Sì, perché se è vero che al fondo dell’arte di scrivere bene, come ogni arte, c’è un mistero che non accetta volentieri di essere guardato, indagato a parole, intorno a questo nucleo pulsante c’è pure un esteso territorio in cui si può e si deve ragionare. Che può essere lavorato. Per rispetto di chi scrive, e di chi legge, parimenti.
Assai significativamente, stiamo scoprendo, nel laboratorio (ormai arrivato alla quarta lezione, in un ciclo già ricco che ha incluso anche un interessante incontro con Dacia Maraini), come il gesto dello scrivere sia un gesto di ricerca di senso e dunque un gesto completamente e propriamente umano. Solo da questo è possibile poi lanciarsi nell’analisi più tecnica delle modalità del narrare, dello scegliere il punto di vista, della prima o terza persona, e così via, secondo tutte le declinazioni del caso.
Solo dopo, dunque. Niente tentazioni sterilmente strutturalistiche, in questo laboratorio (grazie ai cielo). Impariamo invece, contro ogni freddo riduzionismo, come alla fonte dell’impulso creativo vi sia sempre e comunque la ricerca di senso, che è poi il mestiere fondamentale dell’uomo. Ciò per cui è nato. Ed ogni declinazione tecnica può e deve essere compiutamente sviscerata, perché anche scrivere ha le sue regole, le sue tecniche (da conoscere e da superare, se è il caso).
Ma il senso viene prima, come atto visceralmente umano. L’unico interessante, l’unico probabilmente che valga la pena raccontare: in un libro che ancora non c’è. Ma che potrà esserci.
Mi viene da dire, imparare questo, ancora e di nuovo, non ha prezzo.
Grazie Paola, Alessandro. Grazie di questa opportunità.
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