponde ai nostri schemi interpretativi, ci racconta che i nostri sforzi per capirlo sono sforzi produttivi. Risuona sull’ambito di frequenze nelle quali gli inviamo le domande. Sono dunque le domande giuste, per questo nostro tempo. 

E forse è possibile, è lecito, chiedersi se questa scoperta scientifica può suggerirci qualcosa che vada oltre la scienza, se ci aiuti – come sempre – a comprendere il mondo anche in senso più culturale e spirituale. Ovviamente per fare questo, per lanciarci in questo spunto di indagine, dobbiamo dismettere i panni del rigore scientifico e lanciarci in una ricerca a tutto campo che però procede con strumenti diversi. 
Scienza e cultura, scienza e spiritualità, non solo si possono parlare, ma debbono farlo, perché l’uomo non si sviluppi a compartimenti stagni, in collisione tra loro. E’ salutare che lo facciano, purché appunto si usi un linguaggio (tentativamente) onesto, che non pretende di portare il rigore scientifico dove non vuole e non può arrivare.
Con questa coscienza, si può provare ad esprimere qualche suggestione che questa recente scoperta può evocare in una persona che per mestiere è condotta ad occuparsi del cosmo. Io almeno ci ho provato, ieri mattina (accogliendo una richiesta simpaticamente a sorpresa, chiamata informalmente trappolone). Potete vedere il video in cui, peraltro, provo un po’ all’impronta a riassumere quanto ho argomentato in un post scritto per l’associazione Darsi Pace

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Un’onda nuova

Siamo abituati così, a lasciar scorrere la scienza così, appena accanto alle cose che ci interessano, di cui ci occupiamo giornalmente. Forse non una presenza scomoda, certo no. Però spesso ininfluente, nella vita quotidiana. Ci sono però momenti nei quali anche l’ambito solitamente ristretto ed impermeabile della ricerca, così usualmente ben confinato, deborda. E accade che improvvisamente i media si accorgano della quantità di persone e di risorse impiegate cercando di comprendere come funziona l’universo, nell’investigarne i meccanismi segreti, le dinamiche più riposte. Un anelito antichissimo, un tempo territorio del mito, oggi campo di indagine squisitamente razionale.

Dopo anni e anni impiegati nella affannosa caccia, nel pomeriggio del giorno 11 febbraio 2016 è stata finalmente annunciata la detezione delle famose onde gravitazionali. C’è un segnale, e sembra concreto.

Evidente che per noi astronomi sia un momento di esaltazione: in casi come questo avverto, lo confesso, il privilegio di sentire in modo palpabile l’eccitazione, percepirne l’onda affascinante ed elettrica, anche nei semplici dialoghi con i colleghi. E la confortante evidenza, a infrangere milioni di freddi universi di nonsenso (che l’anima troppe volte si trova a percorrere): può ancora succedere qualcosa, possiamo ancora stupirci. E’ indubbiamente confortante che il lavoro che faccio arrivi improvvisamente a trovare spazio in ambiti assolutamente inconsueti, come un telegiornale della sera. Ben vengano queste notizie, dunque. Ben vengano, se ci aiutano a pensare ai cieli sopra di noi.

Però forse c’è anche altro. Dietro questa scoperta si muovono anche cose più profonde, diverse e complementari rispetto alla mera registrazione dell’ennesimo progresso della ricerca scientifica, alla frettolosa celebrazione di un successo (anche) tecnologico.

Ma andiamo con ordine. Ovvero, stiamo al dato, così come ci si presenta.

E’ necessario infatti, per cogliere il punto che vorrei illustrare, percepire innanzitutto l’importanza propriamente scientifica di quanto è stato annunciato ieri.

E questa importanza scientifica c’è, c’è davvero tutta. Di cosa si tratta, in poche parole? Perché è importante aver trovato queste onde? Ebbene, si tratta di una corroborante conferma del fatto che il nostro modello interpretativo dell’universo, quello accettato dalla grandissima parte dei cosmologi e percolato ormai profondamente nel senso comune, funziona. Spiega bene la realtà.

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A ricevere conferma sperimentale (non certo la prima, ma una delle più eclatanti) è la stessa teoria della relatività generale di Albert Einstein, formulata esattamente un secolo fa. Difficile sopravvalutare l’importanza di tale formulazione teorica, davvero una cattedrale del pensiero dell’età moderna. L’ultima anche, ad essere stata edificata da un solo uomo: i grandi risultati successivi, come la meccanica quantistica – altra teoria epocale che ancora attende di essere compiutamente recepita – sono marcatamente risultati “di squadra”, impianti teorici elaborati dalla stretta collaborazione di molte persone.

Qui no. Questa cattedrale è stata costruita da un uomo solo. Un uomo, per giunta, completamente umano, non esente da grandi difetti e da limiti anche nell’ambito privato (come molte biografie ci hanno impietosamente indicato).

Ebbene, la teoria della relatività di Einstein prevede che si creino – in determinate circostanze – delle deformazioni del tessuto dello spazio tempo, capaci di propagarsi a grandissime distanze, proprio come onde. E’ una sorta di “radiazione gravitazionale”, che però genera episodi di particolare ampiezza (gli unici, del resto, che possiamo realisticamente sperare di rilevare empiricamente) solo in casi in cui delle ingenti masse modifichino in modo rapido la loro distribuzione. Tipico esempio, è quello della coalescenza di due buchi neri, che poi è proprio l’evento la cui rilevazione è stata annunciata il pomeriggio di giovedì 11 febbraio dal gruppo del rivelatore “Advanced LIGO” (per maggiori particolari vi rimando ad un post molto informativo su GruppoLocale.it).

Qui vorrei però esplorare alcuni aspetti che riguardano la nostra stessa concezione del mondo. Come interpretare allora questa notizia? Abbiamo appena ricevuto una conferma del fatto che non viviamo assolutamente in uno spazio cartesiano, in un universo imperturbabile o in un contenitore asettico, come ci viene sovente da pensare. Non siamo buttati dentro qualcosa che non si “piega” alla nostra mera presenza. Tutt’altro. Gli apparecchi più moderni questo indicano, che la semplice presenza di materia modifica la struttura dello spazio-tempo, lo fa vibrare come un’onda.

In altre parole, abbiamo una ulteriore preziosa conferma del fatto che l’universo, lungi dall’essere un asettico ed inossidabile contenitore di eventi, è invece una entità “viva” che interagisce e si modifica a seconda di quello che ospita, e di cosa avviene al suo interno. No, il cosmo non è affatto imperturbabile, il cosmo è tutt’uno con quanto avviene nel suo grembo. Vibra e si modifica per quanto avviene dentro di lui, ora ne siamo proprio certi. Potremmo vederlo come un universo “simpatetico”, che reagisce con quanto accade in lui, che vibra di quanto succede, nel modo in cui succede. In ultima analisi (così mi piace pensarlo, andando al senso etimologico della parola), che ha com-passione di quello che accade.

Estrapolazioni poetiche, se volete. Speculazioni metafisiche, davanti alle quali forse storcete il naso. No lo so. Quel che è certo è che non possiamo più pensare allo spazio e alle cose che vi accadono dentro, come entità distinte. Lo spazio, il tempo, gli eventi, la presenza stessa dell’uomo… ogni evidenza empirica non fa che sottolineare sempre più come queste entità che – per pigrizia e bassa energia mentale – ancora pensiamo separate, sono invece profondamente e misteriosamente interlacciate tra loro. Collegate, in modo inestricabile. Relazionate, in maniera inestirpabile.

Non se ne abbia a male Cartesio, ma la sua visione cosmologica è ormai sorpassata. Anzi, defunta. Con tutto quanto ne consegue anche sul lato culturale, e perfino spirituale. Aver aperto una nuova “finestra” di indagine sul cosmo, come sta avvenendo con la neonata astrofisica gravitazionale, non è senza conseguenze. Del resto, è sempre stato così: l’universo ci mostra volta per volta solo quello che siamo in grado di capire. La risposta è modulata, da sempre, sulla sapienza delladomanda.

Abbiamo appena aperto lo scrigno di un universo in cui è tutto davvero intimamente collegato, è tutto davvero in relazione. Ci stiamo lasciando alle spalle – grazie al cielo! – una concezione di corpi separati, divisi, ultimamente contrapposti (azione e reazione, forze uguali e contrarie), lascito fecondo ma drammatico della fisica e della cultura classica, nel suo massimo positivistico splendore. Dobbiamo però ancora capire cosa vuol dire entrare davvero in questo universo relazionale, anche in ambito umano. Dobbiamo lavorare per questo, superando resistenze fortissime.

Il vecchio universo (fuori e dentro di noi) infatti resiste accanitamente, ma è ogni giorno più rigido, più teso ed arrabbiato. Perché si sente il fiato sul collo, perché sta esaurendo il suo stesso spaziotempo, perché il suo gioco egoico è sempre più scoperto.

Per legare insieme le cose, per trovare un senso, non serve più la mutua collisione dei corpi, la ben nota dinamica che ne esaspera la distanza ed esprime, definendo (anche formalmente) ogni contatto ultimamente solo come un urto. L’energia che ne viene è energia malata, corrotta. Ci vuole qualcosa, Qualcuno, che leghi tutto insieme, che regali speranza.

Ci vuole un’onda, un’onda nuova.

Intervento pubblicato in data 15/2/2016 sul sito dell’associazione Darsi Pace.

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Osservate per la prima volta le onde gravitazionali con LIGO

A_long_time_agodi Umberto Genovese e Sabrina Masiero

… c’era una coppia di buchi neri, uno di circa 36 volte la massa del Sole mentre l’altro era un po’ più piccolo, di sole 29 masse solari. Questi due pesantissimi oggetti, attratti l’uno dall’altro in una mortale danza a spirale hanno finito per fondersi insieme, come una coppia di ballerini sul ghiaccio che si abbraccia in un vorticoso balletto. Il risultato però è un po’ diverso: qui ne è uscito un oggetto un po’ più piccolo della semplice somma algebrica delle masse: 62 masse solari soltanto.

Il resto è energia dispersa, non molta per la verità date le masse in gioco, pressappoco come quanta energia potrebbe emettere il Sole nell’arco di tutta la sua esistenza. Solo che questa è stata rilasciata in un singolo istante come “onde gravitazionali“.

Ma cos’è un’onda gravitazionale?

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La visione dello spazio che da sempre conosciamo è composta da tre uniche dimensioni, larghezza, altezza e profondità; x, y e z, se preferite. Il tempo, un fenomeno comunque misterioso, fino agli inizi del XX secolo era considerato a sé. Una visione – poi confermata dagli esperimenti di ogni tipo – fornitaci dalla Relatività Generale è che il tempo è in realtà una  dimensione anch’essa del tessuto dello spazio; una quarta dimensione. insieme alle altre tre [1].

Fino alla Relatività Generale di Einstein si era convinti che una medesima forza, la gravità, fosse responsabile sia della caduta della celebre mela apocrifa di Newton, che quella di costringere la Luna nella sua orbita attorno alla Terra e i pianeti nelle loro orbite attorno al Sole. Nella nuova interpretazione relativistica questa forza è invece vista come una manifestazione della deformazione di  uno spazio a quattro dimensioni, lo spazio-tempo, causata dalla massa degli oggetti. Così quando la mela cade, nella Meccanica Classica (essa è comunque ancora valida, cambia solo l’interpretazione dei fenomeni) la gravità esercitata dalla Terra attrae la mela verso di essa mentre allo stesso modo – e praticamente impercettibile – la Terra si muove verso la mela, nella Meccanica Relativistica è la mela che cade verso il centro di massa del pianeta esattamente come una bilia che rotola lungo un pendio e la Terra cade verso il centro di massa della mela nella stessa misura prevista dai calcoli newtoniani.

La conseguenza più diretta di questa nuova visione dello spazio-tempo unificato, è che esso è, per usare una metafora comune alla nostra esperienza, elastico; ossia si può deformare, stirare e comprimere. E un qualsiasi oggetto dotato di massa, se accelerato, può increspare lo spazio-tempo. Una piccola difficoltà: queste increspature dello spazio-tempo, o onde gravitazionali, sono molto piccole e deboli – la gravità è di gran lunga la più debole tra le forze fondamentali della natura –  tant’è che finora la sensibilità strumentale era troppo bassa per rivelarle.

Se volessimo cercare un’analogia con l’esperienza comune, potremmo immaginare lo spazio quadrimensionale come la superficie di un laghetto a due dimensioni, mentre la quarta dimensione, il tempo, è dato dall’altezza in cui si muovono le increspature dell’acqua. Qualora buttassimo un sassolino l’altezza della increspatura sarebbe piccola, ma man mano se scagliassimo pietre con maggior forza e sempre più grosse, le creste sarebbero sempre più alte. Però vedremmo anche che a distanze sempre più crescenti dall’impatto, queste onde scemerebbero di altezza e di energia, disperse dall’inerzia delle molecole d’acqua [2]; alcune potrebbero perdersi nel giro di pochi centimetri dall’evento che le ha  provocate, altre qualche metro e così via. Alcune, poche,  potrebbero giungere alla riva ed essere viste come una variazione di ampiezza nell’altezza del livello dell’acqua del laghetto e sarebbero quelle generate dagli eventi più potenti che avevamo prodotto in precedenza. Queste nello spazio quadrimensionale sono le onde gravitazionali e esse, siccome non coinvolgono mezzi dotati di una massa propria per trasmettersi come ad esempio il suono che è solo un movimento meccanico di onde trasmesse attraverso un mezzo materiale,  possono muoversi alla velocità più alta consentita dalla fisica relativistica c, detta anche velocità della luce nel vuoto.

Il grande protagonista: LIGO

E’ stato LIGO-Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (in italiano, Osservatorio Interferometro laser per onde gravitazionali) il protagonista di questa straordinaria scoperta: uno strumento formato da due strumenti gemelli, uno a Livingston (Louisiana) e l’altro a Hanford (Washington), a 3000 chilometri di distanza dal primo.

Sono due gli interferometri, perché i dati possono venir confrontati e confermati: se entrambi gli strumenti rilevano lo stesso disturbo, allora è improbabile che sia legato ad un terremoto oppure a dei rumori di attività umana. Il primo segnale che conferma l’esistenza delle onde gravitazionali è stato rilevato dallo strumento americano Ligo il 14 settembre 2015 alle 10, 50 minuti 45 secondi (ora italiana), all’interno di una finestra di appena 10 millisecondi.

David Reitze del progetto LIGO ha annunciato al mondo la scoperta delle onde gravitazionali: “We have detected gravitational waves. We did it!”. Crediti: LIGO

Ed eccole qui, in questo diagramma: l’onda azzurra, captata da LIGO di Livingston e l’onda arancio, captata da LIGO di Hanford. Sono sovrapponibili, il che ci dice che sono la stessa onda captata dai due strumenti gemelli. E’ la firma della fusione dei due buchi neri supermassicci con la conseguente produzione di onde gravitazionali. In altre parole, questa è la firma del nuovo buco nero che si è formato dai due precedenti e, come è accennato anche più sopra, le tre masse solari che mancano dalla somma delle due masse che si sono fuse assieme dando vita al nuovo buco nero di 62 masse solari si sono convertite in onde gravitazionali.

Volete udire il suono di un’onda gravitazionale? Sì, certo che è possibile…. E’ straordinario pensare che queste onde rappresentano la fusione di due buchi neri in uno nuovo e proviene da distanze incredibilmente grandi, in un’epoca altrettanto remota: un miliardo e mezzo di anni  fa.

Le prove indirette

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

Il decadimento orbitale delle due stelle di neutroni PSR J0737-3039 (qui evidenziato dalle croci rosse) corrisponde esattamente con la previsione matematica sulla produzione di onde gravitazionali.

La prima prova indiretta dell’esistenza delle onde gravitazionali si ebbe però nel 1974. In quell’estate, usando il radio telescopio di Arecibo, Portorico, Russel Hulse e Joseph Taylor scoprirono una pulsar che generava un segnale periodico di 59 ms, denominata PSR 1913+16. In realtà, la periodicità non era stabile e il sistema manifestava cambiamenti [3] dell’ordine di 80 microsecondi al giorno, a volte dell’ordine di 8 microsecondi in 5 minuti.

Questi cambiamenti furono interpretati come dovuti al moto orbitale della pulsar [4] attorno ad una stella compagna, come previsto dalla Teoria della Relatività Generale. Di conseguenza, due pulsar, in rotazione reciproca una attorno all’altra, emettono onde gravitazionali, in perfetta linea con la Relatività Generale. Per questi calcoli e considerazioni, Hulse e Taylor ricevettero nel 1993 il Premio Nobel per la fisica.

La presenza di una qualsivoglia stella compagna introduce delle variazioni periodiche facilmente rivelabili nel segnale pulsato della stella che i radioastronomi sono in grado di misurare con precisione inferiore ai 100 microsecondi. Giusto per farsi un’idea, immaginiamo di prendere il Sole e di farlo diventare una pulsar. Dal suo segnale pulsato, gli astronomi sarebbero in grado di rilevare la presenza di tutti i pianeti che orbitano attorno a questo Sole-pulsar, grazie al fatto che ogni pianeta causa uno spostamento del centro di massa del Sole di un certo valore espresso in microsecondi. La Terra per esempio, che si muove lungo la sua orbita ellittica, produce uno spostamento del centro di massa del Sole di ben 1500 microsecondi! [5]


Per saperne di più:

La prima pulsar doppia” articolo di Andrea Possenti dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari, pubblicato sul numero di Le Stelle, marzo 2004.

La notizia, pubblicata sul Physical Review Letters, porta i nomi di B. P. Abbott e della collaborazione scientifica di LIGO e VIRGO

Note 

[1]  In realtà le cose sono un attimino più complicate, la quarta dimensione si può percorrere solo in una sola direzione (freccia del tempo) rispetto alle altre tre. Mentre nella Meccanica Quantistica è perfettamente lecito che una particella possa muoversi a ritroso nel tempo (Principio di Invarianza t.

[2] Anche qui occorre sottolineare che la posizione reciproca delle molecole non cambia al passaggio di un’onda, esse si muovono tutte assieme; per provare basta immergere due galleggianti e vedere come essi si comportano al passaggio di un’onda.

[3] [1. In un 1 microsecondo (µs) la luce percorre esattamente 299,792458 metri nel vuoto (questo numero è usato per la definizione del metro).

[4] Una pulsar è una stella dotata di campo magnetico estremamente elevato, circa 2 x 1011 volte il campo magnetico della Terra, una stella formata di neutroni con un raggio di 10-20 chilometri e una massa dell’ordine delle 1,4 masse solari (un po’ come pensare di prendere il nostro Sole e comprimerlo fino a farlo diventare di 20 chilometri di diametro). Il suo asse di rotazione non coincide con l’asse del campo magnetico, e le particelle relativistiche cariche presenti nella magnetosfera emettono radiazione elettromagnetica di sincrotrone focalizzata in uno stretto cono lungo i poli magnetici. Questo segnale elettromagnetico, proveniente da grande distanza e modulato dalla radiazione della stella, viene ricevuto a Terra sotto forma di impulsi elettromagnetici che hanno una ben precisa periodicità. Il sistema si comporta come un gigantesco e compatto volano. Alcune pulsar emettono con una regolarità ben definita da essere utilizzate come orologio di riferimento.

[5] Una lettura interessante su questa prima scoperta la potete trovare sul sito dell’INAF-IAFS di Milano.

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Trovate!

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Onde gravitazionali, il giorno della verità

Manca ormai circa un’oretta alla attesissima conferenza stampa nella quale si avranno delucidazioni su questa importante scoperta riguardante le onde gravitazionali, predette da molto tempo ma così elusive che finora sono riuscite a sfuggire ad ogni umano sforzo di detezione. 

Formalmente, la conferenza stampa richiama i giornalisti per un aggiornamento sullo stato della ricerca per le onde gravitazionali, così si può tradurre dalla pagina della collaborazione VIRGO che menziona l’appuntamento odierno.

Tutto comunque fa pensare che siamo ormai alle porte di un annuncio assolutamente clamoroso. Per dirla tutta, la fuga di notizie autorizza a ritenere con ottima probabilità che si sia proprio alla soglia dell’annuncio ufficiale di avvenute detezioni.

Così, se vi va, vi invitiamo a collegarvi per seguire in tempo reale questo annuncio che possiamo, senza troppa enfasi, definire storico. Tra i siti che rendono possibile essere lì, sia pur in maniera virtuale, ricordiamo il servizio offerto da MEDIA INAF, raggiungibile attraverso il suo canale streaming.

Per chi poi non passasse le sue serate chino sui testi di gravitazione e teoria dei campi (legittimo, legittimo…) e dunque non è esattamente cultore della materia, è sufficiente dire che tali impercettibili onde sono state predette da Einstein proprio un secolo fa, nell’ambito della teoria della relatività generale. E dunque riscontrarne adesso la presenza effettiva nello spazio, è una conferma importante, decisiva.


Perché poi, tutta questa importanza?

Complimenti. Bella domanda, anzi… ottima domanda.

Perché vuol dire che siamo un po’ più sicuri del fatto che il nostro modello di universo, la teoria che spiega una quantità innumerevole di fenomeni astronomici (anzi, di fenomeni fisici), è sostanzialmente corretta. Che dunque, per facile ma inevitabile estensione, il mondo fisico è veramente comprensibile, si fa comprendere, si lascia comprendere. Possiamo esplorarlo, capirlo, un poco alla volta.

albert-einstein-1167031_640E quello che sta per succedere oggi è anche qualcosa di più. Se ragioniamo sul fatto che – a detta di molti – la teoria della relatività generale è l’ultima grande teoria fisica elaborata sostanzialmente da un uomo solo (la meccanica quantistica, come sappiamo, è stato uno sforzo decisamente più collegiale), questo ha un ulteriore – corroborante – significato.

Ha il significato che un uomo, da solo (un uomo con tanti limiti umani, peraltro, come diverse biografie lucidamente ci hanno ricordato) può incidere profondamente nella scienza. O perfino nella storia. Un uomo da solo ha comunque un valore e una potenzialità enormi. Ognuno di noi.

Quello che sta per accadere oggi, in fondo, è importante anche per questo.

Per questa conferma, questa rassicurazione.

Anzi, è importante sopratutto per questo.

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Onde gravitazionali, gio 11 conferenza in streaming

Sono ormai appena una manciata di ore che ci separano dall’attesissimo annuncio di “importanti risultati” che riguardano la lunga epopea della ricerca delle onde gravitazionali. La tensione è montata così inesorabile, che ormai è più che lecito attendersi qualcosa che farà davvero clamore (peraltro le indiscrezioni ormai non solo non si fermano ma nemmeno si riescono più a contare… tanto che più che chiedersi cosa sarà annunciato, è quasi più interessante sapere come verrà fatto).

light-567760_640Stando comunque ai fatti concreti, ovvero al materiale che abbiamo adesso (e ai vari misteriosi ammiccamenti dei colleghi), ci sentiamo di consigliare vivamente gli interessati di non perdere la diretta della conferenza che si terrà domani, dalle 16.00, dal laboratorio VIRGO a Cascina, che sarà possibile seguire in streaming, durante la quale, come dice l’annuncio stesso, “saranno presentati importanti risultati relativi alla ricerca delle onde gravitazionali recentemente ottenuti dalla collaborazione LIGO-Virgo”

Se poi aveste ancora qualche dubbio, un salto su Twitter può sempre aiutare…

Nell’attesa, se avete appena un paio di minuti, vi consiglio questo bel video di MEDIA INAF, che su questo settore della ricerca, riesce a fare il punto in maniera precisa e accattivante, ed anche – e non è poco – apprezzabilmente concisa.

E domani si dovrebbe aprire un nuovo capitolo. Di una storia, peraltro, sempre più affascinante.

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Onde gravitazionali, clamori transnazionali

E’ stato un crescendo continuo di voci, indiscrezioni, cinguettii, mezze ammissioni, ammissioni senza ammetterlo. Ma la sensazione che qualcosa di grosso (e concreto) stia per essere svelato, quando finirà il faticoso – e lacunoso embargo – ebbene quella c’è. 

Le elusive onde gravitazionali, queste bizzarre increspature dello spazio tempo, sono state previste da tempo dalla teoria, ma non si sono mai riuscite ad osservare. Finora, dobbiamo aggiungere. Come dicevamo in apertura, c’è una crescente sensazione – suffragata da diverse circostanze – per cui dovremmo ormai essere alla vigilia di un annuncio epocale

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Personalmente, rimango intrigato dai sorrisi e dai silenzi sornioni che capita di ricevere quando vai a pungolare qualche collega in osservatorio che – per il lavoro che sta facendo – ne dovrebbe sapere qualcosa. A volte anche il modo di tacere, pur non violando formalmente alcun embargo, sembra essere abbastanza indicativo.

Tra un paio di giorni dovrebbe concludersi comunque questo famoso embargo, il periodo di concordata attesa prima di poter annunciare urbi et orbi una eventuale notizia di avvenuta detezione, che sicuramente sarebbe di grande portata. Ed è lecito stare molto attenti a quello che potrebbe capitare. Ed anche, sperare che un altro importante tassello nella conferma delle teorie che spiegano come mai l’universo è come lo vediamo, venga brava brava a mettersi al suo posto.

Nel mentre, si può certo riflettere su come sta cambiando anche la comunicazione scientifica nell’epoca di Internet. Nell’età di Twitter e di Facebook, ogni indiscrezione è immediatamente rimpallata sull’arco intero dei media planetari e in poche ore anche un embargo che si pretende inossidabile è di fatto quasi annullato.

Certo, poi sono sempre cose ed informazioni che bisogna confermare. Non basta una rondine per fare primavera, e non basta un tweet per definire anzitempo realtà la scoperta delle onde gravitazionali. Sono dichiarazioni che vanno verificate e vagliate accuratamente. Troppo spesso la fretta ha causato improvvide e quasi esilaranti situazioni, come quella dei neutrini superluminari, di cui molti conservano memoria con un misto di ilarità ed imbarazzo.

D’altra parte, le cose sono sempre complesse, più delle loro riduzioni e rappresentazioni. Quanto aspettare, quante verifiche condurre, quando senti di aver tra le mani un risultato stratosferico? La tentazione di uscire allo scoperto, di fare l’annuncio in pompa magna (e magari di sistemarsi la carriera) è difficilmente sopravvalutabile. Ed è – aggiungo – pienamente umana.

Si deve cercare dunque un ragionevole compromesso. Un risultato di portata storica deve propagarsi in tempi brevi, ma non così brevi da non poter aver avuto almeno una ragionevole evidenza del fatto che il margine di errore sia stato ridotto a limiti accettabili. La regola del pollice, evidente buon senso che travalica l’ambito scientifico, è che tanto più dici una cosa che è (letteralmente) straordinaria, tanto più devi essere sicuro di quello che dici.

Confidiamo che sia così anche per le ormai non-troppo-ipotizzate onde gravitazionali, né abbiamo alcun motivo di pensarla diversamente. E possiamo ormai lecitamente aspettarci una qualche  notiziona, al proposito.

Quello che forse non va dimenticato, quello su cui è utile riflettere, è qualcosa che ha a che vedere con la natura stessa di questo rimbalzo mediatico, su questa enfasi che sta montando di ora in ora. E’ bene essere entusiasti, ma a patto che questo non finisca per trasmetterci una errata concezione della scienza, e del lavoro dello scienziato.

A costo di apparire scontati, bisogna ricordare che il vero lavoro degli scienziati avviene lontano dal chiasso mediatico, ed è una paziente applicazione di giorni, settimane, e magari anni, sovente non confortati da nessuna concreta evidenza sperimentale, se non da una convinzione interiore ed una applicazione indefessa per la quale, davvero, piano piano la realtà si decide a mostrare le sue fattezze.

E’ sempre la fiduciosa pazienza che opera e consegue. L’universo, peraltro, non sembra avere troppa simpatia per chi ha fretta o non lo indaga con la umiltà necessaria, per la quale si è disposti a mettersi sempre in discussione, e a valutare accuratamente un’idea magari di un collega ben più giovane e con meno esperienza. E’ questo il bello della scienza: comandano i fatti, e i fatti sono testardi, lo sappiamo.

E dunque, ben vengano gli annunci roboanti, ben venga l’eccitazione per la scoperta: è cosa bella e buona. Ed anzi  buonissima, se serve a farci comprendere che viviamo in un universo affascinante da indagare e da scoprire. Ma non dimentichiamoci che il lavoro di chi fa scienza, di chi fa cultura, è lì che avviene. Nel laboratorio, davanti al computer, nella stanza di controllo dell’acceleratore, nelle notti insonni al telescopio.

Comunque sia, lontano dai media.

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